te a un paradosso da cui risulta difficilissimo districarsi. Infatti: evoca, cita la paura attuale per una fine del mondo ad opera dell'uomo; mette in scena una sorta di day after in cui pochi sopravvissuti si agitano in un residuo di tempo che sembra non servire più a nulla («Non c'è più tempo da perdere, l'abbiamo consumato tutto ... »); questo tempo inerte, semi-morto, non permette più né la ripresa del tempo storico, né la ciclicità del tempo mitico; le dimensioni fondamentali dell'esistere e quindi la arcaicità, la primordialità ·dei miti, degli archetipi che ad esse facevano riferimento risultano così impraticabili. Ma al tempo stesso: la prospettiva, la condizione della catastrofe è raccontata, recitata secondo uno stile mitico, come se fosse un mito. Anzi, il poema teatrale di Porta, ci fa intuire che proprio la prospettiva della fine della storia fa riemergere la dimensione mitica dell'esistere. Così", La festa del cavallo si presenta come un mito sulla fine di tutti i miti. Con La festa del cavallo ci troviamo dunque di fronte non solo a un'opera di bellezza profonda e commovente, ma anche nuovissima e difficileda interpretare: non si tratta né di un testo d'avanguardia, né di un pastiche postmoderno; è piuttosto un esempio (e ce ne sono ancora pochi) di letteratura mitica contemporanea. Intendo qui per mito una narrazione che mette in scena alcuni personaggi fantasmatici per interrogarli intorno a questioni fondamentali e primordiali dell'esistere su uno sfondo di silenzio senza fine, così che l'interrogazione incontri come risposta solo la ripetizione misterica (ciclica e sacrale, se si vuole) di - questo silenzio. Ma il silenzio oggi, nella contemporaneità, finisce per coincidere o sovrapporsi al silenzio della fine eventuale della storia, tanto che letteratura mitica oggi non si può forse più fare se non ponendosi di fronte a tale nuova forma di silenzio. O forse una nuova forma di letteratura mitica sorge oggi proprio perché ci troviamo confrontati con questo silenzio. M a come si presenta una narrazione mitica nell'epoca della fine dei miti? La forma classicadi un mito, come si sa, è quella del compimento: qualcosa, un evento, un personaggio, sorge dal silenzio, per poi crescere, declinare e tornare nel silenzio: una pienezza temporale, un tempo pieno del racconto, permette lo svolgersi e il completarsi dell'evento. Che ne è allora del mito quando questo appare nel tempo morto al di là del tempo, dove niente può più venire a compimento perché non c'è più tempo? In La festa del cavallo, festa celebrata in un avanzo di tempo dopo che è finito il tempo, assistiasostituendosi l'un l'altro, senza riuscire a coagulare, a prendere ... Nessuna alternativa risulta più decidibile, la direzione imboccata dalla vicenda viene continuamente vanificata dall'emergere o dalla compresenza di una direzione opposta così che niente giunge a completarsi e tutto rimane sospeso. fra sé e il suo contrario: «stammi lontano / vieni vicino»; «giovin signore / già un poco anziano»; «alba di tutto / alba di niente»; «assunto in cielo [... ] precipitato nelcreatore: «Capisco, il mio compito diventa sempre più i~grato [... ] / accompagnare via i njo~i [... ] / liberare la scena dalla spazzatura ... ». Nei racconti mitici del mondo classico o pagano qualcuno, una vittima, un capro espiatorio, doveva sempre pagare, affrontare il sacrificio, affinché sorgesse poi la possibilità della ripresa, del riscatto. Ma nell'epoca della fine dei miti, nella prospettiva di una catastrofe in cui tutti sarebbero sacrificati per il bene di nessuno, la Louis Boulanger, I Demoni (nella tradizione araba) mo allo spettacolo sconvolgente di una ridda di miti che si fanno avanti senza che nessuno di essi possa giungere a compimento. Tutti i miti sembrano riemergere, ma in frantumi. L'Ultima Cena, Mosè salvato