scomparsa dell'amore umano, la sparizione delle poesie di Wang_ Wei, della musica indiana, della Cappella degli Scrovegni non saranno neppure una macchia di ruggine sulle rotaie su cui si muove la stella più minuscola. Le leggi che reggono l'universo non richiedono affatto la nostra complicità, vanno perfettamente, qualsiasi cosa succeda. Dicendo questo, vorrei raccomandarvi la disperazione come punto di partenza, come posizione in cui si può trovare la possibilità di accettare il fatto nucleare. Per un pugno di riso Carlo Bernardini Da qualche tempo a questa parte quelli che fanno il mio mestiere sono trattati un po' come l'incarnazione del male, e questo forse non per colpa di un particolare poeta ma della poesia stessa, perché molto spesso quello che succede è che si trattano queste cose - le bombe, le centrali - come se fossero dei grandi oggetti impersonali, si attribuisce un significato cosmico a questi oggetti, si punta tutto su questo significato, si cercano i responsabili vicini e poi, siccome il significato è cosmico, la maggior parte della gente allarga le braccia, il che vuol dire che non sono ancora state trovate le metafore della dimensione giusta, perché il significato non è per me così cosmico. Queste cose hanno un significato nella collocazione della cultura contemporanea e quello che forse non sappiamo ancora vedere è questa collocazione. Perciò cercherò di dire brevemente ma, visto che siamo in pochi a pensarla così, forse rubo 5 minuti in più. lo credo che una delle cose più difficili che possa capitare a un uomo di fare è quella di spiegare il ruolo di qualcosa nella cultura e in particolare di spiegare il ruolo della cultura scientifica nella cultura di più largo godimento. In primo luogo perché arrogarsi il diritto di spiegare un simile fatto generale appare presunzione bella e buona; in secondo luogo perché a molti sembra che non ci sia niente da spiegare, cioè che per loro sia ovvio e comprensibile. Eppure non è così. Io penso che ci siano cose da dire sulla cultura contemporanea che sono dette in modo imperfetto, ma certamente ci sono studiosi autorevoli, studiosi dello specifico, che ogni tanto hanno aperto gli occhi al di fuori dello specifico per osservare che c'è. una grossa frattura fra lo sviluppo culturale, specie lo sviluppo culturale specialistico e l'evoluzione dei comportamenti. Per esempio un fisico tedesco emigrato in Inghilterra durante il nazismo, Kurt Mendelson, in un suo libro che ha un titolo molto significativo - La scienza e il dominio dell'Occidente - ha osservato che: «Un fatto spettacolare è la rapida ascesa della scienza e l'effetto del tutto trascurabile che ha avuto sui comportamenti morali dell'uomo». Mendelson non aggiunge altro, non sa esattamente cosa dire, ma sul rapporto temporale fra sviluppo della scienza e comportamenti morali io vorrei ricordare, proprio per la sua brutale semplicità, una cosa che è scritta in un libro che raccoglie le lettere di Robert Oppenheimer. È un libro curato da Allis Kimball Smith e Charles Winer. Verso la fine del libro si trova questa descrizione che è una delle cose più agghiaccianti che io abbia mai letto: «La bomba all'uranio fu sganciata su Hiroshima il 6 agosto; la bomba a implosione al plutonio su Nagasaki il 9 agosto e il 15 agosto cessarono le ostilità. Los Alamos cercò di celebrare uno di questi avvenimenti con una grande festa. La riuscita fu segnata dall'ambivalenza: non. solo la festa fu uno squallido fallimento, ma in seguito le persone non si trovarono d'accordo nel ricordare quanto si svolse. Qualcuno disse che tutti erano troppo stanchi dopo Alamo Gordo, altri che nessuno festeggiava Hiroshima. Negli anni seguenti Oppenheimer si ricordava sofo che aveva fatto una capatina, aveva trovato fuori un giovane capogruppo, abitualmente con i nervi a posto, che vomitava tra i cespugli e aveva pensato: 'È incominciata la reazione'.» Questo forse è il massimo esempio di contraddizione tra il ruolo presunto