l' economia-moon: la semiR'-~jferia Giovanni Arrighi Semiperipheral development. The politics of southern Europe in the Twentieth century Beverly Hills, Sage Publications 1985 pp. 279 The stratification of the world economy: an exploration of the semiperipheral zone in «Review», Braudel Center, New York State University autunno-inverno 1986 G iovanni Arrighi è già conosciuto dai teorici dell'imperialismo per Struttura e sovrastruttura in Africa (Einaudi, 1969), Una nuova crisi generale (1972), La geometria dell'imperialismo (Feltrinelli, 1978), la voce Imperialismo dell'Enciclopedia Einaudi e A crisis of hegemony, in Dynamics of global Crisis (Monthly Review Press, 1982) un testo a più mani scritto insieme a Samir Amin, G. Frank, I. Wallerstein. Nel 1985 ha curato un testo Semiperipheral development. The politics of southern Europe in the Twentieth century che affronta insieme tre questioni di grande importanza: 1. il concetto di semiperiferia; 2. il ruolo della politica; 3. il posto dell'Europa del sud e, in particolare, dell'Italia, nell'economia mondo. Nei prossimi mesi uscirà su «Review», la rivista del Braudel Center, The stratification of the world economy: an exploration of the semiperipheral zone, una messa a punto decisiva sulla dinamica e sui criteri empirici di individuazione della struttura trimodale, centro-semiperiferia-periferia, propria dell'economia mondo (coautrice del saggio è J essica Drangel). Per finire Arrighi ha presentato al IX incontro Internazionale sull'Economia Mondo, tenuto a Modena nel giugno del 1986, un «paper» sui «nuovi movimenti sociali» scritto con Terence K. Hopkins e I. Wallerstein. Questi ultimi tre contributi, presi insieme, possono dare un'idea dei «lavori in corso» fra economisti e sociologi radical che non mollano la presa sul sistema visto come totalità, e non dimenticano, in nessun caso, che ogni sistema sociale è un fatto storico, e dunque qualcosa di destinato a fine sicura. Mentre sventolano le bandiere dell'opinione e delle mode degli apologeti del capitalismo e parlare di «sistema», di «transizione», di polarità e antagonismi sociali sembra irrimediabilmente out, questo manipolo di strani professori spia i mille seppur incerti segni del tramoµto del capitalismo. Che il tramonto poi possa prevedere un periodo anche lungo di grandi fasti non sembra spaventarli. Hanno imparato che la scala temporale °' modifica i fenomeni osservati: sul- "; la lunga durata saremo certo tutti -S mo,rti, come osservava Keynes, [ ma ciò che oggi sembra aurora si t--- tinge del colore del crepuscolo. ~ Questa specie di Internazionale e della Cattedra cita poco, e a volte ~ criticamente, K. Marx, ma se c'è ~ oggi qualche tentativo serio di ri- ~ cerca in sintonia con il programma i:: di «quell'oscuro personaggio del .~ XIX secolo», come lo chiama iro- ~ nicamente I. Wallerstein, forse bi1s sogna cercare fra i lavori del «gruppo di Binghamton», dintorni di New York. Per le teorie della «modernizzazione» le posizioni intermedie nel sistema dell'economia-mondo sono solo stadi temporali di transizione dall'arretratezza alla modernità. Al contrario, per le teorie della dipendenza, la tendenza alla polarizzazione non risparmierà le zone residuali fra il centro e la periferia, gli unici poli davvero stabili. Wallerstein accetta la polarizzazione fra centro e periferia, ma abbandona l'assunto che prende innanzitutto in considerazione il cri- \ co-geografico nel quale l'attività politica può determinarsi in modo parzialmente autonomo, dando vita a forme nuove che rafforzano o indeboliscono le spinte nelf uno e nell'altro senso. Tuttavia, che un singolo Stato riesca a diventare centro o cada nella periferia non cambia la topologia del sistema: per Wallerstein nell'economia-mondo capitalista non è possibile che si verifichi sviluppo simultaneo per tutti. Allo sviluppo di un polo centrale corrisponde necessariamente l'approfondimento o l'estensione della periferizzazione. mondo che non sia internamente contraddittorio e che, al tempo stesso, sia utilizzabile nella ricerca empirica. La remuneratività delle attività economiche di tipo periferico - indipendentemente dalla divisione interna in salari, profitti e rendite - sarà, nelle catene produttive di merci, più bassa di quel-. la ottenuta nelle attività economiche di tipo centrale, che riescono a sfruttare a loro vantaggio i benefici derivanti dalla divisione mondiale del lavoro. La dinamica della polarizzazione tra tipi di attività non identifica tuttavia certi proSenza titolo, s.d., inchiostro su carta, 53,3 x 45, 7 cm terio politico-geografico, (Stati e Regioni), per individuare «centro» e «periferia». Le attività economiche, che attraversano i confini degli Stati-Nazione, sono centrali o periferiche a seconda che comandino una quota più o meno alta del surplus prodotto all'interno di una determinata catena di merci. A questo punto si possono determinare le posizioni a livello degli Stati: gli Stati nei quali predominano attività economiche di tipo «centrale» e gli Stati nei quali predominano attività di tipo «periferico➔>. Ma, in molti casi, ci troviamo di fronte ad una