caso, molteplici domande, di cui De Maria avverte tutta la complessità e l'urgenza: una volta di più pare tutt'altro che facile - ne sapeva qualcosa Rimbaud - «etre absolument moderne». Fino a che punto, ad esempio,· l'estremizzazione e il gesto provocatorio comprendono in sé la potenzialità del mutamento? E a quali parametri o referenti va rapportata la velocità? Esiste nel futurismo un concetto di Permanenza o il div,enireè sempre .,,-- / e comunque valore assoluto? E che rapporto si instaura tra presente e immanenza? Cos'è il presente del futurismo? Al centro, si comprende bene, si colloca una nuova percezione del tempo. Ad essa De Maria dedica il lungo, affascinante saggio sulla poesia di Palazzeschi, le cui fasi si articolano proprio sulla dicotomia tra tempo immobile, irrigidito, spazializzato, fissato in un eterno presente dai contorni geometrici, divisibili, misurabili (il regno del «sempreuguale», antibergsoniano, onirico ed erotico che sta tra Cavalli bianchi e i due Incendiari), e tempo accelerato dell'eversione, della parodica, irriverente levità del futuro uomo di fumo. Se Palazzeschi resta figura di· non facile collocazione nell'ambito della prima avanguardia, è tuttavia determinante, per ogni analisi che voglia calarsi direttamente sui materiali, seguirne le tappe della sperimentazione metrica, linguistica, sintattica. Il rilievo si può allargare: è sui testi - ribadisce a ragione De Maria - che simisura la capacità eversiva, la forza di trasformazione, perché «non esiste a priori una sensibilità nuova e purificata indipendente dal lavoro sul materiale verbale, nel caso della letteratura». Da qui le sollecitazioni a rivedere Marinetti non solo, ed è importante, come organizzatore di cultura, come uomo del gruppo, promotore del movimento, ma anche come scrittore (e i Taccuini, in uscita presso Il Mulino, riserveranno certo, in proposito, più di una sorpresa). Non so fino a che punto la rivisitazione potrà rivelare qualità autentiche di scrittura: ma è inconfutabile che Marinetti, per la sua stessa formazione, possa illustrare meglio di chiunque altro la linea evolutiva che congiunge simbolismo e ricerca sperimentale, di un modo nuovo del comunicare, sia un reale, insostituibile catalizzatore di tendenze, compresa quella di una inattesa vena predadaista e surrealista che De Maria non manca di rilevare, dimostrando tra l'altro, con rilievi davvero capillari e con fine sensibilità critica, la possibile parentela tra parole in libertà e scrittura automatica. Non accade mai tuttavia, neppure ove l'indagine si fa più specialistica, che il critico smarrisca la percezione della complessità del fenomeno futurista, del suo aspetto «embricato, intricato», delle sue diverse anime: letteratura e ideologia emergono, lungo l'analisi, come fenomeni inseparabili, constatata la radicalità della scelta a favore dell'arte eteronoma nell'epoca della grande industria. La nascita dell'avanguardia è pertanto percorso dalla perentoria volontà di mostrare le varie fisionomie di un fenomeno plurimo, che si attesta su di una ideologia globale in cui convivono estetizzazio- • ne del politico e attivismo letterario, etica dell'azione e modernolatria, e insieme senso sottile della promozione culturale, abilità propagandistica, capacità di gestire la provocazione con sapienza e cinismo. Il movimento, «nato da un atto di volontarismo estremo», si colloca così, primo in Europa, all'incrocio tra poliespressività e tentativo di trasformazione totale: il credito di cui il gruppo milanese gravitante nell'orbita marinettiana godette per quasi un decennio presso le avanguardie europee (dai futuristi russi ai precursori svizzeri e francesi di Dada e del surrealismo) conferma a pieno titolo il carattere coinvolgente e centrale di quell'esperienza. S u questo aspetto i saggi riuniti ora in volume da Crispolti si coniugano felicemente, sul versante della critica d'arte, con ta di egemonia culturale della pittura sulle altre arti ( boccionicentrismo), o di singole figure protagoniste ( marinetticentrismo). Perché in fondo la vera forza del movimento è la globalità, appunto, del campo di intervento, la volontà di una rifondazione totale ma non totalizzante, la tensione antiformalista, l'attivismo creativo che, se pure si attenua, non si esaurisce del tutto neppure dopo il 1916, col tramontare dello «scatto Robin Goodfellow o Il diavolo inglese dei sabba quelli «letterari» di De Maria, protraendo i margini d'intervento all'intero campo cronologico del futurismo, dagli esordi dei primi manifesti alle ultime propaggini degli anni quaranta. Anche in questo caso si è felicemente lontani dai rischi, denunciati con chiarezza da Porta nella Presentazione al libro edito lo scorso maggio da «Alfabeta» - «La Quinzaine littéraire», di una sorta di sospensione di giudizio, tipica di chi intende relegare i fenomeni vitali «nell'in- \t , ,. k .,,·•·., ....-.-.. ~::-;~ \ \, l· Js'!J I - ✓] ••\ - 'il";.:-:- • -.\1~~ / • ..,,. •\ -.~--- •.. ·._. ·, ,. -i.] ') ., ' ~ -~ .J/J * 1••• ·1.. •. ì- \~'. ·~:,..,· .';}<'li ~ \,-·f~ I -~- :. ')/l~~-7'; "' -"N--1~r-"#.',r6 :.\,:' !-\~~- • . 1-~,~:- ~ I \:•: ,11, '~ .~7~\ (f.. ~~--: - '~ ''·•,,~-: ~~ ....--~ ~:~~~;::.:s· utopico» dell'inizio. A questa tendenza alla invenzione assoluta, alla «ricostruzione futurista dell'universo», Crispolti dedica le pagine più suggestive, collocando al centro, nucleo di irradiazioni plurime, il manifesto del 1915 di Balla e Depero (Ricostruzione futurista dell'universo), da assumersi come indice della progressiva apertura dell'area di incidenza del futurismo, dall'invenzione letteraria a connessioni sempre più ampie, a sintesi sempre più dinamiche. verso una sensibilità dilatata, che scopre lo spessore e la vitalità dell'elemento materico, oltre la sinestesia di eredità simbolistica, verso la mineralizzazione della parola, l'immanenza dei gesti verbali, fonici, grafici (con le conseguenze immediate di un ribaltamento dello psicologismo e della fondazione di una reale «stilistica della materia», che Curi e De Maria hanno più volte esemplarmente illustrato). Poteva essere la via verso il rifiuto del simbolo, l'abiura del mito: ma altre mitizzazioni, si sa, ed altre mistiche imposero drastici ridimensionamenti alle ipotesi liberatorie, alle pratiche innovative. Nell'ampio panorama delineato da Crispolti anche le contraddizioni, le compromissioni emergono nitide, pazientemente ricostruite e documentate con la precisione insieme dello storico e del filologo: da quelle culturali (i legami col simbolismo o il postimpressionismo) a quelle politiche (nonostante sia poi necessario - avverte il critico - smitizzare certi clichés, e indagare, ad esempio, anche le frizioni, oltre le connivenze, col fascismo, di per sé, parrebbe, incompatibile con la radicale avversione futurista alle burocratizzazioni). Dunque, nessuna rimozione di responsabilità: semmai una adesione in qualche caso piuttosto decisa, convinta, ai programmi di «sostituzione» del reale, al fascino di un progetto creativo collettivo che se possiede indubbiamente potenzialità trasgressive nasconde tuttavia, al proprio interno, insidiosi tranelli. Certo la fuga dalla rigidità, la ricerca ostinata del «dinamismo plastico» in grado di trasmettere «l'espressione dinaµiica, simultanea, plastica, rumoristica della vibrazione universale», erano per Balla e Depero, come per gran parte del moyimento futurista, un modo di opporsi alla supremazia della ragione a tutti i costi, alla violenza dell'equilibrio e del conformismo, di sottrarsi al pensiero Mary Aubray, Il diavolo vuole sangue o Gli eccessi dell'amore nocuo limbo delle sistemazioni storico-accademiche». Al contrario l'approccio rigorosamente storiografico ·non impedisce all'analisi di snodarsi secondo scelte precise: al centro sta la preoccupazione di sottrarre il futurismo a una sorChi ha detto che il futurismo è stato, in fondo, una grande occasione sprecata, non aveva tutti