Alfabeta - anno IX - n. 94 - marzo 1987

Di là al realismo edall'anti-realismo LJ articolo di Richard Rorty che costituisce il «testo» di questo mese è una anticipazione tratta dal fascicolo monografico di «aut aut» Margini del/'ermeneutica (n. 217-218, gennaio-aprile 1987), che sarà in-edicola a fine mese. Il fascicolo è guidato da una «tesi» di tipo generalissimo: con Heidegger, l'ermeneutica porta a compimento lo sviluppo che, a partire dal romanticismo, la aveva trasformata, da tecnica particolare di interpretazione dei testi (giuridici, letterari, religiosi) a problema filosofico universale. Ora, questa universalizzazione si precisa nella forma di una koiné filosofica (nel senso diffuso in questi ultimi anni da Gianni Vattimo ): l'ermeneutica tende a divenire un momento unificante di varie tendenze filosofiche, un tramite di traduzione e di scambio, ricoprendo un ruolo che nel passato era stato occupato dal marxismo e dallo strutturalismo. Ma, come è nel destino di ogni koiné, l'ermeneutica non si configura più come un tutto unitario, si innesta in tradizioni diverse (ed è questo il caso della mediazione tra filosofia «continentale» e filosofia analitica proposta da Rorty) e in altri casi le integra con la propria: così da incontrare, insieme alla propria universalità, anche i propri margini (nel senso di spingersi ai margini della propria tradizione, di rivederla, o anche di eccederla). Il fascicolo non vuol rendere conto di alcuni tra questi sconfinamenti (che in molti casi sono però anche il recupero di radici secondarie o nascoste dell'ermeneutica nella sua storia), fornendo ai lettori materiali di non facilissimo reperimento, e lasciando molto spazio alle traduzioni, come risulta dal sommario che diamo qui di seguito. Gianni Vattimo, Il senso delle parole: Ermeneutica come koiné; Hans-Georg Gadarrier, Sul circolo ermeneutico; Jiirgen Habermas, Urbanizzazione della provincia heideggeriana; Hans-Georg Gadamer, Testo e interpretazione; Jacques Derrida, Buone volontà di potenza (Una risposta a HansGeorg Gadamer); Hans-Georg Gadamer, E tuttavia: potenza della volontà «buona»; Paul Ricoeur, «Logica ermeneutica»?; Richard Rorty, Di là dal realismo e dall'anti-realismo: Heidegger, Fine, Davidson e Derrida; Stanley Fish, Antiprofessionismo; Clifford Geertz, «Thick description». Verso una teoria interpretativa della cultura; Jacques Derrida, Firma evento contesto; John R. Searle, Reiterando le differenze: una risposta a Derrida; Gianni Vattimo, Ermeneutica, scienze umane e società della comunicazione; Alessandro Dal Lago, Leggi oscure, cose che svaniscono. Note su ermeneutica e-scienze umane; Maurizio Ferraris, A proposito di ermeneutica e epistemologia. 1. Il tentativo heideggeriano di oltrepassare Platone e Nietzsche M.F. Possiamo leggeregran parte di Essere e tempo come una critica nietzscheana alla tradizione platonica. In questa prospettiva, non sarebbe che una versione più professionale e verbosa del giudizio nietzscheano di Socrate come «ottimista teoretico» nella Nascita della tragedia. L'ottimismo socratico presuppone una sorta di teoria platonica della reminiscenza - una teoria per cui, sulle cose più importanti, possediamo già in noi la verità, e incontrandola la riconosciamo.1 Una simile teoria non pretende che l'incontro con la verità sia un bagliore accecante, una illuminazione, ma semplicemente che si possa giungere alla verità attraverso il vaglio critico delle proprie intuizioni, e che una volta raggiunto un equilibrio riflessivo rispetto ai propri giudizi prefilosofici, sia conseguita la verità filosofica. L'essenziale, qui, è l'idea secondo cui, per giungere alla verità, disporremmo di un apparato interno precostituito, un apparato che include un linguaggio capace di porre le domande giuste - quelle che gli esseri umani hanno sempre formulato, o avrebbero dovuto formulare. Nietzsche rifiuta questa posizione. Scrive: «L'errore della filosofia consiste nell'aver riconosciuto nella logica e nelle categorie della comprensione non dei modi di delimitare il mondo per scopi utilitaristici,ma dei criteri di verità e di realtà». 