ed entusiasti senza dogmatismo. Morali, dunque, ed in questo tanto diversi da noi, che lo eravamo così poco. Da qualche parte Trotzki ha scritto: «Le questioni della morale rivoluzionaria si confondono con quelle della tattica e della strategia rivoluzionaria». In altre parole: tutto ciò che è politicamente giusto è moralmente buono, e perciò si ha il diritto (lo ha detto anche Lenin) di mentire, di imprigionare, e di uccidere. [... ] Nello specchio del tempo essi sono la nostra immagine rovesciata: noi eravamo l'utopia senza la morale - loro sono la morale senza utopia. Hanno ragione: 1986 è meglio. « Libération», 9 dicembre 1986 Per continuare La legge Devaquet potrà anche essere «ritirata»: dopo l'assassinio di venerdì sera non si tratta di mettere in causa la legge, ma l'esistenza stessa della polizia, improvvisamente percepita come una realtà inammissibile, mentre i suoi capi sono percepiti come criminali e provocatori. La moderazione tanto vantata degli stud~nti consisteva nel fatto di pretendere soltanto di opporsi all'autoritarismo del monologo statale. Volendo far intendere direttamente la loro voce, dovevano inevitabilmente affrontare i guardiani di quel silenzio su cui riposa questa democrazia che ormai non è altro che coabitazione di interessi mafiosi. Chi non 'si considera perfettamente rappresentato dai vari PS, RPR, PC, FN, che crepi. Così, per destabilizzare lo stato francese sarebbe sufficiente che una frazione della popolazione faccia conoscere senza intermediari il suo giudizio sulla sorte che le viene riservata dagli esperti del potere, cioè che essa pratichi realmente la democrazia. Ciò che è terrificante per tutte le gerarchie stabilite non è qualche vetrina rotta, ma la minaccia di estensione di questo movimento a tutta la società. Infatti queste due settimane di agitazione hanno dimostrato che ogni pretesto è buono quando tutto ciò che offre occasioni di rifiuto è malvagio. La modernizzazione dell'insegnamento non è che un dettaglio di un progetto di modernizzazione che è ovunque tossico come il Reno, bucato come lo strato di ozono. Si ripete con compiacenza che «i giovani sono ansiosi per il loro avvenire». Come se fossero capaci solo di preoccuparsi del posto che avranno nella gestione dell'avvelenamento, nella falsificazione della vita. Ma è l'umanità intera che ha tutte le ragioni di preoccuparsi, e non solo per il suo avvenire, ma per il suo presente chernobylizzato. Quanto all'avvenire dell'università, è lo stesso di un mondo alle prese con ogni sorta di aberrazioni, davvero terrorizzanti, dalla distruzione sistematica delle basi della vita alla barbarie della decomposizione ordinaria: oggi i flics sparano anche su chi cerca di impedire una rissa, come a Pantin. Come potrebbero la scuola e l'università essere migliori del mondo che esse si apprestano a gestire o a subire? Nondimeno, se questa società non ha nient'altro da insegnare che la sottomissione, c'è molto da imparare rifiutando di piegarsi agli ordini di coloro che pretendono di governarla. Quando questo rifiuto comincia ad organizzarsi in una lotta che vuole essere senza dirigenti né vedettes - che vada a cagare Harlem des Shires (deformazione del nome di Harlem Desir, leader contestato del movimento SOS Racisme, da alcuni accusato di leaderismo e di moderatismo, soprattutto in relazione alla questione del secondo ragazzo arabo ucciso dalla polizia il 5 dicembre e scarsamente preso in conto dalla dirigenza del movimento, N.d.R.) - allora que- • •sto rifiuto si collega spontaneamente con i movimenti di emancipazione del passato. Se esso respinge tutto quel che gli è stato detto del '68, continua ciò che nessuno gli ha detto del '68, riprendendone le esigenze più avanzate: la volontà di democrazia diretta, il controllo dei delegati da parte delle assemblee, la discussione libera per criticare tutto quel che è criticabile. Come si è gridato nelle manifestazioni di questi ultimi giorni: Maggio '68 è vecchio! Nell'86 facciamo meglio. Comité «Il n'est jamais trop soixante-huit tard pour bien faire» (Volantino diffuso alla manifestazione del 10 dicembre 1986) Paul Virilio Soprattutto, non parliamo di '68. Diciotto anni fa gli avvenimenti del Maggio erano, checché se ne dica, un bilancio preventivo, senza impegno, o quasi, mentre qui si tratta di un bilancio di fine esercizio di una generazione, responsabile di una mutazione che lascia la gioventù priva di eredità. Tra la contestazione, per lo più simbolica, della società dei consumi, e la critica della società della disoccupazione e della comunicazione a senso