Leproce Parigi-complessità e urecostruttive eAldo'°gpere L a filosofia antica e medioevale aveva assunto la conoscenza e la scienza nei termini di una relazione statica di somiglianza tra le facoltà cognitive dell'uomo da un lato e gli oggetti dall'altro: il soggetto doveva riflettere una struttura già precostituita delle sue facoltà cognitive in rapporto ad una struttura dell'Essere non meno precostituita. Sarà anche per questo che l'intera tradizione occidentale interpreta scienza e conoscenza come una scena già oggettivamente iscritta in un antefatto che l'impresa cognitiva deve esplicitare e ripercorrere e da cui l'impresa cognitiva è al tempo stesso garantita. È sintomo di questo atteggiamento la tesi di G. Frege secondo il quale la retta esiste prima ancora di essere tracciata. È sintomo di questa concezione di antefatto e duplicazione, sul piano socio-politico, l'idea aberrante che un partito politico sia una componente della struttura e dello sviluppo della realtà stessa, per cui ogni suo atto e movimento risulterebbero garantiti nell'antefatto reale e storico di cui esso sarebbe semplicemente l'esplicitazione. A questa impostazione va, a mio giudizio, collegata la concezione delle strutture logico-linguistiche come se esse predeterminassero a volo tutti i passi futuri delle nostre procedure simboliche dirigendoli e connettendoli lungo binari che portano all'infinito. È nata da questa attitudine la tesi tradizionale secondo la quale l'indagine delle proprietà di coerenza del pensiero umano è la ricerca della causalità che ci fa dire quello che diciamo; ed è da questa attitudine che è nata la tesi classica e tradizionale che la razionalità consista nel pensare sotto la costrizione di regole meccaniche e necessitanti, e che la nozione di coerenza logicolinguistica consista in una concatenazione necessaria e predeterminata che lega inesorabilmente l'uno all'altro i passi di un decorso di pensiero. Questa tradizione ha assunto la nozione stessa di pensiero come una corda che connette i passi delle nostre procedure. Ma una corda del genere non esiste nemmeno nel senso ordinario del termine, perché la forza di essa non consiste in un misterioso potere interno che l'attraversa sotto le fibre, ma nella sovrapposizione delle fibre l'una all'altra, per cui se togliessimo le fibre alla fine non avremmo nemmeno più la corda. Questo rende conto del carattere eminentemente costruttivo, poietico di tutte le nostre procedure simboliche. In sostanza, se eliminiamo la metafora di un misterioso potere che governa l'attività intellettuale e cognitiva, ecco che giungiamo a prendere coscienza di quella che è la svolta della cultura del tempo nostro, e cioè che nessun simbolismo può autoidentificarsi e che soltanto precise e definite modalità di impiego e di procedure costruttive hanno la facoltà di attribuire ai simbolismiun significato. Il significato del teorema di limitazione di Skolem-Ll:iwenheim consiste precisamente in questo, che nessuna collezione per quanto estesa e lunga di assiomi può determinare esaustivamente e univocamente la serie dei numeri naturali. Portato sul piano di un linguaggio filosofico generalizzato, il teorema di Skolem-Lowenheim mostra che nessun simbolismo può autoidentificarsi e che soltanto le procedure costruttive nella loro effettiva applicazione, mediante decisioni inaugurali e intransitive, stabiliscono il significato di un'operazione sul simbolismo. E qui intransitivo significa che l'applicazione, la decisione non devono conformarsi ad un modello prestabilito, e che il significato di un'operazione simbolica non consiste nel loro combaciare con una forma o uno stampo che in anticipo predetermina a volo tutti i nostri atti simbolici. Dal teorema di Skolem-Lowenheim discende un importante teorema dimostrato entro la teoria dei modelli, in base al quale data una proposizione vera o una classe di proposizioni vere nel mondo reale e in tutti i mondi possibili, tale proposizione o classe di proposizioni, pur rimanendo vere, sono suscettibili, entro una notazione logicamente normalizzata di ricevere una varietà di interpretazioni praticamente infinita. Questo teorema ha l'effetto di mettere in crisi l'intera semantica del neopositivismo logico, il quale