2 E ancora: «Non abbiamo appunto nessun organo per il conoscere, per la 'verità': noi 'sappiamo' (o· crediamo, o c'immaginiamo) precisamente tanto quanto può essere vantaggioso sapere nell'interesse del gregge umano, della specie... ».3 Se mai Nietzsche avesse esplicitatogli argomenti con cui sosteneva queste prospettive, si sarebbero rivelati uguali a quelli dei pragmatisti americani. Sia Dewey sia Nietzsche vedono nel sapere una estensione di tattiche di adattamento ali'ambiente, più che qualcosa di speciale e al servizio di elevati motivi. Da questo punto di vista, il referente della espressione «le questioni più importanti» cambia con il mutare dell'ambiente culturale, e le trasformazioni ambientali non risultano necessariamente da un progresso dialettico. Il conseguimento di un equilibrio riflessivo rispetto alle proprie intuizioni non è che una pausa momenRichard Rorty tanea. Perché le intuizioni sono fenomeni temporanei e storici che cambiano tanto quanto il nostro vocabolario e il nostro ambiente culturale. Come corollario, Nietzsche sposa una visione strumentale del linguaggio, secondo cui tutti i nostri vocabolari, e a fortiori tutte le,_nostre domande, non sono che espedienti temporanei. L'insistenza sulla storicità, sulla temporalità e sulla finitezza che percorre Essere e tempo si acco_rdacon Nietzsche e Dewey. Se Heidegger non avesse scritto che quel libro, sarebbe parso un ennesimo polemista antiplatonico, che inventava un nuovo gergo per evidenziare il primato del pratico sul teoretico. Perché il tema principale di quel libro giovanile è il tentativOdella tradizione platonica di sottrarsi allafinitezza e alla storia, e di collocarsi nel sovratemporale postulando un apparato interno predisposto a fare qualcosa di p~iÌ che adattarsi all'ambiente. L'esito di Essere e tempo è un nuovo gergo, che si presenta come uno strumenta capace di farci uscire dall'ingannevole vocabolario imposto dalla tradizione platonica, e che si propone come un auto-trapassamento nietzscheano. Sartre non sbagliava a leggere Essere e tempo in modo «esistenzialista» - come un tentativo di dimostrare che gli esseri umani non hanno natura, perché possono, alterando il vocabolario della loro autodescrizione, assumere tutte le nature che vogliono. Ma in capo a cinque anni dalla pubblicazione di Essere e tempo, Heidegger smise il suo nuovo gergo. Non parlò più di Dasein, di Angst, di morte, e seguì una nuova via. A veva capito che il suo primo libro aveva una tonalità neonietzscheana, e aveva deciso che era del tutto estranea alle sue intenzioni. Nei trent'anni seguenti cercò di distanziare la propria prospettiva rispetto a quella di Nietzsche tanto quanto, in Essere e tempo, aveva cercato di distinguersi da Platone e da Descartes. Ecco qualche passo tipico: «Certo l'asprezza con cui Nietzsche attacca Descartes, la cui filosofia fonda la metafisica moderna, dipende soltanto dal fatto che quest'ultimo non pone ancora l'uomo come subjectum in modo sufficientemente completo e decisivo». 4 « Poiché la filosofia di Nietzsche è metafisica, e ogni metafisica è platonismo, alla fine della metafisica l'essere va pensato come valore [. ..] La storia della metafisica segue il suo corso dalla interpretazione platonica dell'essere come idea e agathon alla interpretazione dell'essere come volontà di potenza che pone i valori e pensa ogni cosa come valore». 