re il progresso di cui ha bisogno, senza che peraltro si debbano esibire le ragioni del bisogno. 26 3. L'alternativa derridiana Si potrebbe criticare la mia pretesa secondo cui questo è il miglior modo per affrontare il dilemma metafilosofico del come criticare e insieme accantonare un dizionario filosofico. Molti derridiani, per esempio, considererebbero semplicistico il mio modo di trovare un punto in comune a Platone, Nietzsche e Heidegger e - a fortiori - a realisti, antirealisti e a filosofi al di sopra della mischia, come Wittgenstein, Dewey, Fine e Davidson. L'oggetto del contendere è la natura del linguaggio. Il presupposto sbagliato dei realisti e di Platone, e degli antirealisti e di Nietzsche (ma non di Heidegger, Fine, Davidson o Wittgenstein) è: il linguaggio è un mezzo. Platone e i realisti pensano che il linguaggio sia un mezzo per rappresentare cose esterne. Nietzsche e gli antirealisti pensano che sia un mezzo per ottenere ciò che si vuole. Ma non è né l'una cosa né l'altra. Esso non serve a nulla al di fuori di sé. Né «il mondo» né «ciò che si vuole» designano alcunché tranne la descrizione datane dal linguaggio. La scelta di un dizionario non può essere determinata da alcunché di estraneo al linguaggio. In questa prospettiva derridiana, il difetto della tradizione metafisica è stato presupporre la possibilità di collocare il linguaggio entro una certa immagine del mondo. Ma il linguaggio è ben altro; come il Dio della teologia ortodossa, non è un ente tra gli altri. Il linguaggio crea le immagini del mondo, quindi non può creare la propria immagine; può tutt'al più mostrare le immagini conferitegli in passato. Se sta creando una nuova immagine, non può anche trovare il tempo per definire il suo ruolo rispetto a essa. È questo il nocciolo di verità nella invocazione del silenzio alla fine del Tractatus, e è la ragione per cui non possiamo rispondere a domande premature come «che cosa prenderà il posto della distinzione schema-contenuto nelle riflessioni post-davidsoniane su verità e conoscenza?» oppure come «dobbiamo continuare a riflettere su verità e conoscenza?» Perché domande tipo «come possiamo riformulare i vecchi temi e problemi del nuovo gergo?» o «come parafrasare una nuova metafora in termini letterali?»sono sempre premature. Per i derridiani, la lezione delle riflessioni sulle rivoluzioni scientifiche, sulla metafilosofia e sulla metafora, è una sola: cambia la tua concezione del linguaggio e ti !roverai su un nuovo, e solido, terreno. 27 Vorrei anzitutto sottolineare i pregi, e poi segnalare quelli che Heidegger avrebbe considerato i difetti di questo tentativo.derridiano di oltrepassare l'ingenuità kuhniana. I derridiani sostengono che un falso presupposto comune a Platone e a Nietzsche ci permette tuttavia di interpretare facilmente i punti più oscuri di Heidegger e di Fine. Quando Heidegger dice che Nietzsche è soltanto una ingegnosa versione del platonismo, potremmo sostenere che stia dicendo: Nietzsche ha accettato l'idea platonica secondo cui il linguaggio ha per scopo il Bene, ma la ha invertita identificando il Bene con la potenza, cui invece esso va contrapposto in Platone. Così che quando abbiamo capito che, come dice Heidegger, «il linguaggio parla l'uomo», possiamo trascendere l'opposizione Platone-Nietzsche. Quando Fine sostiene che Putnam è irretito in un nefasto pas de deux metafisico con i suoi avversari realisti, possiamo ritenere che dica: entrambe le parti vogliono spiegare che la verità è una buona cosa, perché la sua ricerca è moralmente importante - una interpretazione del resto perfettamente confermata dagli ultimi scritti di Putnam in materia. 28 Una volta accantonato il presupposto secondo cui il linguaggio è un mezzo, possiamo lasciare da parte l'idea secondo cui possiamo o dobbiamo spiegare che la verità è un bene. Un altro vantaggio dello scegliere il linguaggio- come punto su cui la tradizione sarebbe continuamente ingannata, è c_hesi tratta di un punto non solo, caldo, ma cosmopolita. E noto che noi moderni seguiamo, per dirla con Sellars «la Strada delle Parole» e che viviamo, per dirla con Hacking «l'anno di grazia delle proposizioni».