e quello reale della cultura nel mondo contemporaneo. Ve ne sono, naturalmente, anche. di minori e di più vicini alle nostre incombenze quotidiane. Quello che voglio dire è che, nella nostra cultura, così com'è, è scontato che se inventiamo una bomba di nuovo tipo, eventualmente in grado di Tuttavia la trappola per scimmie è una metafora molto povera che basta appena a rendere l'idea, va perciò rianalizzata anche quella: la situazione è enormemente più complessa di così perché lo stimolo a produrre, ad inventare è largamente appoggiato da necessità concrete e lo sarà sempre di più. I demografi sanno, per esempio, che la popolazione mondiale è molto accuratç1mente valutabile in funzione del tempo, in base ad una formula molto semplice che riproduce con errore trascurabile i dati degli ultimi quattro secoli, ed è addirittura compatibile con ciò che si sa sugli ultimi duemila anni. Questa formula dice che nel 2000 ci saranno 6,6 miliardi di abitanti sulla Terra, poco meno di due miliardi in più di oggi. • La differenza fra il 2000 ed oggi sarà concentrata nei paesi sottosviluppati, e il problema di come possa sopravvivere tutta questa gente diventerà drammatico. VoRivista trimestrale fondata da Adelio Ferrero in edicola e in libreria il numero 47 nel nuovo formato a colori 100 pagine Lire 10.000 In questo numero: Lo spazio del film scenografie, architetture, paesaggi Sklovskij e il cinema Ardant, Fabbri, Ferrari, Imhoof, Sorliri, Tanner, von Trotta Abbonamento a quattro numeri Lire 35.000 Inviare l'importo a Cooperativa Intrapresa Via Caposile 2, 20137 Milano Conto Corrente Postale 15431208 Edizioni Intrapresa distruggere l'umanità, vi siano sempre argomenti che spingono a farla e mai argomenti che spingono a non farla. Se non è una bomba, è un oggetto chimico o addirit- • tura un oggetto superfluo: tutto ciò che si può fare si fa. Gli altri interventi, gli_interventi riparatori, si fanno sempre a posteriori, questo è il marchio della nostra cultura. Quindi non è il caso di riflettere sul ruolo della cultura nel mohdo contemporaneo. Spiegherò quello che intendo per cattivo stato della cultura contemporanea con una metafora se volete tecnica. Questa metafora consiste nella descrizione di una trappola indiana per acchiappare le scimmie. Forse sapete che le scimmie sono ghiotte di riso bollito; allora gli indiani costruiscono una specie di recinto in cui le scimmie non possono entrare. Su un lato del recinto c'è un muretto dove è praticato un foro di diametro abbastanza grande perché la mano allungata di una scimmia vi possa entrare per afferrare il riso che è in una scodella al di là del muro. Le scimmie acchiappano il riso e chiudono il pugno ma questo non passa più per il foro. Gli indiani hanno scoperto che le scimmie conoscono bene il valore del riso ma non conoscono il valore della libertà, cosicché non aprono il pugno abbandonando il riso per potersi liberare. Perciò gli indiani acchiappano le scimmie e se le mangiano senza tanti complimenti. Ora io credo che molte cose che noi facciamo siano trappole per scimmie con l'aggravante che le inventiamo noi stessi per restarci presi dentro. Il ruolo della cultura mi sembra perciò molto sbilanciato verso il desiderio di procacciarsi beni, e assai meno rispettoso del desiderio di non fare danno a diritti elementari. glio dire che il valore del riso, per ragioni di sopravvivenza, sarà ancora almeno altrettanto importante che il valore della libertà, quindi cerchiamo di non sognare troppo; in realtà è inverosimile che tanta gente possa esistere senza un impiego razionale delle risorse. Si dice che il cammino del benessere è lungo e faticoso ma noi sappiamo che il mondo sviluppato è solo un quarto del totale, adesso, e sarà sempre meno col passare degli anni. Appena duecento anni fa versava nella più nera indigenza ed era totalmente diverso dall'attuale. Se dimentichiamo per un attimo la storia dei borghesi cittadini e andiamo a riguardare la storia delle