5 Heidegger ritiene che fintantoché vedremo nell'umanismo nietzscheano una alternativa a Platone rimarremo asserviti a Descartes e quindi, in fin dei conti, a Platone. Se assumiamo come istanza ultima l'opposizione fra le pretese della eternità e quelle della temporalità, o tra la ragione e la volontà, o fra l'oggettività e l'autenticità - nei termini in cui Nietzsche presenta simili opposizioni - saremo risucchiati in ciò che Heidegger chiama «metafisica», definendola come la problematica comune a Platone e a Nietzsche. Heidegger ritiene inoltre che i tentativi di Nietzsche di diagnosticare gli errori della tradizione platonica siano fallimentari: «La peculiare enfasi sul cambiamento attraverso cui l'uomo diventa un 'soggetto' all'inizio della moderna metafisica e sul ruolo che in forza di ciò la soggettività ricopre nella metafisica moderna, potrebbe far sorgere l'idea secondo cui la storia più intima della metafisica e del cambiamento delle sue posizioni essenziali sia semplicemente la storia dell'alterazione delle autoconcezioni dell'uomo. Questa opinione [. ..] sarebbe un errore, che va oltrepassato». 6 «Ogni metafisica della metafisica e ogni logica della filosofia che tentino in qualunque modo di oltrepassare la metafisica ricadono fatalmente in essa, senza rendersi conto di ciò in cui ricadono». 7 C'è da chiedersi chi potrebbe mai essere un pensatore non metafisico, che non «ricada nella metafisica». Come fa Heidegger a immaginarsi che non possiamo rimetterci dal- /' illusione secondo cui l'oltrepassamento di Platone e di Nietzsche è un problema vero e urgente, e insieme cessare di essere metafisici. Questo interrogativo equivale a dire: «come.possiamo smettere di chiederci se la verità sia qualcosa di più che una utile credenza?» Nel generalissimo senso del termine «realista» reso corrente da Dummett, il problema sarebbe: «come possiamo disinteressarci delle controversie tra realisti e non-realisti?» Secondo Heidegger, ogni interrogativo posto in termini di oggettività versus soggettività, o di mondo versus uomo, o di verità versus verificazione è metafisico. Così, a differenza di Dummett, Heidegger non vuole riformulare in. modo più perspicuo, per riproporle in una nuova chiave, le tradizionali controversie tra realisti e anti-realisti. Vuole invece dissolverle. Pensa che se vogliamo porci al di fuori, al di là, al di sotto della metafisica, dobbiamo trovare un vocabolario che eviti di suggerire simili opposizioni. I tardi scritti di Heidegger sono un tentativo di sviluppare un solo gergo di questo tipo, che non sia nietzscheano più di quanto non sia platonico. 8 C'è un che di particolarmente frustrante nel sentirsi dire che ci si è impantanati nel vocabolario sbagliato. Preferiremmo sentirci dire, per esempio, che Platone e Nietzsche hanno commesso il medesimo errore, hanno accreditatola stessa falsa proposizione. Vorremmo che Heidegger criticasse Platone e Nietzsche con argomentazioni del tipo di quelle con cui Kant criticò Hume e Leibniz: cioè sostenendo che le loro rispettive posizioni, e i problemi connessi, derivano da due fraintendimenti complementari circa la natura della conoscenza. 9 Preferiremmo che Heidegger tematizzasse un elemento presente in Platone e in Nietzsche e che lo presentasse in una nuova prospettiva. Così da avere una risposta chiara e sincera quanto al problema del come escludere la metafisica, del come uscire dai suoi cardini. Nelle prossime pagine tratterò della difficoltà di trovare simili risposte, per problemi e assunzioni di questo tipo. Ritengo che Heidegger tocchi una questione metafilosofica centrale, che interesserebbe anche ai filosofi che si trovano perfettamente a loro agio nelle controversie realismo-antirealismo, o a cui non dispiace affatto pensare che Platone e