· Tutti, da Dummett a Foucault, ci hanno detto quanto sia importante il linguaggio. Davidson e Derrida si uniscono nell'apologia della metafora e nella requisitoria contro «il significato determinato>;. 29 Si sarebbe tentati di dire che tutti gli elementi progressisti della filosofia, dalle due parti della Manica, giungono alle stesse conclusioni. E ora che Putnam si è unito a Gadamer nel concepire la metafisica e l'epistemologia come esiti infausti della sopravvalutazione della scienza moderna e della sottovalutazione di altre aree culturali, possiamo guardare a quella che Putnam chiama «filosofia postmoderna». Una filosofia che correggerà l'equivoco per cui Platone ritiene che i matematici, piuttosto che i poeti, dovessero fare da modello per i filosofi, e che le scienze, più che le arti, costituissero l'appropriata propedeutica per la dialettica. Capiremo allora che se poeti e rapsodi non sanno renderci conto di quel che fanno è un pregio, e non un difetto. Quando si sia abbandonato l'esiziale presupposto secondo cui il linguaggio è un mezzo, si potrà anche abbandonare il corollario per cui la razionalità consiste nel sapere dove si va a parare, prima di incominciare a parlare. Potremmo invece concepire la razionalità come disponibilità a prestare orecchio, non solo a nuovi argomenti, ma anche a gerghi sinora inauditi. Nel periodo postmoderno, la filosofia sarà libera dai pesi dell'argomentazione, della politica e della ideologia, e la letteratura sarà lavata dall'onta di essere «non cognitiva». Tutto cambierà. Potrei andare avanti per un po' con questa rapsodia, ma assomiglierebbe sempre di più a una traduzione dal francese. Ho semplicemente cercato di presentare la visione derridiana di cio che accade quando ci si libera da tutte quelle nefaste opposizioni binarie appioppateci dai Greci. Però adesso vorrei interrompere la rapsodia e mostrare che Heidegger l'avrebbe considerata uno spaventoso autoinganno. Per Heidegger, la rappresentazione derridiana di ciò che sta di là da Platone e da Nietzsche è ancora una volta Nietzsche. Heidegger avrebbe considerato l'immagine del linguaggio come continua rifigurazione di immagini del mondo alla stregua di una mera variante stilistica dell'affermazione secondo cui «la storia interna della metafisica è semplicemente la storia delle trasformazioni dell'auto-concezione dell'uomo» - una affermazione che, secondo Heidegger, è «l'unico errore che si tratta veramente di oltrepassare». Più complessivamente, avrebbe considerato la mia retorica del continuo auto-trascendimento attraverso una costante invenzione metaforica come una ulteriore riprova dell'estetismo caratteristico del pensiero nietzscheano. 10 Nietzsche avrebbe scritto la Magna Charta di quella che lui definisce, sarcasticamente, «epoca dell'immagine del mondo». Nel saggio che reca questo titolo, J!eidegger scrive: «Ma il costituirsi dell'uomo a primo e autentico subjectum porta con sé quanto segue: l'uomo diviene quell'ente in cui ogni ente si fonda nel modo del suo essere e della sua verità. L'uomo diviene il centro di riferimento dell'ente come tale. Ma ciò è possibile solo se si trasforma la concezione dell'ente nel suo insieme. Dove si rivela questo muta-· mento? Qual è, in conseguenza di ciò, l'essenza del Mondo Moderno?»11 La risposta di Heidegger è che la nostra epoca è l'epoca dell'immagine del mondo nel senso seguente: «Immagine del mondo, in senso essenziale, significa quindi non una raffigurazione del mondo, ma il mondo concepito come immagine. L'ente nel suo insieme è perciò visto in modo· tale che diviene ente soltanto in quanto è posto dall'uomo che rappresenta e produce». 