quasi parità dei tipi di attività: è questa la zona che chiamiamo semiperiferia. Caratteristica della semiperiferia è quella di poter resistere alle tendenze alla periferizzazione, pur non avendo la forza di superarla completamente per raggiungere gli Stati del centro. È dunque questa la «zona della politica» per eccellenza, il «luogo» economiMa, detto tutto ciò, il concetto di semiperiferia e la sua utilità euristica nella ricerca empirica rimangono vaghi e, a volte, fuorvianti. La lista di Stati che per Wallerstein si trovano nella zona semiperiferica non riesce a chiarire le cose. Si va dal Canada all'Egitto, dal Brasile al Vietnam, seguendo due criteri che si sovrappongono e, a volte, si negano a vicenda: da un lato il tipo di esportazione e i livelli di salari e di profitto, dall'altro l'interesse dello Stato, più grande che nel centro o nella periferia, a controllare il mercato interno e internazionale. Così si trovano insieme paesi con esportazioni, livelli di salario e di profitto del tutto diversi e che peraltro, seguono politiche opposte nei confronti del mercato interno e internazionale. L a proposta di Arrighi tende a superare queste difficoltà, offrendo un criterio di distinzione per le «zone» dell'economiadotti o certe tecniche se non rispetto a fasi temporali determinate. Quello che in un certo periodo è «centrale» può diventare «periferico». Per Arrighi ciò che incessantemente struttura in polarità il sistema-mondo è l'impulso degli attori economici ad allontanare la competizione, così tutte le catene di meTcipresentano posizioni di tipo centrale, come aree di competizione a bassa pressione, e posizioni di tipo periferico, come aree ad alta pressione competitiva. Il riferimento esplicito è qui all'«innovazione» in senso schumpeteriano, intesa, però, non solo come una nuova funzione di produzione per il profitto ma, piuttosto, come creazione, ampliamento, approfondimento e ristrutturazione di una catena di merci. Il raggrupparsi delle innovazioni e la loro diffusione darebbe luogo, nella prospettiva temporale schumpeteriana, ai cicli di prosperità-depres- ./ sione e, nella prospettiva spaziale del sistema-mondo, agli assi zoo.ali di centro e periferia mediati da una zona, la semiperiferia, analoga ai periodi di equilibrio relativo fra la fase A e la fase B del ciclo temporale. Ovviamente il passaggio dal solo tempo allo spazio implica che, attorno all'impulso innovativo, si coaguli l'attività politica degli Stati, tesa fin dalla formazione dell'economia-mondo, a conservare, e a-migliorare, la propria posizione relativa nei confronti degli altri Stati concorrenti e dei terremoti ricorrenti nelle condizioni economiche «rivoluzionarie» dell'economia mondo capitalistica. Ma come misurare l'assieme delle attività economiche di tipo centrale e periferico, e quindi rendere empiricamente operante e rilevante tale distinzione? Il mix delle attività economiche diventa qui l'assunto b<!se,la quantità ipotizzata come misu-ranon misurabile - svolgerebbe cioè la stessa funzione del «lavoro mcorporato» nell'approccio classico o dell'«utilità marginale» nella prospettiva neoclassica. Da questa concettualizzazione deriva la possibilità m utilizzare la quota di prodotto nazionale lordo pro capite come misurazione indiretta dei rapporti centro-periferia. L'indagine, svolta su dati che coprono il periodo dal 1938 in poi, ha, secondo Arrighi e Drangel, il difetto di non dire granché sulla longue durée dell'economia mondo, ma ha il pregio di aprire una strada di ricerca più rigorosa concettualmente e più utile empiricamente. La ricerca mostra la persistenza di una zona semiperiferica formata da un gruppo di Stati incapace, salvo rare eccezioni, di raggiungere gli standard del centro, ma peraltro in grado di resistere efficacemente alle tendenze alla perif~rizzazione. Un risultato del genere conferma l'inadeguatezza, almeno per il periodo considerato, delle teorie della «modernizzazione» e, specularmente, di quelle della «dipendenza». Ancora, la semiperiferia è una zona cruciale dell'analisi dell'economia-mondo, non tanto perché è circa il doppio del centro e la metà della periferia, ma perché è al suo interno che si sono verificate le più importanti «innovazioni» politiche del Novecento (il fascismo in Italia e il comunismo in Urss) nella fase compresa fra le due guerre. Nell'attuale crisi economica mondiale quasi l'intera gamma degli epicentri dei conflitti politici (Sud Africa, Iran, Iraq, Siria,· Israele, Nicaragua, Salvador, Polonia) e tutti gli Stati più indebitati (tranne gli USA) si trovano al suo interno (Argentina, Messico, Brasile, Venezuela, Cile, Polonia, ecc.) Dopo il terzo-mondismo e l'eurocentrismo, concludono Arri- ·ghie Drangel, è venuto il tempo di uno sguardo più attento alla semiperiferia, il luogo politico delle «innovazioni». I n Semiperipheral Development, il libro che raccoglie i principali contributi dei due incontri sul sud Europa organizzati nel 1982 e nel 1983 a Binghamton e alla Maison des Sciences de l'Homme a Parigi, si tenta una prima analisi concreta di una zona
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