Nietzsche sono i due poli tra cui deve oscillare il pensiero. Il problema è: poni che vuoi sottrarti a un dizionario filosofico, accantonarlo, diagnosticare che i problemi da esso sollevati sono pseudo-problemi, come fai? Come si fa a ·stare vicifli a un dizionario quanto basta per criticarlo, ma anche abbastanza distanti per non dover rispondere ai problemi posti nei suoi termini? Nel caso di dizionari più limitati, si può sempre ricorrere a altri dizionari neutrali, non messi in discussione, più ampi, più euristici, ma nel caso del dizionario condiviso da Platone e da Nietzsche non è ·affatto chiaro se ce ne siano. A mio avviso, l'importanza di Heidegger sta tutta nel suo tentativo di guardare a viso aperto questo interrogativo metafilosofico, e l'interesse principale delle sue ultime opere risiede nella lotta consapevole con questo problema. Ovviamente ha finito col darsi per vinto, suggerendo che dobbiamo semplicemente smetterla di criticare, descrivere o diagnosticare la tradizione Platone-Nietzsche. Possiamo solo cercare di dimenticarla. Sul finire della sua vita, scrisse: «Pensare l'essere senza l'essente, significa: pensare l'essere senza riguardo alla metafisica. Ma un tale riguardo domina ancora nell'intento di oltrepassare la metafisica. Perciò è necessario rinunciare a siffatto passar-oltre e lasciare la metafisica nel rimetterla a se stessa». 10 Secondo me qui Heidegger vuol dire che è letteralmente impossibile criticare la problematica Platone-Nietzsche senza sprofondarci dentro. Per cui non resta che ignorarla. Un simile atteggiamento è la più pesante prova a carico dell'irrazionalismo spesso imputato a Heidegger. In questa accezione di «irrazionalismo», chiunque scarti un problema senza discuterne i presupposti è un irrazionalista. Ma, nel caso di vasti interrogativifilosofici, non è affatto chiaro che cosa significhi trovare i loro presupposti. Il guaio è . che qui viene a cadere la differenza tra discutere il presupposto di un problema e dubitare della utilità del dizionario in cui è posto. 2. Ingenuità e benevolo oblio Per illustrarequesto punto, si consideri il vertiginoso interrogativo che Dummett ha posto sul tappeto, (per poi archiviarlo subito): se l'interrogativo intorno ali'esistenza di dati di fatto sia un dato di fatto. Si potrebbe definire questo interrogativo come il problema di un realismo metafilosofico. Mettiamo che uno voglia essere un realistametafilosofico. Che tipo di oggetti dovrebbe definire come esistenti? E poniamo che uno voglia essere un anti-realista metafilosofico. Dovrebbe dire all'incirca: credo che dipenda da noi stabilire quali problemi, ammesso che ve ne siano, non dipendono da noi. Presumibilmente non direbbe così, ma piuttosto qualcosa come: dubito fortemente che noi possiamo utilizzare la distinzione «dato di fatto» - «dipende da noi». Ma a questo punto gli potrebbero chiedere degli argomenti contro la distinzione e non sono sicuro che avrebbe la risposta più facile che Heidegger in una situazione analoga. Cercherò di mettere a fuoco questo problema metafilosofico esaminando le difficoltà di un filoso/ o che recente• mente ha avanzato dei dubbi circa la contrapposizione realismo vs anti-realismo nelle teorie scientifiche. Arthur Fine propone di adottare il minimo comun denominatore delle posizioni realiste e anti-realiste rispetto alle scienze della natura. Lo definisce «disposizione ontologica naturale», e lo caratterizza come la posizione secondo cui «si accettano i risultati confermati della scienza alla stessa maniera in cui si accettano i dati dei sensi». E sostiene che «ciò che distingue i realisti dagli anti-realisti è quanto aggiungono a questo nocciolo», proponendo di non aggiun-

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==