Alfabeta - anno IX - n. 93 - febbraio 1987

l'estetica dellaped,rmance Performance e narratività Spetta al filosofo Jean-François Lyotard il merito di aver per primo chiarito la differenza tra le teorie «performative» - che si sforzano di giustificare la scienza moderna e i vari sviluppi della tecnologia nel XX secolo attraverso discorsi di «legittimazione» basati sui criteri «positivi» di coerenza e efficacia - e i discorsi «narrativi» caratterizzati dall'«incredulità nella metanarrazione», dall'indifferenza verso i criteri del genere e, più complessivamente, verso le giustificazioni di cui si cinge la trionfante modernità. In La condition postmoderne all'ideale moderno dell'incremento della potenza e del/'efficacia, come ottimizzazione (in senso utilitaristico) delle performances del sistema di cui facciamo parte, viene opposta l'«impotenza» del «sapere narrativo», inevitabilmente sconfitto e discreditato dal positivismo diffuso ma la cui forma, che è quella del racconto, non smette di assillarci e di nutrire in noi la fibra non moderna - «postmoderna» anche - visto che non abbiamo ancora finito di sopportare le conseguenze della modernità, dçlla delegittimazione e dello svincolamento nei confronti del pensiero calcolante. La pragmatica degli enunciati narrativi, relativa ai racconti popolari raccolti dagli etnologi, si accosta in modo sorprendente ali'etica della performance sia nei suoi aspetti di tradizione orale sia nei modi, descritti da M. Duchamp e J. Cage, di trasmissione e di deformazione di un testo o, più in generale, di una scrittura. La performance artistica, o, per usare il lessico di Orlan e Hubert Besacier, l'artperformance, si situa agli antipodi della «performatività» legata a legittimazioni scientiste e tecnocratiche: per J.-F. Lyotard «emerge come il narratore si dichiari competente a raccontare la storia solo per averla egli stesso ascoltata. Il destinatario attuale del racconto, ascoltandolo, acquista potenzialmente la stessa autorità. Il racconto è assunto come riferito (anche se la prestazione narrativa è fortemente inventiva) e riferito 'da sempre': il suo eroe, che è cashinahua, è stato dunque a sua volta destinatario e forse narratore dello stesso racconto. In ragione di questa analogia di condizione, il narratore attuale può essere egli stesso eroe di un racconto, come lo è stato l'Anziano. In effetti, lo è necessariamente, perché porta un nome, declinato alla fine della sua narrazione, che gli è stato attribuito conformemente al racconto canonico che legittima la distribuzione cashinahua dei patronimici. «Evidentemente la regola pragmatica così esemplificata non è universalizzabile. Essa fornisce tuttavia un indizio di una proprietà generalmente riconosciuta al sapere tradizionale: le 'posizioni' narrative (destinatore, destinatario, eroe) sono distribuite in modo che il diritto di occuparne una, quella del destinatore, si fonda sulla duplice condizione di aver occupato l'altra, quella del destinatario, e di essere, attraverso il proprio nome, già stato raccontato ùi un racconto, vale a dire situato in posizione di referente diegetico di altre contingenze narrative. Il sapere trasmesso da queste narrazioni, ben lontano dal fissarsi nelle sole funzioni enunciative, determina ad un tempo sia ciò che bisogna dire per farsi capire, sia ciò che bisogna rappresentare (sulla scena della realtà diegetica) per poter divenire oggetto di una narrazione. «Gli atti linguistici pertinenti per questo sapere non sono dunque attuati esclusivamente dal locutore, ma anche dal destinatario come pure dalla terza persona di cui si parla. Il sapere che promana da un simile dispositivo può sembrare 'compatto', in contrasto con quello che chiamiamo 'sviluppato'. Esso lascia chiaramente trasparire come la tradizione narrativa sia nello stesso tempo quella dei criteri che definiscono una triplice competenza, saper dire, saper intendere, saper fare, che mette in gioco:.i rapporti della comunità con se stessa e con il suo ambiente. Ciò che viene trasmesso con i racconti, è il gruppo di regole pragmatiche che costituisce il legame sociale.» Non c'è performance, dunque, che non contenga, almeno implicitamente, una precisa analisi istituzionale dello statuto d<:lal'rte nella società in cui si inserisce - cioè ogni performance esprime, oltre a se stessa, anche le proprie condizioni di possibilità. Questa fondamentale riflessività, che si poteva pensare, da qualche anno, patrimonio esclusivo dell'idea art, del/'arte concettuale a di quella che il critico americano Richard Kostelanetz ha chiamato «arte inferenziale», è in realtà sempre stata attributo della performance, orale o scritta, premoderna o postmoderna ... Insomma, /'art-performance è tutto salvo che politicamente innocente. L'argomentazione di J.