nell'atomo. Ho la sensazione che probabilmente, se si continua la via del distinguere, stabilire rapporti, non ci fermerà mai nessuno: il cammino della scienza non si ferma mai. D'altronde noi abbiamo la tendenza iniziale e centrale di essere uno con tutto. Mentre siamo qui riuniti a discutere di un problema che ci preoccupa, in un certo senso possiamo dire che ognuno di noi si sente tutti gli altri allo stesso tempo, un modo misterioso di essere che cozza con quello dello scienziato. Direi che in ognuno di noi esiste una antinomia costitutiva: essere uno con tutto e, allo stesso tempo, essere individuo. Si potrebbe dire che la logica del poeta è una non logica. Possiamo descrivere le violazioni della logica che fa il poeta. In proposito, vorrei fare una riflessione: come può un poeta contribuire al bene dell'umanità, a destare grandi emozioni in ognuno di noi? Io credo proprio essendo poeta e non facendo esperimenti scientifici con la poesia. Allora io direi che nella poesia si è arrivati a un punto in cui, a me pare, si legge, ma non si sente, né si capisce niente. Si è arrivati ad una specie di dissoluzione di struttura e non possiamo vivere così. Il poefa unisce tutto, ma entro un certo organo; quando c'è caos totale allora non c'è significato. L'interessante, dicevo, è come in 2.500 anni in un unico elemento si è arrivati a scoprire più di duecento particelle: arriva un momento in cui lo scienziato può dominare la natura attraverso questo dividere. La logica aristotelica è stata molto utile nel dominio della natura, ma è lenta. Ho sentito dire più di una volta che per arrivare dalla fissione dell'atomo alla fusione si ha bisogno di altri 50 anni di lavoro duro, difficile: forse allora potremo avere tutta l'energia che vogliamo dall'acqua. Credo che siamo in un momento in cui lo scienziato ha bisogno della logica o della non-logica del poeta. La scienza ha progredito facendosi ogni volta più ardua, più dura. Ricordo, quando studiavo algebra astratta, che c'era un testo, molto famoso, di una disumanità per me spaventosa: non vedo perché non si possa fare scienza anche col cuore. Io credo che adesso la scienza sia in un momento molto difficile perché, come si deduce dall'ultimo libro del professor Toraldo di Francia, alla fine si arriva a questo: l'elettrone o le particelle si possono individuare, ma ad un certo punto esse perdono la loro individualità, si fondono con le altre, come si dice in fisica, ma non sono distinguibili. È quello che fa il poeta semplice quando è un buon poeta; allora, in quel caso, forse bisognerà creare una nuova logica per la Terra. Sembra che la logica aristotelica possa continuare a servire, ma ha bisogno di altre cose come la codificazione della logica del poeta: forse così si arriverà a unire scienza e poesia. In questo modo io credo che possiamo fare molto. Adesso una cosa puramente specialistica. Quando come psicoanalista e psichiatra individuo le differenze che distinguono un uomo dall'altro, mi accorgo che le posizioni di ognuno sono in relazione con la propria storia. Non possiamo cancellare la nostra storia .. La psicoanalisi ha aperto un cammino completamente nuovo e credo che esso sia così difficile che anche noi psicoanalisti ci siamo adagiati nelle cose più facili di Freud, senza avventurarci nelle profondità dell'inconscio, che non conosce il principio di contraddizione né il tempo; si potrebbe dire che non conosce lo spazio. Io credo che, approfondendo questo tema, scopriremmo che la tecnica psicoanalitica, benché abbia meno di cento anni, è ancora ai suoi albori. Sono convinto che si potrà arrivare a capire l'uomo e ad aiutarlo, ma quanto tempo ci vorrà? Le nostre cognizioni sono ancora troppo vaghe da un punto di vista scientifico. Quando rileggo Freud, alla luce delle mie meditazioni sulla sua opera, a volte trovo che egli è arrivato alle stesse mie conclusioni, soltanto usa un linguaggio diverso. Citerò un esempio. Freud dice: «I processi