Alfabeta - anno IX - n. 93 - febbraio 1987

L o scritto qui intitolato Dopo Hiroshima è quello preparato come punto di riferimento per il Convegno « Trasformare la visione del mondo» (Montecatini, 4 novembre 1986) da Alberto Moravia nella sua qualità di Presidente dell'Associazione «Fondo P.P. Pasolini» (coordinatore del Convegno è stato Giovanni Raboni). 1 testi che qui presentiamo sono la trascrizione curata redazionalmente e non rivista dagli autori di una gran parte degli interventi. Dopo Hiroshima Alberto Moravia Dopo Hiroshima il pensiero più preciso e più importante scaturito da quella esperienza è stato: d'ora in poi dovremo convivere con la bomba. Ma la bomba non è che un progetto tecnologico; in realtà essa diventa la nostra convivente dal momento in cui la fabbrichiamo e l'adoperiamo in guerra. In altri termini, convivere con la bomba significa convivere con i nostri peggiori istinti. Ma non abbiamo forse fatto alSupplemento ad Alfabeta n. 93 • Febbraio 1987 Sommario Alberto Moravia Dopo Hiroshima pagina I Henry Mathews La disperazione come punto di partenza pagina I Carlo Bernardini Per un pugno di riso pagina II Matte Bianco Il poeta unisce tutto pagina II G. Toraldo di Francia Fabbricare strumenti pagina III tro dall'origine della civiltà in poi? Non abbiamo convissuto via via con le frecce, con le spade dell'antichità, con gli archibugi del Rinascimento, con i fucili napoleonici, senza porci il problema? Perché soltanto oggi ci domandiamo come faremo a convivere con l'arma più efficace e moderna di cui disponiamo? Il motivo c'è: fino a ieri le armi di cui disponevamo ci permettevano di dedicarci al nostro sport pre~ ferito, alla guerra. Sì, potevamo convivere con la spada perché anche passando a fil di spada tutti i nemici in battaglia, la guerra, cioè un conflitto tra vincitori e vinti, era ancora possibile. Con la bomba la guerra non è più possibile, non ci saranno mai più vincitori e vinti, ma soltanto morti. Dunque è chiaro che dovremo convivere, come abbiamo già detto, con i nostri peggiori istinti. Ed è ancora più chiaro che per questo dobbiamo risalire dalla bomba all'uomo che l'ha inventata e che domani potrebbe usarla e cercare di trasformare· la sua visione del mondo, una visione che, ancor oggi, fa parere possibile condurre a Francesco Leonetti Situazione terminale pagina III Matte Bianco Giocava con le nuvole pagina V Gianni Scalia Abitare la Terra, poeticamente pagina V Alberto Moravia Convivere con la bomba pagina V Antonio Porta Le ~colpe» dei poeti pagina VI successo una guerra nucleare con vincitori e vinti. Di conseguenza intendiamo ri- . volgere questa domanda specificamente a scienziati e poeti nella convinzione che il linguaggio della scienza e il linguaggio della poesia costituiscano oggi le due forme essenziali - diverse e in qualche modo complementari - dell'immaginazione e dunque della progettualità umana. Noi pensiamo che la cultura può contribuire potentemente a trasformare la visione del mondo, oggi prevalente nell'umanità, indirizzata verso il suicidio della specie. Vogliamo fare appello alle risorse dell'immaginazione scientifica e poetica per creare nuove immagini dell'esistenza al di· là di ogni equivoca, e in ogni caso impossibile, conservazione dell'esistente. La disperazione come punto di partenza Henry Mathews Di fronte alla frase: cambiare la visione del mondo di fronte al nu- . . . G. Toraldo di Francia Per salvare noi stessi pagina VII Mario Luzi Le antenne della poesia pagina IX Pietro Ingrao Una cultura nuova pagina XI Antonio Porta La bomba-mito pagina XI Henry Mathews L'innocenza perduta pagina XI cleare, mi sono detfo: partendo da che? Allora ho pensato a una poesia su cui ritorno spesso, una poesia che ho l'impressione che mi definisca: l'Autopsychographie di Fernando Pessoa. «Le poète est un simulateur. I Il simule si parfaitement I qu'il finit par simuler comme douleur I la douleur qu'il ressent vraiment. Il Ceux qui lisent sentent bien, I dans la douleur qu'il exprime, I non les deux qu'il a ressenties, I mais la douleur qu'ils n'éprouvent pas. Il Ainsi tourne en rond sur ses rails, I pour amuser la raison, I ce petit train .mécanique I qu'on dénomme le coeur. » Aggiungiamo qualche verso di Bureau de tabac, sempre di Pessoa. Verso l'inizio: «Aujourd'hui je suis perplexe, comme celui qui a pensé, trouvé, puis oublié. I Aujourd'hui je suis divisé entre la loyauté que je dois I Au Tabac d'en face, chose réelle au dehors, I Et la sensation que tout est reve, chose réelle au-dedans.» E poco più sotto: «Esclaves cardiaques des étoiles... » Quest'ultimo verso, così choc- '✓ cante, suggerisce, attraverso la parola «cardiache», che le stelle e il cuore siano dei treni meccanici, che si spostano su delle rotaie. Tutto è previsto, nulla cambierà, mai. In simili condizioni, come può un poeta cambiare la visione del mondo? È un obiettivo in apparenza impossibile. Come se si fosse su un'autostrada senza caselli e si volesse prendere l'altro senso. Se Pessoa descrive in modo esatto la nostra opinione (e a me pare che sia così), non c'è speranza per un poeta .di cambiare alcunché: ogni cuore resta sulle sue rotaie, la simulazione più intelligente suscita delle risposte solamente entro un gioco che pare escludere qualsiasi comunicazione autentica. Dunque nessuna speranza. Piuttosto, disperazione non solo come mancanza di speranza, ma anche come obbligo di disfarsi di qualsiasi possibilità di speranza. Insomma, vi invito a considerare l'idea che la nostra scomparsa non ha alcuna vera importanza: che dal punto di vista del funzionamento dell'universo, la nostra morte (per un cancro generalizzato, poniamo), la morte di chi amiamo, la

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