32 Senza titolo, 1957, inchiostro su tela, 28 x 20 cm Dire che viviamo nell'epoca dell'immagine del mondo vuol dire che viviamo nell'epoca dell'antirealismo, il che, nella prospettiva di Heidegger, significa che viviamo nel- /' epoca di Nietzsche - nell'epoca della metafisica della volontà di potenza. Heidegger ci sollecita a considerare che non possiamo sottrarci a una simile metafisica semplicemente spostandola a un livello metafilosofico. Nella prospettiva di Heidegger, la parola «linguaggio» nella tesi secondo cui «il linguaggio non è un mezzo» è una mera sostituzione di «uomo». La tesi stessa, direbbe Heidegger, è solo una riformulazione oscurantistica dell'asserto nietzscheano secondo cui Platone e il Cristianesimo sbagliavano a ritenere l'uomo responsabile di fronte a qualcosa che lo trascenda. La mia tesi dice soltanto che non abbiamo idea della destinazione di alcunché - linguaggio compreso - e che perciò possiamo fare quel che ci pare, nella misura in cui è nuovo e interessante. Anche la retorica del perpetuo e afinalistico auto-trascendimento a cui pone capo la mia tesi è puramente e semplicemente la retorica nietzscheana dell'autooltrepassamento, una retorica che ha prodotto la frenesia propria a tutte le aree culturali del ventesimo secolo. Come dice Heidegger, l'estetismo culmina nell'amore per la novità fine a se stessa; l'epoca dell'immagine del mondo «non è qualcosa di nuovo solo in confronto al passato, ma si impone come nuova in se stessa e assolutamente. La novità concerne il mondo nel senso che si è fatto immagine». 33 Heidegger ha sicuramente dei buoni argomenti. Perché la proposta derridiana secondo cui Fine e Davidson dissentono da Platone e da Nietzsche su un punto - ovviamente, il linguaggio - è davvero una proposta fittizia. Non è guardando più dappresso il linguaggio che stabiliamo che non è un mezzo ma un fine: non più di quanto, guardando più da vicino gli esseri umani, possiamo decidere se abbiano una dignità oppure un valore puramente strumentale; così come non è da una osservazione delle teorie scientifiche ·che decidiamo di essere realisti o strumentalisti nei loro confronti. Negare che l'uomo o il linguaggio siano un mezzo è, più che ttn tema di discussione, un modo per interrompere le conversazioni: è semplicemente un modo per far capire a che domande contiamo di rispondere, e quali invece vogliamo scartare perché inattuali, concettualmente confuse, o comunque prive di interesse. Per appoggiare le tesi secondo cui «il linguaggio» è un argomento fittizio. Heidegger potrebbe sostenere che la pretesa convergenza fra gli «elementi progressisti» della filosofia analitica e della filosofia continentale è una illusione. Perché l'interesse fregeano per il linguaggio è diversissimo dall'interesse derridiano. Frege cercava un modo nuovo per riformulare una problematica kantiana, mentre Derrida è l'esito estremo della «erm.eneuticadel sospetto», del sospetto nei confronti di tutte le vecchie problematiche filosofiche. Frege e Carnap-pensavano in termini di protolingua universale, una nozione sanzionata dagli sviluppi del linguaggio matematico. Il derridismo, per contro, specula sul fatto che abbiamo compreso che c'è un numero infinito di vocabolari di difficile traducibilità - una com- . prensione indotta da coloro che contribuirono, per esempio, allo sviluppo della storia comparata delle religioni nel diciannovesimo secolo, e della antropologia e della letteratura «modernista» agli inizi del ventesimo. Non c'è alcun argomento comune chiamato «linguaggio» rispetto a cui sia Dummett sia Foucault avrebbero delle opinioni. Inoltre, non è affatto chiaro se Dummett, semanticizzando la problematica tradizionale della metafisica, abbia creato qualcosa di più che un argomento fittizio. Perché non è chiara la ragione per cui Dummett ritiene che le ricerche intorno alla teoria del significato debbano avere un carattere maggiormente «scientifico» - capace di produrre un accordo razionale - di qualsiasi altra ricerca filosofica. 