dalle acque, il corvo e la colomba di Noè, i sacrifici sugli altari degli dei pagani, le Arpie che insozzano le mense... frammen!i di miti, citazioni avvolte nell'ombra, rimasugli di storie antiche che emergono or qua or là, l'inferno»; «Il figlio della fame [... ] / Mi riempirà lui la pancia ... ». In questa prospettiva di tragica indecidibilità, le cose si rivoltano su loro stesse senza potersi trasformare in altro che in quel vuoto che già da prima c'era, «vuoto che si versa nel vuoto», «buco che entra in un buco». I personaggi, impossibilitati nel portare a compimento la propria vita, muoiono di colpo sotto gli occhi dell'autore che diventa così affossatore in quanto possibilità del riscatto viene meno: «In questo dramma non c'è speranza di riscatto, non è possibile... ». Eppure, proprio da questo stato di tragicità estrema e senza fine, in cui nessuno può più essere riscattato perché tutti sono vittime, emerge la possibilità e il ricordo di un sacrificio, un unico sacrificio in cui la vittima non è più vittima, e invece di essere uccisa viene liberata. È esistito, sembra, un unico Tempi Luciano De Maria La nascitadell'avanguardia Padova, Marsilio, 1986 pp. 220, lire 22.000 E. Crispolti Storiae criticadel futurismo Bari, Laterza, 1986 pp. XXIV+381, lire 33.000 Claudia Salaris Storiadel futurismo Roma, Editori Riuniti, 1985 l') pp. 229, lire 16.500 ~ .s ~ M entre_il dibatti~os~l futu~- ::: smo e ancora m pieno svi- ~ luppo, tra mostre, conve- -. gni e pubblicazioni di ogni sorta, -~ può essere utile avviare una rifles- ~ sione sui caratteri e il senso della ~A __, riscoperta, confrontandola con ~ quella degli anni sessanta, reale i:: data d'inizio dell'interesse suscita- ~ to dal movimento. Gli strumenti ;g_ di ricerca non difettano certo, per- ~ lomeno a livello informativo, se si può ormai disporre di vere e proprie mappe della diffusione del fenomeno, dalla letteratura alle arti figurative, al teatro, alla musica, l'arredamento, la pubblicità, la cucina, la moda ... E d'altro canto, sul versante ideologico e politico, si sono scandagliati con rigore i rapporti avanguardie - futurismofascismo, sino agli episodi in apparenza marginali o minimi di un «estremismo intellettuale» schedato con sistematica capacità investigativa: basta ricordare Umberto Carpi e la sua agguerrita indagine su L'estrema avanguardia de/Novecento, da leggersi in dittico col precedente Bolscevico immaginista. Intanto un interrogativo si impone, e riguarda la convivenza tra le categorie della citazione, del tempo ipostatizzato, dell'inautentico, dell'eclettico (al centro, sino a poco fa, della discussa inchiesta sul postmoderno) e il problema del «nuovo», che una serie di studi ha di recente portato alla ribalta. Penso tra gli altri a Maravall, che affronta ora il caso «epocale» del Barocco all'insegna della tensione tra una cristallizzazione assolutistica e un dinamismo spinto sino a un sorprendente culto della velocità: se è vero che accelerazione e mutamento vengono periodicamente riproposti, quasi riciclati, nella storia dei movimenti di pensiero, è indubbio che anche la estremizzazione, al centro degli interessi dello studioso spagnolo, ha a che fare con la ricerca sul moderno, collabora, da una prospettiva particolare, alla quete del nuovo. Il discorso è complesso e richiederebbe un serio approfondimento. Dinamismo, accelerazione, estremizzazione sono solo in parte elementi costitutivi della nostra attualità: ma il Novecento, fatto salvo il ripudio di ogni sintesi totalizzante e l'abiura al culto della «forma» tipico di ogni civiltà al crepuscolo, si apre, con le avanguardie, proprio su quelle parole d'ordine, ribaltate di segno e strettamente congiunte a una novità intenzionalmente, volontaristicamente perseguita ai livelli più disparati, dalla sintassi alla veste grafica, dalle