campagne e delle fabbriche, cioè la storia delle maggioranze nel Seicento e nel Settecent0 troveremo che è completamente diversa da quella che normalmente ci frulla nella testa. Per rifare questo viaggio si può ricorrere a Piero Camporesi, per esempio, che è una guida eccellente nel paese della fame. Coll'uso razionale delle risorse possiamo far compiere un cammino assai più breve verso forme. elementari di benessere ai tre quarti della popolazione mondiale attuale. Questo servirà a concedere loro un po' di tempo per riflettere sul valore della libertà senza essere assillati dal valore del riso. Ma è qui che il ruolo della cultura dei paesi benestanti viene a mancare. L'idea che i sottosviluppati possano approfittare dell'uso razionale delle risorse per avere il tempo di riflettere a modo loro sul valore della libertà non fa parte dei programmi culturali. La nostra cultura si rivolge perciò a programmi di dominio e continua a costruire bombe solo perché si possono fare. Le figure dominanti nel nostro sistema di riferimento sono gli esperti, non i saggi, e un esperto sa come fare a perfezionare le trappole per le scimmie ma non si pone mai il problema di come spiegare a una scimmia il valore della libertà: eppure il secondo di questi obiettivi avrebbe un senso umano enorme, mentre il primo riflette solo l'egoismo tutto occidentale di chi ha il potere. Tanto per fare un esempio scottante, che certamente scandalizzerà qualcuno dei presenti, nel recente acceso dibattito sulle centrali nucleari (quelle che secondo Mathews si .dovrebbero descrivere in termini di maschile e femminile, e io probabilmente sono un fabbricante di reggipetti per centrali nucleari) non ho mai sentito nessuno che ponesse il problema di quanto il ricorso a tecnologie sofisticate per' la produzione di energia nel mondo ricco permettesse di assegnare maggiori risorse, di più facile impiego e a prezzi più ragionevoli, al mondo povero. Non l'ho mai sentito qui, da noi. Altrove gli interessati lo fanno, solo che noi non prestiamo molto ascolto a queste cose. Eppure sappiamo che il quarto di mondo che chiamiamo ricco, per motivi ben noti, può contare su consumi energetici pro capite superiori a quelli di tutto il mondo povero, in media naturalmente, perché le differenze tra gli estremi sono ancora più grandi. Se un americano dispone di trenta tonnellate di petrolio equivalente all'anno, diversificato in varie forme di fonti primarie, un indiano, e l'India non è l'ultimo paese, dispone soltanto di una tonnellata all'anno di petrolio equivalente; ma una tonnellata è quello che serve per produrre alimenti per un uomo, cosicché un americano ha 29 tonnellate in più a disposizione per provvedere alla propria libertà, mentre un indiano non ha alcun margine per quest'uso. Non è il caso allora di riconsiderare la natura e il costo delle libertà occidentali? E non è questo un problema della cultura contemporanea? Se un trentesimo appena del consumo americano è ottenuto ricorrendo a tecnologie sofisticate, per esempio il nucleare, la quantità di vero petrolio che si rende disponibile per ogni indiano fa salire la disponibilità di questi ultimi del 30%: un incremento rivoluzionario. Ovviamente tutto questo non è affatto semplice, anche in un'ottica diversa da quella dell'egoismo occidentale, ma non è nemmeno impossibile: il punto è che non ci pensiamo mai. Detto in parole povere, per concludere, la cultura di cui siamo tanto orgogliosi ha come fondamento una scala di valori che non è mutata con lo sviluppo di conoscenza e tecnologie, e queste continuano ad essere impiegate per produrre strumenti di dominio e per accrescere i consumi della nostra sfera. Riso a volontà per noi e trappole per gli altri. Ormai capacità e abilità non ci mancano più, quello che ci manca è una concezione del mondo che metta insieme· quello che sappiamo fare e quello che è necessario fare. Se la necessità non è un problema immediato nella nostra cultura allora la rimuoviamo. Ci