unico, vi è una singolare differenza di ambiente che vieta ogni analogia. «La rapidità di sviluppo delle tecniche contribuisce a far saltare le frontiere fra formazione ed attività lavorativa» come spiega uno specialista di economia del lavoro, Dominique Gambier. Più che sul livello di occupazione dei giovani e dei meno giovani, le nuove tecnologie hanno dunque un effetto sull'insieme dei sistemi di formazione professionale, con l'evoluzione verso la precarietà dei contratti di lavoro, ma anche di formazione scolare ed universitaria. [... ] Una specie di darwinismo sociale, di evoluzionismo accelerato in cui la lotta per la vita diviene sempre più feroce non solo nell'impresa, come si sa, ma anche nei vari livelli dell'insegnamento superiore. Non si può capire nulla di quel che accade oggi per le strade e nell'università se ci si rifiuta di analizzare i diversi parametri di questa crisi. Non si può ripetere in continuazione con Bernard Tapie (l'imprenditore-modello vincente ma progressista, una specie di ibrido fra Berlusconi e De B.enedetti alla francese, N.d.R.): «Diventate un vincente!» ed al tempo stesso rifiutare il dialogo con gli studenti che desiderano - come dicono loro - «realizzarsi pienamente». Non si può al tempo stesso favorire lo spirito di competizione e opporsi violentemente ai risultati di questa competizione pubblica che finisce nel contempo per rivelare temperamenti, talenti, ambizioni generose per l'università, ma soprattutto per la nostra società. Da due o tre anni in effetti si notano in questa nuova generazione, nonostante una certa sfiducia nell'avvenire, le premesse di un rilancio, di un soprassalto straordinario di volontà per sfuggire al disastro promesso, al nichilismo come al manicheismo circostante. Di qui l'onda di generosità, di volontariato che si esprime verso i più poveri in Francia, o verso i paesi della fame, attraverso un numero crescente di associazioni studentesche - come se la minaccia che pesa sul loro avvenire professionale li conducesse non a ripiegare su se stessi, ma a ritrovare il senso della solidarietà con i più indifesi, i nuovi poveri del «progresso post-industriale», il quale contribuisce ad aumentare il numero degli abbandonati alla loro sorte, non perché incompetenti, inadatti, come si dice, ma soprattutto perché incapaci di adattarsi all'ingiustizia, incapaci di accettare l'inaccettabile che consiste nel calpestare gli altri pur di riuscire. senso morale. Ma io mi interrogo su questi «vecchi giovani» che si congratulano dell'assenza di un progetto globale nel movimento di questi quindici giorni e vi vedono una superiorità del 1986 sul '68. Nel '68 si trattava di una critica globale della società, con il suo seguito di aberrazioni, illusioni ed estremismo. Il movimento dell'86 accetta la società esistente, e da qui viene forse il suo apoliticismo. Se si pensa che la società attuale sia la forma al fine trovata in cui vivere, allora non si può che ammirare il modo in cui il movimento agisce. Ma questo vuol dire che essi sono a favore dello status quo? Cioè sono a favore di una legge catastrofica come quella che si chiama legge Savary? Questa non è una critica del movimento, ma un incitamento a veder più lontano, e fra gli studenti ce ne sono molti che si pongono queste questioni. Lib. Perché? C.C. Per tre ragioni almeno. Primo: la classe operaia è uscita dalla scena, o quasi. Secondo: vi è stata dopo la guerra una massificazione della popolazione studentesca. Terzo: la cultura, l'immaginario capitalista, è in crisi, e ja gioventù ha sostituito la classe operaia in quanto principale forza di contestazione. Ma oggi, al contrario del '68, la società nel suo insieme e la cultura dominante non sqno messe in questione, il punto è solo il diritto al diploma. Io non sono sicuro che il movimento si batta solo per questo, credo piut- «Libération», 11 dicembre 1986 tosto che sia per il diritto al lavo- , ro, o, meglio ancora, per il diritto ,-------------- ... Intervista a CorneliusCastoriadis Libération. Cosa ti ha più impressionato in questi ultimi 15 giorni del uwvimento studentesco? C.C. In 15 giorni gli studenti hanno rotto con la passività che caratterizzava la società francese ed occidentale da vari anni. L'autorganizzazione di cui hanno dato prova è esemplare. Non solo hanno reinventato i delegati ma.anche la revocabilità dei delegati da parte delle assemblee, [... ] hanno dato prova di grande creatività e di saggezza insieme. [... ] Lib. Molti osservatori hanno insistito sulla dimensione «morale» del movimento. Che ne pensi? C.C. Certamente, il