LariformaRIQ.Jtenziaria Da detenuto obbediente a cittadino disciplinato La legge di riforma penitenziaria, di recente emanazione, è stata accolta con giudizi più che favorevoli ed addirittura - perfino nei settori progressisti degli operatori del diritto - con un filo di preoccupazione per il suo «ampio respiro». Pochissimi, ci pare, hanno però voluto analizzare, al di là delle novità più appariscenti il significato della normativa nel suo complesso. Un'analogia salta all'occhio. Anche la riforma del 1975 era stata definita, al pari di quella attuale, come informata a «quei principi avanzati, contenuti nella riforma penitenziaria varata qualche giorno fa, e che sono pienamente aderenti alla Costituzione nel senso della umanizzazione della pena, del recupero e della risocializzazione del condannato». (Riforma penitenziaria: buona la legge, meno le strutture, di Paolo Menghini, «Corriere della Sera», 23.11.1986) ed anche allora era stata sottolineata la validità della legge ma evidenziata la carenza di strutture atte a consentirne l'attuazione. Di fatto, però, la prima riforma non ha impedito - od anzi ha reso possibile - la creazione, dopo appena due anni, del circuito carcerario speciale, ed è stata ben poco applicata per quanto riguarda gli spazi di socialità, che avrebbe dovuto permettere, all'interno del carcere e le possibilità di alternativa all'istituzione, che delineava. La legge n. 663 del 10.10.1986, Modifiche alla legge sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà, si inserisce in una linea di tendenza, già presente nella legge di riforma carceraria n. 354 del 1975 e consolidata dai successivi interventi sia amministrativi che legislativi, tesa a fondare una tipologia di pena sempre più sganciata dal fatto-reato commesso e collegata, invece, al comportamento mantenuto successivamente dal condannato. Si può dire, schematicamente, che la L. 663 segue due direttrici. La prima regolamenta ed istituzionalizza le cosiddette carceri di massima sicurezza, mentre la seconda amplia la portata delle misure alternative alla detenzione. Che, però, le due istanze siano intimamente correlate ed inscindibili, secondo il banale - ma efficace - meccanismo dell'alternanza premio/punizione, nato con l'istituzione carceraria stessa, emerge fin dalla relazione che accompagnava la proposta di legge. In essa, difatti, si legge: «Ci rendiamo conto della possibile reazione negativa: il riconoscimento legislativo dei carceri di massima sicurezza è pericoloso, evoca una controriforma, evoca spettri del passato che si ritenevano esorcizzati per sem- .......pre. Noi riteniamo infondata sif- ~ fatta reazione. Anzi, a nostro av- .5 viso, si contribuisce, scegliendo la ~ stràda proposta, a salvare la rifort-.... ma rendendone più agevole, o me- ~ no difficile, l'attuazione». e Se,infatti, la L. 354 ha introdot- ~ to, a livello legislativo, la previsio- !:: ne di un trattamento individualiz- ~ zato per ogni detenuto, al cui i.:: buon esito corrisponde la possibi- ~ lità di ammissione alle misure al- -e ternative alla detenzione, la L. 663 ~ ~ altro non fa che sistematizzare quelle regole individualizzate in senso restrittivo, già sperimentate con l'applicazione ministeriale del famigerato articolo 90, destinate a coloro che non collaborano al programma di trattamento. Esaminiamo comunque separatamente, per maggior chiarezza, i due oggetti delle nuove modifiche. Il bastone ... Nei primi tre articoli (ma non facciamoci ingannare da una limitazione quantitativa, cui corrisponde una pesante incidenza qualitativa) la L. 663 prevede e regolamenta il «regime di sorveglianza particolare», che sarà attuato nei confronti di quei detenuti, i quali «con i loro comportamenti compromettono la sicurezza ovvero turbano l'ordine negli istituti», opSi duplica, in questo modo, la capacità di intervento dell'Amministrazione penitenziaria: da un lato, tramite l'attribuzione del potere di applicare un regime differenziato ad personam, sulla base di una