del sistema inconsci~ sono atemporali». Per questa posizione sono stato criticato da alcuni logici. Un logico sarebbe un bersaglio facilissimo perché dice che un processo è, per definizione, qualcosa che si svolge nel tempo, come si può allora parlare di processi atemporali? Ciononostante Freud ha perfettamente ragione. Se guardiamo una certa manifestazione, dal punto di vista del pensiero è un processo, dal punto di vista del sentire profondo non è un processo, è fuori dal tempo. Allora questo è un inizio; io credo che riusciremo a cambiare l'uomo, la cosa più difficile è cambiare l'esperienza dell'uomo. Forse col passare del tempo, con i computer, con metodi elettronici, si riuscirà a cancellare il passato negativo di,ognuno di noi, ma, così facendo,· saremo cancellati anche noi, perché il nostro passato, per quanto doloroso, è parte di noi e di tutte le reazioni che abbiamo avuto. Ma sia per la via scientifica che per la via poetica la ricchezza dell'uomo non sarà esaurita. C'è qualcosa che va oltre, ma non voglio pronunciarmi su questo; vorrei finire dicendo: la ricchezza spirituale dell'uomo è il miglior amico dell'uomo, ma è anche il suo peggiore nemico perché è quella che ci porta tanti guai. Dobbiamo fare i conti con questo fatto: esistono nell'arte e nella scienza possibilità che superano se stesse. Fabbricare strumenti G. Toraldo di Francia Non voglio anticipare quello che dirò in seguito ma vorrei dire qualcosa su un argomento, perché sono stato stimolato dagli interventi precedenti: quello della responsabilità degli scienziati, quello delle accuse, delle controaccuse. Bernardini dice: noi siamo i suonatori dell'orchestra, non siamo noi che dirigiamo. Un altro ribatte: sì, ma la bomba l'avete fatta voi. Io vorrei invitarvi a una riflessione>•assoIutamente spassionata: vediamo come stanno le cose; e vi inviterei a riflettere: com'è che l'uomo è •diventato uomo? Ormai lo sappiamo abbastanza bene: uno dei fattori principali, forse il principale, di umanizzazione, quello che ha trasformato l'australopiteco in homo nelle sue varie specie, è stato il cominciare a fabbricare strumenti, a scheggiare pietre. Ora tutti sanno che una pietra scheggiata col bordo tagliente poteva essere usata per fare altri strumenti, per la caccia, per tante altre cose importanti, ma certo poteva essere usata per ammazzare un altro essere umano. Quindi voglio dire questo: noi con lo studio della natura e con l'intenzione di riuscire a trasformare l'ambiente nel quale viviamo a nostro vantaggio, a vantaggio dell'umanità, abbiamo fornito dei mezzi che ovviamente potevano essere usati anche contro l'umanità. Con questo non voglio sottrarmi alle responsabilità, siamo responsabili tutti di questo fatto. Più ci umanizziamo e più ,J.bbiamo la possibilità di intervenire in modo malefico sul prossimo. Quindi non scarichiamo l'uno sul- !' altro accuse e controaccuse, diciamo semplicemente che, proprio perché siamo diventati uomini, e lo siamo diventati in quel modo, abbiamo il dovere di diventare sempre più responsabili delle nostre azioni; e questo è forse anche quello che Bernardini voleva dire: richiamare tutti coloro che hanno responsabilità politiche, coloro che si occupano di cultura, richiamare i poeti, gli scienziati, a responsabilizzare sempre di più l'uomo, le organizzazioni umane in maniera da essere degni di questa umanizzazione che non può che proseguire con la conoscenza sempre più approfondita della natura, conoscenza che ci dà delle possibilità estremamente pericolose. Dobbiamo convivere con questo, come dice Moravia, non c'è niente da fare: conviviamo con questo! È inutile escluderlo, quindi traiamone le conseguenze necessarie. Situazione terminale Francesco Leonetti A me sembra che se ora ci troviamo in una situazione terminale, o prossimamente o possibilmente terminale, ciò che possiamo anzitutto fare è precisamente da ,dove comincia la situazione che evolvendo ci ha portati fin qui. Ho sentito