occupiamo della necessità solo quando è strettamente nostra. A chi ci possiamo rivolgere per riflettere su queste cose? Non vorrei essere provocatorio ma suggerisco di non pretendere ripensamenti dagli esperti, dai tecnici, dagli scienziati. Al più qualcuno dei tecnici, degli esperti, degli scienziati, può vomitare come il giovane capogruppo della festa di Los Alamos, quando scopre dove è finita la bomba che aveva costruito. Gli esperti, i tecnici, gli scienziati possono avere tempestiva coscienza di ciò che fanno e rifiutarsi di collaborare, ma generalmente non sono che orchestrali: la direzione delle cose del mondo sta da un'altra parte. Allora lasciate a noi che viviamo nel mondo della ricerca, di occuparci delle responsabilità dei nostri colleghi e occupatevi, mi rivolgo ai poeti, ai letterati, piuttosto, dei mandanti, di chi alimenta interessi e profitti in questa parte del mondo. • Uno scienziato difficilmente sarà sensibile al rancore di chi scarica su di lui tutti i mali del mondo contemporaneo e sembra però ignorare che scienza e tecnica sono lo stadio esecutivo di interessi che nascono altrove, in un anonimato molto proficuo. Gente libera, perciò, come i poeti, gli scrittori, può essere assai più abile ed efficace nello stanare quegli interessi purché abbia voglia di farlo; se non lo fa si merita un epigramma di Marziale: «Tu, Lelio, non pubblichi i tuoi versi e critichi i miei: ora o smetti di criticare i miei o pubblica i tuoi». Il poeta unisce tutto Matte Bianco Qual è la responsabilità degli uomini di cultura davanti ai pericoli che l'evoluzione umana ha portato? Come rispondere, non lo so; farò soltanto alcune riflessioni. Prima di tutto non vi sono solo i pericoli nucleari. Ho una figlia che lavora negli Stati Uniti su problemi di ecologia e sono molto allarmato per quello che lei mi racconta e che leggo, e cioè che l'uomo distrugge la natura in un modo tale che alla fine la Terra non sarà più abitabile. lo credo che oltre ai pericoli nucleari e ai pericoli in campo ecologico ci siano tanti altri pericoli e personalmente, malgrado tutto, mi sento ottimista. Forse questo è uno stato d'animo che ha a che fare con la natura stessa di ognuno, ma io credo che ci siano possibilità di risolvere questi problemi, prima che venga la grande catastrofe annunciata o descritta in modo terribile. Non voglio dire che questa catastrofe non sia possibile. Ma, per dirla con Bergson, come potremo noi aggirare gli ostacoli che la nostra natura pone alla nostra dviltà? Perché, in fin dei conti, tutte queste manifestazioni di distruzione ecologica, sono ilrisultato della voracità di gente che vuole guadagnare, senza che le importi nient'altro ... Io credo che non esista una risposta, né dal punto di vista del poeta - intendendo per poeta tutti gli artisti - né dal punto di vista dello scienziato. Sono stato molto colpito da quello che ha detto il professor Bernardini sul modo di comportarsi degli scienziati. Io direi che, ciononostante, tutti possiamo fare qualcosa: poeti, scienziati e anche l'uomo comune. Qui comincerò a parlare di cose che ha11.noa che fare con le mie ricerche, che vengono direttamente da Freud. Il poeta, si potrebbe dire, è in sé il grande portatore dell'emozione. Lo scienziato è l'individuo che esprime il Logos, la logica, che rispetta il principio di contraddizione e che è sottoposto a certe regole. In ognuno di noi, però, esiste una parte che pensa rispettando tale principio, oltre alle regole di incompatibilità, ecc; ma esiste anche una parte che vive poeticamente. Direi che in ognuno di noi c'è una tendenza a unificare tutto, e, allo stesso tempo, a dividere. La scienza divide, distingue e dopo stabilisce delle relazioni. È molto interessante vedere che al tempo di Leucippo e Democrito, l'atomo, per definizione, era qualcosa di indivisibile, mentre ora, a quanto mi risulta, sono state trovate più di duecento particelle, cuca,
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