descrizione comportamentale abbastanza ampia da comprendere le situazioni più disparate; dall'altro, lasciando intatta la facoltà, per il Ministro di grazia e giustizia, di sospendere le regole di trattamento nei singoli istituti, con una norma suscettibile delle medesime interpretazioni e modalità attuative del precedente art. 90. Non appare, in definitiva, credibile la dichiarazione programmatica resa dai relatori della proposta Gozzini, di intendere, in questo modo, effettuare una legalizzazione delle carceri speciali, per «staapra margini di discrezionalità pericolosissimi e difficilmente giustificabili. È evidente, infatti, come a questo punto il carcere perda il significato di sanzione per un atto illecito, per divenire strumento abnorme, destinato a disciplinare complessivamente la vita di chi, per avere riportato una condanna penale, è destinato a passare per l'istituzione. ... e la carota La seconda parte della legge è quella su cui si è focalizzata l'attenzione della maggior parte degli osservatori. Suoi punti salienti sono: l'opportunità di accedere al lavoro all'esterno concessa anche agli imputati, l'introduzione dei permessi premio, l'ampliamento della possibilità di usufruire delle Senza titolo, 1952, olio su carta, 22,2 x 30 cm pure «con la violenza o minaccia impediscono le attività degli altri detenuti» o «che nella vita penitenziaria si avvalgono dello stato ai soggezione di altri detenuti nei loro confronti». Questo regime particolare, che consiste in restrizioni non specificate espressamente (salvo escludere che possano ri- _guardare alcuni settori fondamentali della vita del carcerato, quali salute, igiene, vitto ecc.), verrà applicato dall'Amministrazione penitenziaria. Sarà possibile un reclamo all'autorità giudiziaria, il quale, però, non sospende l'esecuzione del provvedimento fino alla decisione. Il regime speciale non potrà durare per più di sei mesi, prorogabili, tuttavia di tre in tre, senza altro limite che il termine della pena. Certo, la sottoposizione, ad iniziativa del detenuto, del provvedimento al vaglio della Magistratura di sorveglianza. seppure in una fase successiva alla sua emissione, rappresenta una maggiore garanzia, per chi vi è sottoposto, rispetto a quanto si verificava sin'ora - soprattutto durante la prolungata applicazione dell'art. 90. Bisogna però rilevare che, con un abile gioco di prestigio, il legislatore ha abrogato l'art. 90 della L. 354, ma solo per sostituirlo con uno di identico contenuto. bilirvi garanzie che ora non ci sono». Nel medesimo quadro di espansione dell'intervento dell'autorità amministrativa, si colloca la norma con cui viene attribuita al direttore dell'istituto e non più al magistrato di sorveglianza la competenza per il rilascio dei permessi di colloquio relativi ai condannati con sentenza non definitiva. Se è noto, infatti, come sino ad oggi l'Amministrazione si sia attenuta a criteri assai più restrittivi, rispetto a quelli cui si è informata la Magistratura, è evidente, altresì, come possa giocare, in un'ottica che tende a differenziare sempre maggiormente le risposte, positive o negative, al comportamento del detenuto, la possibilità di concedere o negare i permessi di colloqmo. Ma la novità più preoccupante della L. 663 è introdotta nel quinto comma dell'art. 1, dove si stabilisce che: «Possono essere sottoposti a regime di sorveglianza particolare, fin dal momento del loro ingresso in istituto, i condannati, gli internati e gli imputati, sulla base di precedenti comportamenti penitenziari o di altri concreti comportamenti tenuti, indipendentemente dalla natura dell'imputazione, nello stato di libertà». Ci sembra che questa previsione misure alternative alla detenzione. I condannati a pene che non superino i tre anni sono coloro che godranno dei maggiori benefici. Questo è, difatti, il limite previsto dalla L. 663 per poter essere affidati al servizio sociale e, quindi, espiare la pena in stato di libertà. Se il tetto di pena è stato