-F. Lyotard si riferisce principalmente alle performances che utilizzano un testo preesistente - sia che si tratti dell'arte di organizzare l'atmosfera circostante nel caso dell'air art, sia nel/'esecuzione di un ready-made sonoro, spaziale o scritturale. La presenza stessa del presente, qualunque sia la natura di questo presente, non porta forse a pensare al «già esistente» su cui si basa di fatto la legittimazione? Viene in mente qui ciò che Adorno rimproverava a J. Cage: di feticizzare la onnipotenza del suono puro, del suono-rumore, come se si trattasse «di neve caduta di fresco» - meravigliandosi con troppa ingenuità della onnipresenza del presente.... In che modo allora, /'art-performance ravviva «l'incredulità nella metanarrazione», cioè verso ogni legittimazione? e queste rileverebbero da una semplice petizione di presenza? Risposta: la forma narrativa - e, per estensione, la pragmatica de/l'art-performance - «obbedisce a un ritmo, è la sintesi di un metro che scandisce il tempo in periodi regolari e di un accento che di alcuni periodi modifica l'ampiezza o la lunghezza». Lyotard scopre l'influenza di questo ritmo nel/'«esecuzione rituale» di certi racconti indiani: «trasmessi in condizioni iniziatiche, in forma rigo~ rosamente fissa, in un linguaggio reso oscuro dalla disobbedienza alle regole lessicali o sintattiche», questi racconti «sono cantati in· interminabili melopee» che sfidano la comprensione imponendosi al di qua del senso, prima di ogni velleità di comunicazione e dunque anteriormente a ogni richiesta di giustificazione. Ed è proprio per la loro forma che queste melopee si diffondono: nelle cantilene infantili come nelle musiche ripetitive o «plananti» non c'è un contenuto che legittimi un sapere positivo - importa solo il ritornello. Fare una performance è ripetere - e la cosa più facile da ripetere è l'assenza di senso o di contenuto: paradossalmente, è al grado zero della «narrazione», nell'accezione abituale, che conviene cercare l'essenza della narratività. La performance è dunque una pratica di delegittimazione, e ciò in virtù della pratica temporale stessa che entra in gioco nell'atto performativo: tale atto, essendo autonomo, non deve appoggiarsi al presente come un già esistente per giustificarsi; può permettersi di «vivere» la presenza del presente «prima» di riportare questa presenza a un passato salvatore; gli è lecito acuire in qualche modo la precarietà. In altreparole, il presente non deve • venir privilegiato, non potrebbe porsi a garanzia o cauzione per qualunque tattica legittimatrice. J.-F. Lyotard lo afferma chiaramente: • «Nella misura in cui il metro prevale sull'accento nelle contingenze sonore, parlate o no, il tempo cessa di essere il supporto della registrazione mnemonica e si trasforma in un battito immemorabile che, in assenza di differenze registrabili fra i periodi, impedisce di contarli e li consegna. all'oblio. Basterebbe interrogarsi sulla forma delle sentenze, dei proverbi, delle massime, che sono come delle piccole schegge di possibili racconti o le matrici degli antichi racconti che continuano a circolare a certi livelli del/'edificio sociale contemporaneo, per riconoscere nella prosodia il marchio di questa bizzarra scansione del tempo che cozza in pieno contro la regola aurea del nostro sapere: non dimenticare.» Inutile, per un popolo che «fa del racconto la forma primaria della competenza», cercare di «ricordarsi del proprio passato». Ciò che costituisce la «materia» del suo «legame sociale» non è - o non è solo - «il significato dei racconti», ma «l'atto della loro recitazione>>L. a performance è quest'atto: e dunque può ben liberarsi dai vincoli del senso, cioè dalla legittimazione proveniente dal passato; le è sufficiente ancorarsi in un presente vivente.

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