34 Di certo la furia inarrestabile del dibattito tra realisti e antirealisti - per tacere del disaccordo tra Dummett e Davidson, o tra Dummett e Wittgenstein, su ciò che si intende con «teoria del significato» - dovrebbe attenuare l' ottimismo di Dummett. E meno·che mai - direbbe Heidegger- c'è un tema comune chiamato «linguaggio» su cui lui e Davidson, o Platone e Nietzsche, avrebbero delle opinioni. L'idea derridiana del porre come oggetto del contendere tra Heidegger da una parte e Platone e Nietzsche dall'altra, o tra Fine da una parte e i realisti e gli antirealisti dall'altra, una questione di consenso o di dissenso rispetto a una proposizione - sia pure una proposizione circa un argomento cruc_ialecome il linguaggio - era anzitutto una pessima idea. Perché cercava di ridisegnare una mappa del terreno filosofico mescolando l'idea platonica per cui noi disponiamo già sempre di un dizionario con la negazione nietzscheana di quella idea. Se ci si mette nella prospettiva di Platone, se si pensa (con Kant, Frege e Dummett) che vi è un'unica struttura permanente del nostro pensiero che aggiusterà tutto purché la si articoli chiaramente, allora sembrerà plausibile esigere che tutti i disaccordi, compreso il sapere se il dissidio tra Platone e Nietzsche sia o non sia uno pseudo-problema, siano ridotti a dissidi intorno al valore di verità delle proposizioni. Da questo punto di vista, ci si può augurare soltanto che si abbia l'estro per trovare pretendenti adatti a simili proposizioni per penetrare dissidi veramente profondi. Ma se non ci si mette in questa ottica, se si parteggia per Nietzsche quanto al problema dello stabilire se il conseguimento di un equilibrio riflessivo rispetto alle nostre intuì-· zioni ci dia o no la verità, allora il valore di verità delle proposizioni passa in secondo piano. Tutta l'idea di un dissidio profondo viene accantonata, in quanto presuppone l'idea platonica secondo cui le verità sono sempre formulabili nel linguaggio - nonché l'idea secondo cui tutte le proposizioni sono già sempre collocate in una struttura tridimensionale. Verrebbe meno l'idea secondo cui la filosofia lavorerebbe sulle linee di questa struttura, o ai suoi livelli più profondi alla ricerca dei massimi interrogativi - gli interrogativi le cui risposte risponderanno a tutti i piccoli interrogativi preliminari. Al suo posto potremmo avere l'idea per cui il progresso intellettuale consiste nello scartare i vecchi dizionari e perciò i vecchi problemi, e di trovarne dei nuovi - e potremmo scartare anche l'idea di un super-dizionario contenente i criteri per la scelta dei dizionari. Ora, quale che ne sia la plausibilità, la suggestione derridiana trasmetteva proprio il desiderio di abdicare all'idea di criteri per la scelta dei vocabolari. Suggeriva che l'idea nietzscheana di «volontà di potenza» o di «auto-oltrepassamento» fosse, tanto quanto l'idea platonica di «giusta reminiscenza delle Idee», una specificazione della funzione del linguaggio. Ma credo che Heidegger abbia ragione nel sostenere che questa intenzione è irrealizzabile. Non disponiamo di alcuna speciale intuizione circa la natura del linguaggio che ci permetta di vedere perché sia Platone sia Nietzsche fossero sulla pista sbagliata, e di conseguenza per quale motivo la metafisica - definita come il progetto condiviso da questi due filosofi - vada accantonata. Il che indica che quanto era richiesto non era lo scavo di una tacita assunzione profondamente radicata, ma semplicemente la comprensione della vacuità della controversia fra Platone e Nietzsche - il capire che questi due filosofi si sono stremati a vicenda, che la metafisica ha «esaurito le sue possibilità». Sarebbe capire che Platone, creando, Gorgia, Trasimaco e Ione come controparti dialettiche, creò anche Nietzsche - e che la tradizione filosofica occidentale ha passato gran parte del suo tempo parassitando le fantasie di Platone - fantasie che, buone o cattive, non ci attraggono più. Questa constatazione non si è prodotta
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