innalzato, nel nuovo testo dell'art. 47, di soli sei mesi, esso rappresenta comunque una riforma di notevole importanza, in quanto diversi reati comportano una pena che, anche quando venga ridotta nei minimi dall'intervento delle attenuanti, supera sempre i due anni e sei mesi. Non solo, ma la nuova normativa abroga l'esclusione dalle misure alternative prevista, precedentemente, per alcuni delitti, ciò che si risolveva, in particolare, in una penalizzazione dei tossicodipendenti, i quali, per un reato diffuso quale quello di rapina, non avevano alcuna alternativa al carcere. Altra importante innovazione è la possibilità, per chi è stato scarcerato per decorrenza dei termini di custodia cautelare o per concessione della libertà provvisoria, di venire direttamente ammesso all'affidamento in prova al servizio sociale, quando diventa definitiva la condanna, senza dover rientrare in carcere. Chi ha riportato condanne inferiori ai tre anni potrà anche essere ammesso alla semilibertà senza dover attendere di avere scontato metà della pena; sempre della semilibertà può usufruire, ora, anche il condannato all'ergastolo, dopo, però, vent'anni di carcere. La L. 663 introduce, inoltre, per le donne con figli minori di tre anni, per le persone gravemente ammalate, per gli infraventunenni e gli ultrasessantacinquenni, cui rimangono da scontare non più di due anni di carcerazione, la possibilità di espiarli presso la propria abitazione. Ai detenuti meritevoli, infine, viene praticato uno sconto di pena che, prima di venti, è divenuto ora di 45 giorni per ogni semestre di pena scontata. La disciplina valorizzata Sembrerebbe, in definitiva, che con la nuova legge si aprano sostanziali prospettive per evitare il carcere. Attenzione, però: oggi ancora di più ciò sarà consentito a chi avrà mantenuto e continuerà a mantenere il comportamento richiesto. Per maggiore garanzia è, infatti, attribuito il potere, al magistrato di sorveglianza, di sospendere provvisoriamente le •misure concesse, qualora il soggetto cambi atteggiamento, in attesa di una pronuncia sull'eventuale revoca, a differenza di quanto accadeva con la L. 354, quando la misura rimaneva in vigore in presenza di una proposta di revoca ed eccettuato il caso di evasione del semilibero, fino alla decisione sul caso. Scriveva Michel Foucault nel 1975, anno di entrata in vigore, .in Italia, della prima legge di riforma penitenziaria: «Sotto il nome di crimini e di delitti [... ] nello stesso tempo, si giudicano istinti, passioni, anomalie, infermità, disadattamenti, effetti dell'ambiente [... ]. Giudicate, esse lo sono anche attraverso il gioco di tutte quelle nozioni [... ] che, sotto il pretesto di spiegare un atto, sono in realtà un modo di qualificare un individuo. Punite [... ] esse lo sono attraverso l'economia interna di una pena che, se sanziona il crimine, può modificarsi [... ] secondo che si trasformi il comportamento del condannato.» (M. Foucault, Sorvegliare e punire, Torino, Einaudi, 1976, p. 20). È, appunto, ad una funzione eminentemente disciplinare che risponde, nel suo insieme e sulla strada già delineata dalla riforma del 1975, la L. 663. La strategia è quella di organizzare un continuum di sistemi di controllo, che va dalla possibile sospensione di ogni garanzia, prevista dalla «nuova» formulazione dell'art. 90, ora 41 bis, e dal regime di sorveglianza particolare, passando attraverso una condizione carceraria «normale», fino ad una graduata previsione di alternative al carcere (nella relazione introduttiva alla proposta Gozzini si riprende anche l'ipotesi, a suo tempo avanzata dal PCI, di un triplice livello di istituti, di cui uno definito «a minimo indice di sicurezza», che, in prospettiva, dovrebbe venire inserito nel sistema). E, se il detenuto può percorrerli, adeguando il proprio comportamento, in un senso di progressiva liberazione, egli rimane sempre sottoposto al rischio di percorrerli in senso contrario,
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