rifiuto della strumentalizzazione politica, così come il fatto di dire: «ci sono cose inaccettabili e nulla potrà farcele accettare» testimonia di un sicuro al sapere. Lib. Gli studenti hanno fatto un nuovo uso della parola democrazia, e fra loro, contrariamente ai loro predecessori, non ti pare che si sentano delle adesioni positive a tutta una serie di valori? C.C. Certo. Non si tratta solo di una presa di coscienza, ma della messa in atto di valori democratici forse in modo più esplicito che nel '68. La questione è sapere perché ciò che vale per gli studenti non vale per l'insieme della società, perché il sistema delle assemblee generali con delegati revocabili debba funzionare solo nelle facoltà. Nessuno vuol riconoscere questa validità al di là dell'ambito studentesco perché ciò sarebbe in contraddizione con il principio di irrevocabilità del potere politico. Lib. Tuttavia gli studenti sembrano avere agito anche in quanto cittadini, dunque il loro è un movimento civico, no? C.C. Sì, però non ci si può rallegrare della vittoria degli studenti e sostenere contemporaneamentè il sistema nel suo insieme. [... ] Nella logica dei grandi pensatori liberali la rappresentanza nazionale compete a 50 milioni di elettori, gli studenti sono un milione; è la nazione che deve decidere, non gli studenti. Ma si può obiettare'che il Parlamento è una parodia di rappresentanza. Non funziona. I veri poteri sono negli apparati dei partiti, e nell'ambito di questi ultimi in quegli elementi che detengono una superiore capacità di manovra. «Libération», 11 dicembre 1986 Appello Riproduciamo infine il testo di un appello pubblicato nel numero 476 (16-31 dicembre 1986) de «La Quinzaine littéraire» Les signataires appellent l'e11.- semble des intellectuels et artistes de toutes disciplines à s'associer à eux pour affirmer leur solidarité entière avec l'actuel mouvement des étudiants et lycéens. Un te! mouvement témoigne du renouvellement décisif de sensibilité qui est à l'reuvre dans !es jeunes générations. Il est porteur d'exigences de dignité, d'égalité et de respect d'autrui auxquelles il serait scandaleux de ne pas répondre. Il dit dans le meme temps son refus des projets que multiplient !es hommes du pouvoir et qui tendent à asservir. Nous faisons nòtres cette révolte, ces exigences, ce refus. Le 8 décembre 1986 Anne Andreu, André-Marcel d'Ans, Louis Arénilla, François Amai, Maurice-Dominique Arrighi, Sabine Azéma, Jean-Louis Bédouin, Loleh Bellon, Raymond Bellour, Robert Benay.oun, Luc Béraud, Pierre Beuchot, Maurice Blanchot, Jacques Blot, Robert Bonnaud, Patrick Bouchain, Michel Boujut, Pierre Bourdieu, Esther Brym, Christine Buci-Glucksmann, Daniel Buren, Miche! Butel, Michel Butor, Michel Camus, Alain Carbonnier, Jacques Cervione, Jean-Claude Chambon, Jean-Claude Charbonnel, Noelle Chatelet, Jean Chesneaux, Miche! Ciment, Marce! Cohen, Philippe Collage, Denise Colon, Alain Corneau, Claude Courtot, Alain Cuny, Didier Daenincks, Giles Deleuze, Jacques Demy, Jacques Derrida, Gérard Desarthe, Daniel Dobbels, Jean-Philippe Domecq, Marguerite Duras, Nicole Eizner, Anne Ethuin, Serge Fauchereau, Gaston Ferdière, Lucette Finas, Elisabeth de Fontenay, Roger Galizot, Patrick Genet, Roger Gentis, Francis Girod, Georges Goldfayn, Giovanna et Jean-Michel Gontier, Roger Gosse, Félix Guattari, Pierre Halbwachs, Edmond Jabès, François Jacob, Edouard Jaguer, Leslie Kaplan, Pierre Klossowski, André S. Labarthe, Dominique Lambert, Jean-Claude Lambert, Monique Lange, Roger Laporte, Robert Lapoujade, Jean-Jacques Lebel, Gérard Legrand, Michel Leiris, Jéròme Lindon, Jean-François Lyotard, Octave et Maud Mannoni, Dionys Mascolo, Monique Massafero, Claude Miller, Jean-Claude Missiaen, Jeanne Moreau, Edgar Morin, Maurice Nadeau, Bernard Noel, Paul Otchakovsky-Laurens, Evelyne Ortlieb, Claire Paulhan, Jean-Claude Pecker, Jéròme Peignot, José Pierre, Marie-Anne Pini, Anne et Patrick Poirier, François Poirié, Suzanne Prou, Dominique Rabourdin, Madeleine Rebé- "° rioux, Claude Régy, Denis Roche, Eli- .5 sabeth Roudinesco, Claude Roy, Jean- ~ Pierre Salgas, Anne Sarraute, ·Claude ~ Sautet, Max Schoendorff, Gérard Seb- "- bag, Louis Seguin, Jean-Claude Silber- ~ inann, Bertrand Tavernier, André Té- -. chiné, Guy Teisseire, Paule Thévenin, -9 ~ Claire Tiévant, Nadine Trintignant, .Q Serge Tubiana, Anne-Marie Urbain, .Q Agnès Varda, Jean-Pierre Vernant, ~ Pierre Vidal-Naquet, Jean-François ~ Vilar, Claude Viseux, Emmanuel i::: Wardi. s 'I.) Traduzioni dal francese l di Franco Berardi ~
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