progettazioni tecniche a quelle ambientali, dalla dilatazione della sensibilità e sensitività alla configurazione di una diversa antropologia. Appare allora particolarmente incisiva la scelta operata da De Maria nel suo studio recente La nascita de~'avanguardia, che riunisce scritti composti in un ampio arco di tempo: il più accreditato interprete di Marinetti, responsabile in prima persona, sullo scorcio degli anni sessanta, della rinata attenzione al futurismo con testi ormai divulgati e divenuti classici (da Teoria e invenzione futurista a Marinetti e il futurismo) presenta al lettore di oggi, disponibile alle risemantizzazioni, un'ampia tipopolo, nelle steppe dell'Asia centrale, in cui il cavallo destinato al sacrificioper il bene della tribù veniva lasciato libero invece di essere ucciso. Ogni mito si fonda su una rovina, su un sacrificio, affinché ci sia un riscatto. Nell'epoca della rovina di tutti i miti affiora allora il ricordo di un unico mito che non si fonda su una rovina e che si leva al di sopra della rovina di tutti i miti: «Voglio un sacrificio senza vittime [... ] come deciderlo? [... ] come liberare il cavallo prescelto e lasciarlo andare via libero, vivo, eccitato, pronto alla fecondazione [... ] se nella storia degli uomini un solo piccolo popolo c'è riuscito, ci riusciamo anche noi... ». «La festa del cavallo vuol dire che deve essere lasciato libero... ». La festa del cavallo è il mito della fine di tutti i miti. Nella lettura del dramma di Porta non riecheggia soltanto il ricordo dei miti antichi: all'ombra dei versi, man mano che si avanza, si intrasente anche il mormorio di tanti poeti del passato: le voci di Shakespeare e di Goethe, di D'Annunzio e di Campana si sciolgono ora l'una ora l'altra nella voce dei versi: «Al lauro muto, al fauno prigioniero, alla ninfa / nascosta dentro l'albero, all'oceano/ sonoro, al silenzio assoluto: un ultimo saluto». Questo darsi convegno dei miti e dei poeti antichi nel tempo inerte in cui nessun incontro appare più possibile, ci fa capire che il mito della festa del cavallo è anche il mito della scrittura che, portata fino allo spasimo di immaginare la fine di ogni cosa, non è più che ombra perduta incapace di nutrire: «Che state cercando [... ] cosa volete mangiarmi, adesso, l'ombra [... ] l'ombra [... ] l'ho perduta!» Ma in quanto ombra perduta, fuggita via, la scrittura è anche ombra liberata, cavallo liberato che libera una volta ancora la scrittura. Scrittura che solo se liberata può essere ritrovata. Perciò il mito della fine di tutti i miti è ancora nella scrittura, e il mito della perdita della scrittura, evocata dalla perdita di ogni cosa, è contemporaneamente il mito del ritrovamento della scrittura. Privati della possibilità di portare a termine il proprio compimento, i personaggi de La festa del cavallo descrivono il fato che li travolge secondo parole di una lingua bellissima... pologia del nuovo, che da Marinetti si estende all'intero panorama futurista, coinvolgendo sodali e ribelli, interlocutori consenzienti e antagonisti. Ed ecco allinearsi, in una fitta galleria di. ritratti ed umori, l'affermazione marinettiana della «follia del divenire», connessa a suggestioni nietzscheane ed evoluzionistiche; o il «delirio innovatore», !'«estasi del moderno» di Boccioni pittore ideologo; o il cauto trasformarsi «continuativo» del simbolista Lucini, preoccupato di far quadrare innovazione e tradizione; o ancora la pervicacia sincretistica di Papini tesa a individuare il rinnovamento e l'originalità come presupposti indispensabili all'arte; o il predadaista, ludico Palazzeschi, interprete grande della «tradizione del nuovo». Il «gesto simbolico» della novità, il senso preciso della trasformazione, che introducono alla vita moderna lasciano aperte, in ogni
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