i torti: solo che l'«estroversione» di cui parlava Sanguineti andrebbe proprio confrontata con questa volontà di fuga dalla forma chiusa, logocentrico. Ma poi gli orpelli retorici, i mimetismi acustici e visivi, certo greve residuo naturalistico e la roboante, macabra polemologia vanno proprio considerati assieme, parti integranti del medesimo sistema. Come dire che primordiale e istintuale - lo rivela con forza anche Claudia Salaris - sono una cosa sola col modernismo e il mito del mondo nuovo, percorso da una circolarità «in cui gli opposti.si congiungono». D i nuovo le differenti anime del futurismo: con un'ampiezza di diramazioni, confluenze, divergenze, a volerla indagare da vicino, davvero vertigi7 nosa. Dalla fitta trama dei rilievi di Crispolti (numerosissimi: cito fra tutti le osservazioni sulla fotodinamica che restituisce l'«eventicità del gesto» contro l'istantaneità; o sul rinnovamento dello spazio urbano, o sui rapporti intricati tra futurismo e poetiche degli anni venti e trenta) al racconto lungo della Salaris (la definizione è in controcopertina) si delinea un mosaico di tendenze, gruppi, orientamenti. Quando l'autrice stende le prime righe di premessa al volume («Questo libro nasce dall'esigenza di ricostruire l'intera avventura futurista attraverso un completo inventario bibliografico») sa quel che dice; ed è consapevole di possedere fiato, durata, tensione sufficienti alla prova. Il racconto si snoda con scioltezza, privilegiando un taglio divulgativo più attento ai fatti concreti che alle teorie, dentro un itinerario labirintico (gli anni 1909-1944)attraversato col filo d'Arianna della documentazione precisa, estesa a un materiale vastissimo talora inedito o di difficile reperimento. Dalla densa e articolata rassegna emergono in particolare i rilievi sulla spregiudicatezza dei sistemi pubblicitari, che sconvolgono i modi della cultura e insieme esaltano la nuova epica dell'industria, del moderno, del quotidiano. E accanto si delineano, con pari risalto, la descrizione «visiva»dell'oggetto-libro, del volantino, del manifesto, delle edizioni di «Poesia». Le serate futuriste, gli spettacoli, le esposizioni, il costume, la politica, il ruolo della donna - al centro di un capitolo informatissimo - sino alla mappa del futurismo in Italia e nel mondo. Si va dalla stagione felice, progettuale degli esordi, con l'esuberanza provocatoria, antipassatista dei primi manifesti, alla volontà di inaugurare il nuovo statuto «visivo e fonetico» di una scrittura materialistica orchestrata «in senso estrovertito», sino alle svolte del dopoguerra, al rallentarsi delle spinte propulsive: e tornano alla mente la tipologia del nuovo affrescata da De Maria, le ragioni storiche dell'attenuarsi dello slancio di rifondazione illustrato da Crispolti, progressivamente sempre più debole quanto più verbosamente ingigantito in una improbabile «sintesi del mondo» (l'aeropoesia, i proclami dei primi anni trenta ... ), o in un paroliberismo - puntualizza la Salaris - apparentemente moderato, e certo più declamato che radicale. Una occasione sprecata: perché è indubbio che erano tutti lì i germi per avviare il raffronto tra letteratura ed extraletterario, per discutere la degerarchizzazione dei generi, per scoprire il testo, l'oggetto artistico, nella sua oggettualità materica, per verificare, sui manifesti, la forza di una drammatizzazione (il rilievo è di Raimondi) della parola in gesto, del gesto 'O in icona. E per tentare forse, da c::s .s ultimo, un salutare ripensamento ~ delle ideologie globali. Ma su ~ t-,. quella ocçasione sprecata si può ~ instaurare un dibattito fertile: me- -. rito non certo marginale, segno, -~ anzi, di una vitalità postuma. Il § compito del critico - lo diceva Sa- ~ vinio - non è tanto criticare quan- ~ to inventare: gli anni ottanta potrebbero ancora riservare al futu- S ~ invenzioni. rismo altre salutari, meritatissime ..C) ~ c::s
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