l'interpretazione molto acuta e diffusa che è stata esposta da Toraldo di Francia, e fa riferimento all'istintualità m termini antropologici: la fabbricazione del ciottolo lavorato, cioè l'aggressività, che diventa fabbricazione di utensili. Questa è una tesi già profondamente freudiana: la guerra è insuperabile, nel famoso carteggio con Einstein, perché l'aggressività umana si dà dei mezzi per realizzarsi. Mi sembra che da un punto di vista che oggi ci interessa in modo più nuovo, o in modo ulteriormente nuovo, che è quello ecologico più profondo, il luogo di partenza sia un altro, sia quello che viene definito correntemente da noi: dominio della natura. Poco fa, nella sua conversazione ricchissima di rapidi riferimenti, Matte Bianco ha introdotto esattamente questa frase: la logica aristotelica ~ stata molto utile al dominio della natura. Dò così un esempio, nel rispetto per i testi di Matte Bianco di cui sono lettore, del livello di diffusione completa di questa nozione, di come è non discutibile, di come è diventata una nozione della nostra pratica di vita continuamente. È su questo punto che si ferma abbastanza nettamente Bateson, laddove costruisce un'ecologia, assai articolata con le varie discipline che egli frequenta, per dire: è insuperabile, almeno nell'ambito della civiltà greco-moderna, questa nozione di dominio della natura. Essa emerge come stacco dalla natura; e proprio per passare dal momento dell'in sé (immissione nella natura) al momento del per sé (pura consapevolezza) si forma il concetto di dominio sulla natura. Da questo concetto parte tutta la società sto~ica, di cui la fabbricazione di utensili e successivamente la produzione, infine la produzione che indichiamo come «capitalistica», sapendo bene quale complessa definizione essa comporta, sono i caratteri maggiori. Ciò si sviluppa senza interruzione, con una accelerazione costante che è totalmente fatta di dominio incapace, impossibile, sulla natura. Come dice Engels, i processi naturali sono infinitàmente più lenti di quelli mentali; e, per comparazione, infinitamente più lenti di quelli computerizzati. In questa situazione mi pare che sia giusto, piuttosto, mettere l'accento su questo atteggiamento, sapendo che studiosi di varie discipline, dall'antichistica all'antropologia nell'indagine del periodo preistorico, e studiosi del pensiero selvaggio, pongono in evidenza come c'è un altro rapporto con la natura, c'è un rapporto con la natura che è «armonioso», cioè di interazione autentica, senza quello stacco su cui non vi è quindi un compenso. La gravità e la radicalità della situazione credo che emerga davanti a tutti, e tutti sappiamo che è impossibile togliere a noi, nella nostra visione del mondo, la nozione di dominio della natura. Quindi noi non possiamo tornare indietro, a prima delle società storiche, in cui questo dominio sulla natura non c'era; ma dobbiamo trovare una soluzione che ci permetta, nel processo accelerativo estremamente veloce, in cui siamo giunti alla fase terminale, una qualche autocorrezione. Tutti sappiamo che l'autocorrezione in piena epoca moderna è stata studiata nel testo marx-engelsiano e si chiama «finalità sociale». Una finalità sociale vuol dire che nell'atto della produzione, o fabbricazione organizzata di oggetti, occorre darsi un fine non speculativo ma sociale - e naturalmente anche ambientale, non solo del gruppo umano-. Ciò è stato accantonato. La finalità sociale resta come nostra etica irrealizzata, nella società entropica oppure repressiva che è dell'uomo storico con le sue forme attuali di potere. C'è un'autocorrezione possibile rispetto al dominio sulla natura? Credo che possa darsi solo con un'ulteriore consapevolezza di tipo nuovo, con un altro modello logico. E credo che le nozioni che ora corrono fra noi, sia fra gli scienziati che fra i poeti - che sono molto simili, e che, certo, entrambi fronteggiano e subi-
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