riposava proprio sul presupposto che se si determinano le condizioni di verità di un enunciato o di una classe di enunciati, con ciò sono anche determinati il suo significato e la sua referenza. In base, invece, al teorema della teoria dei modelli, risulta che comunque siano garantite le condizioni di verità degli enunciati di una teoria scientifica in tutti i mondi possibili, con ciò non sono ancora determinati i loro referenti, cioè gli oggetti individuali ai quali tali enunciati si riferiscono. Di qui ha origine l'importante conseguenza che ogni teoria scientifica è sistematicamente sottodeterminata rispetto a1 propri referenti. Ma di qui si origina anche la crisi del modello tradizionale dell'unica teoria vera, privilegiata, l'asso pigliatutto che può fare tutto da solo. I n questa direzione converge la tesi di Edgar Morin che non esiste un sapere privilegiato, che non esistono sovranità epistemologiche, e che anzi è compito dell'epistemologo quello di mettere in giuoco e di far comunicare tra loro una pluralità di istanze, con le loro relatività e parzialità; un giuoco nel quale nessuno deve rinunciare alle proprie competenze, ma deve piuttosto svilupparle in maniera sufficiente per articolarle e proiettarle su altre competenze che, legate tra loro, formerebbero un anello chiuso e tuttavia in continuo divenire. Nessun modello teorico risulta autosufficiente e deve piuttosto dispiegarsi in un contesto, in un intreccio e in un'intersezione di saperi, di interazioni simboliche, in una comunità di ingredienti e di fattori il cui contrassegno non è costituito dalla sovranità di una norma imperativa, ma dall'ambito delle operazioni costruttive che sono destinate a generare ricorsivamente quei prodotti che sono al tempo stesso l'origine e la matrice delle attività che esse estrinsecano, secondo una sequenza che non è quella lineare che da una causa distinta porta necessariamente ad un effetto altrettanto distinto, ma che costituisce un circolo ricorsivo in cui le cause sono gli effetti e gli effetti sono le cause, secondo la struttura propria della chiusura organizzazionale dei sistemi autopoietici. Questo contesto non è pertanto quello secondo il quale se c'è una cosa, allora segue necessariamente l'altra, ma una comunità o coesistenza di fattori organizzata, dove se c'è l'una cosa, c'è anche l'altra, dove anzi l'una cosa dà l'altra. Si tratta precisamente di un processo cognitivo e simbolico che ,;.' ~' , , , ' . .,,_ , -- ., Leonor Fini, Strega, disegno, 1953 non è quello proprio della linearità causale, ma quello del contesto dialogico. [ ... ] Dalla svolta impressa dalla pratica scientifica, da alcuni aspetti della filosofia analitica nonché dalle teorie dei sistemi, dal tema della complessità così come dalla teoga delle strutture dissipative di I. Prigogine, emerge un processo intellettuale il quale, per donare conoscenze, non deve sottoporsi a, o allucinare il terribile potere della ripetizione, ma deve impegnarsi ad ogni passo in operazioni costruttive, in un continuo impegno di decisioni intransitive. Al di fuori dell'ambito scientifico-filosofico un caso esemplare della rottu- • ra di un fondamento necessitante, di una sovranità epistemologica che detta, a partire da un antefatto già precostituito, ciascun passo delle procedure cognitive, è fornito dalla teoria dell'armonia di A. Schonberg; il quale non ha solo mostrato la legittimità di accordi e di strutture armoniche che rompono i confini della tonalità ma, ciò che è più interessante ancora, ha mostrato come il regime della tonalità musicale tradizionale non sia l'espressione di una legalità naturale e spontanea dei suoni, ma costituisca anch'esso una conformazione simbolica ottenuta attraverso procedure costruttive, accorgimenti, arrangiamenti strategici con il circolo delle quinte che vengono messi in opera allo scopo di ricondurre le funzioni diverse di una partitura musicale e le tonalità subordinate o divergenti sotto l'egemonia di una tonalità di base, di una tonica che riconduce le tensioni delle quinte sotto il proprio impeno. In questo senso, non è possibile nemmeno nella musica ripetere qualcosa, perché perfino l'utilizzazione di una soluzione armonica già trovata richiede perlomeno un nuovo trattamento. