Alfabeta - anno IX - n. 93 - febbraio 1987

Von Weizecken, per esempio, che è un filosofo e un fisico, prevedeva fra due anni una guerra nucleare limitata, ben inteso, tra sette estesa, tra dieci una guerra fatale. Ora Von Weizecken era una p·ersona con molti contatti con l'esercito tedesco e con il centro di alti studi strategici di Londra, perciò non parlava leggermente. Poi andai in Unione Sovietica, era al tempo di Andropov, e feci un'intervista ad Alicom, uno dei creatori della bomba atomica sovietica. Poi interrogai Zagladin, che è un personaggio importante del partito, e Albatar, responsabile dei rapporti tra l'Unione Sovietica, gli Stati Uniti ed il Canada. Da allora mi sono sempre occupato della bomba nucleare. Adesso voglio dire una sola cosa: tutto questo non è stato un atto di volontà, affatto, ma, si può dire, una spinta inconsapevole, inconscia. Il caso voleva che avessi una certa ripugnanza a scrivere articoli giornalistici sul Giappone. Allora l'interesse era inconscio, però, piano piano, sono passato alla piena consapevolezza. Voglio dunque esporre quello che so di questo problema, di quello che sta succedendo oggi. Dal punto di vista militare e tecnologico nel 1945 c'erano tre bombe atomiche in tutto, erano quelle degli Stati Uniti. Una bomba atomica all'uranio venne gettata a Hiroshima, e un'altra, al plutonio, venne gettata su Nagasaki. Ora né l'una né l'altra erano necessarie. I militari probabilmente avevano bisogno della affermazione americana in vista del futuro. La bomba atomica era un'arma tremenda. Gli scienziati... insomma il discorso è un po' complicato; inoltre, fatto così affrettatamente, si rischia di cadere nella propaganda a favore o contro qualche nazione e la cosa non mi interessa. Io penso che ci sia una certa differenza tra scienza e coscienza: scienza vuol dire sapere come è fatta una cosa tecnicamente; coscienza vuol dire prenderne atto, viverla fino alle sue ultime conseguenze. Faccio un paragone un po' frivolo: un ragazzo sa bene come è fatto il corpo di una donna, ma prima che prenda coscienza di come realmente è fatto ci vogliono degli anni. Ora voi direte che questo è un rapporto, una cosa un po' strana ma è così, la coscienza è lenta. • Ora, dopo quel fatale 1945 nel quale la bomba non era necessaria, devo ancora sottolinearlo, il progresso è stato questo: che gli scienziati si sono accorti, hanno preso coscienza. Ci sono state delle dichiarazioni sicuramente molto veementi per sospendere la costruzione delle bombe ecc... Però ormai la mano era passata ai militari. Dal 1945 in poi le bombe sono arrivate a 50.000. Oggi non si sa cosa faranno di queste bombe, perché basta l'un per cento di 50.000 bombe o anche meno per distruggere ciò che noi chiamiamo la civiltà. Comunque è molto problematico il motivo per cui sono state moltiplicate le bombe, non si capisce. Weinberger ha detto: «Per presentarci al tavolo della pace e ottenere buone condizioni». Questo è abbastanza strano, perché dopo la guerra nucleare non c'è tavolo della pace. Ora l'Unione Sovietica non è rimasta indietro in questa gara, c'è stata persino una bomba da sessantacinque megaton sperimentata nella Novalia Zemblar; un po' come quel grande cannone nel cortile del Cremlino, che non ha mai sparato, ma non è una cosa emblematica. A questo punto, dopo averci costruito sotto il naso due arsenali di questo genere, adesso i due paesi, l'Unione Sovietica e l'America, hanno la faccia tosta di' venirci a dire: «Vi salviamo dalla bomba atomica», e questa è una delle cose più strane che si possa immaginare: perché non ci hanno pensato prima? Ora la bomba non si può abolire. La bomba, tutte le bombe esistenti, si potranno certamente spedire nel cosmo, oppure in fondo al mare, il che è abbastanza difficile, ma si può fare; però il brevetto, l'invenzione della bomba è sempre lì; in futuro un piccolo paese, non so, qualsiasi paese, diciamo San Matino, potrebbe ricostruirsi la bomba con mezzi di fortuna. Dunque, noi siamo costretti, condannati a convivere con la bomba. Noi abbiamo convissuto con una quantità di armi. Abbiamo convissuto con le frecce, con gli archibuFebbraio 1987 Numero 42 Anno 5 Lire 5.000 tra: la bomba esercita un grande fascino, e questo grande fascino, ahimè, ha a che fare con la cultura. E qui vengo al piano culturale. Io penso che sia molto difficile disfarsi della bomba. Ho detto ad esempio a Mosca, a Zagladin: «Ma lo capite che se anche vi disfate delle bombe il brevetto ci sarà sempre, la formula si troverà sempre? È più facile abolire la guerra». Allora mi ha risposto: «Lei ha ragione. È più facile abolire la guerra che abolire la bomba. Però come si fa ad abolire la guerra?» Io ci ho pensato un po': Malinowski a un certo punto afferma: «Se l'incesto fosse continuato non Sciermi &periermi AIDS: un problemadi tutti Il baconellapera: dossiersullaricerca in agricoltura Donnee buoi dei paesiche vuoi: matrimonicombinatie psicosi Val di Stava:fu una strageannunciata Il secondonumerodellaserierinnovata,a colori,con notizie,servizi,nuoverubriche In tutte le edicole e nelle migliori librerie EdizioniMediaPressesrl - ViaNinoBixio,30 - 20129Milano gi del Medioevo, coi fucili di Napoleone, coi cannoni di Bismark e via di questo passo. Perché ci ripugna talmente vivere con la bomba? La domanda esige una risposta: ci ripugna perché la bomba segna la fine della Terra e noi invece vogliamo far la guerra. Fare la guerra a tutti i costi. Cos'è una guerra? È un conflitto in cui ci sono vinti e vincitori. La guerra atomica non lascia vincitori e neanche vinti, ben inteso. Lascia il vuoto. Hanno detto che non lascia soltanto il vuoto: lascia il deserto. Sull'inverno nucleare sono state dette tante cose, però pare assodato che sarebbe stato possibile creare la società. Bisognava creare il tabù». Ora, il tabù dell'incesto è uno dei più grandi successi dell'umanità. Possono convivere insieme persone di diverse età, di ambo i sessi senza desiderarsi. Questo è veramente un grande successo. Ora, io pensai: perché l'umanità non può creare il tabù della guerra? La guerra oggi non è più la guerra, è la fine della specie, cioè proprio quella condizione in cui Malinowski riconosceva un ostacolo assoluto al progresso della umanità. Perciò non si potrebbe creare questo tabù. Glucksmann, un filosofo . per sapere cosa leggere tutti i giorni laRivisteria Catalogo dei Periodici di Cultura 1987 ==,_$CU~~= la Rivisteria - Via Daverio 7, 20122 Milano te/. 02/5450777 ABBONAMENTO CUMULATIVO: L. 35.000 privati - L. 50.000 enti e biblioteche CCP 46315206 la bomba distrugga tutti gli organismi più grandi e più forti, animali e vegetali e lascia invece vivi gli insetti e l'erba. Hiroshima, a quanto pare era piena di mosche, ben vive. Ora, questa bomba dovrebbe essere così controllata, limitata, da somigliare a un certo punto a un obice di normale artiglieria. Allora io dico, perché non sparare gli obici di normale artiglieria? Se una bomba è talmente controllata e limitata che può essere controllata la sua espansione, i suoi gas ecc... , tanto vale continuare con le cosiddette armi convenzionali. No, la verità è un'alfrancese, saputo che io parlavo del tabù della guerra, disse che ero un cretino. Ve lo dico come me lo ha riferito una mia amica, che gli ha risposto tirandogli la borsa in testa. Glucksmann è svenuto. Ora, vorrei dire una cosa: sì, naturalmente il tabù della guerra sarebbe la cosa migliore, però, purtroppo si pone una domanda: prima o dopo? Cioè, prima del lancio della bomba atomica o dopo? E se dopo, cosa succederà? È molto probabile che ci sia un'umanità mutata, cioè che non sia più l'umanità di oggi. Tutto dipende molto dalle condizioni atmosferiche, fisiche, ecc... , del pianeta che seguiranno a un inverno nucleare. E allora bisogna risalire dalla bomba a noi stessi che potremmo lanciarla, che potremmo farne uso, pur sapendo che significherebbe la fine della specie. Dunque, qui interviene quella che si chiama cultura. Io direi questo: stiamo vivendo una crisi profondissima e per ora insanabile della cultura occidentale che include anche l'Unione Sovietica. L'Unione Sovietica appartiene di diritto all'Occidente. Sono stato da poco in Cina. La Cina ha, ben inteso, la sua brava bomba atomica, nel deserto del Sinkiang, non ne ha molte ma può farne quante ne vuole, però devo riferire un'impressione che ho avuto. In Cina, forse perché è un paese così profondamente contadino, o perché è un paese indipendente dalla cultura occidentale, in Cina ho sentito come una distensione dei nervi. In Europa, compresa l'Unione Sovietica, noi viviamo una nevrosi che in Cina non ho sentito. Ora, questa nevrosi ha a che fare con la crisi della civiltà occidentale, compresa l'Unione Sovietica, anzi, soprattutto questa, perché la letteratura, la grande letteratura dell'Ottocento in Unione Sovietica ha già precorso tutte queste cose. Noi non dobbiamo dimenticare che siamo figli, come romanzieri, del romanzo inglese, francese, ma anche russo, e della filosofia tedesca. Questa crisi culturale, è una crisi che Freud ha chiamato «pulsione di morte». A questo punto si inserisce la poesia, cui è stato dedicato questo incontro, la poesia e anche la letteratura. La poesia non ha certo aspettato il nostro incontro per testimoniare lo stato 'delle cose. Io credo sinceramente che nella poesia moderna, e anche nel romanzo moderno, il disordine della ciyiltà occidentale sia già stato rappresentato molte volte in maniera molto efficace. Ci sono due maniere secondo me di rappresentare questo disordine. Una è la maniera «mimetica», cioè la scrittura riprende quello che chiamo il disordine, senza far nomi; facendo dei nomi: una scrittura come quella di Joyce, che nel famoso monologo di Molly Bloom cerca di riprendere, di recuperare in maniera mimetica la crisi della forma nella civiltà occidentale. Ho detto Joyce per citare un caso macroscopico, ma tutta la nostra letteratura ha fatto questo e spesso la nostra poesia, semplicemente, ci dice che è impossibile far della poesia, e questo non è un recupero della crisi in Occidente? Non crediate che io pensi che la letteratura debba diventare pacifista, per niente. Uno dei più grandi libri della letteratura mondiale, come voi sapete, è l'Iliade, e non si può dire che l'Iliade sia un libro pacifista. No, io penso che ci possa essere un'altra maniera oltre quella mimetica, di porsi di fronte al disordine della civiltà occidentale e questa maniera è la maniera intellettuale, la maniera cioè del capire, dell'andare fino in fondo ai motivi, e di fare di questi motivi, motivi di rappresentazione, di poesia. Allora ci sono due modi: uno mimetico che recupera il disordine col disordine del linguaggio, e uno intellettuale, saggistico, insomma, contenutistico, il quale ci parla di queste cose in maniera comunicativa e comprensiva. Sì, d'accordo queste sono le due vie ma ce n'è forse una terza. Facciamo un grande nome: Shakespeare. Amleto è un duplice capolavoro: è comprensibile soltanto ai cosiddetti partecipanti ai lavori, addetti ai lavori, ma al tempo stesso è un dramma estremamente chiaro anche per un uomo incolto, per forza di poesia. Sì, ma che cosa vuol dire poesia? Quando si parla di ispirazione credo che si parli di una rapidissima serie di operazioni razionali, che non possiamo controllare, e che perciò producono in noi l'effetto di essere ispirati; in realtà con velocità pazzesca sviluppiamo delle operazioni razionali. La speranza sarebbe questa: che gli scrittori e i poeti scrivessero poesie e romanzi senza ·sacrificare nulla dell'arte, della necessità dell'arte, e al tempo stesso però ci dicessero se hanno fatto l'esperienza culturale dell'epoca nucleare. Le ((colpe~dei poeti Antonio Porta Mi attengo allo schema della conversazione e preferisco riounciare agli appunti che avevo preparato e riparto dalle sollecitazioni degli interventi. Vorrei cominciare con quella che potrebbe sembrare una provocazione, che riguarda proprio la posizione dei poeti e degli scienziati nella nostra cultura. Io non sono affatto convinto di quello che sembra un presupposto tacito di questi nostri discorsi, cioè non sono niente affatto convinto che i poeti siano innocenti, anzi, io credo che i poeti siano colpevoli, almeno molti poeti. Perché? Perché i poeti hanno accompagnato la storia della cultura umana contribuendo a disegnare le figure del mito. Il mito è, lo sappiamo bene, un principio d'ordine, legato da una parte al dominio della natura, come diceva Francesco Leonetti, e dall'altra al controllo sociale. Dentro i miti si agitano le grandi figure che seducono e controllano l'umanità. Se inseriamo la Bomba dentro la storia dei miti, direi che i poeti hanno fatto molto per figurarla, forse per desiderarla. Moravia ha pronunciato una frase molto incisiva, ha parlato del fascino della bomba. La bomba ha un fascino mitico indubitabile. Molti di coloro che hanno visto il film The Day After, sono rimasti colpiti dalla straordinaria bellezza dell'esplosione termonucleare, come fiamma finale, come olocausto desiderato e liberatorio. Stamattina hanno citato Baudelaire, potrei citare Svevo. Insomma tutte le poetiche della fine sottendono il desiderio di farla finita con l'umanità. Un aneddoto. Una volta Einstein parlando con un fisico suo amico gli disse: «Io non so esattamente quello che succederà nella terza guerra mondiale, ma sono sicuro che la quarta sarà combattuta con le clave». Il suo amico gli rispose: «Ma perché tu sei così interessato alla sopravvivenza dell'umanità? Che cosa te ne importa?» Einstein fu molto colpito da quest'obiezione radicale. Devo dire che i poeti questo sogno della distruzione dell'umanità lo hanno coltivato troppo. Stamattina Matte Bianco lamentava il fatto che la poesia moderna in generale fosse difficile, incomprensibile e destrutturata ecc... In realtà forse i poeti meno colpevoli sono proprio i poeti moderni, perché hanno introdotto nella poesia la critica dello stesso linguaggio poetico e si sono rifiutati di rimanere complici di quello strumento di dominio che può essere anche la poesia. Quindi trovo abbastanza ipocrita una contrapposizione tra poeti e scienziati, cioè i poeti sarebbero i critici puri della scienza e gli scienziati sarebbero i primi esecutori del potere. In realtà a me sembra di più il contrario: vero è che gli scienziati a volte sono degli esecutori ma è altrettanto vero che i poeti stanno spesso dalla parte di coloro che oggi vengono chiamati «decisori», appunto i detentori del potere, per usare un linguaggio più comune.

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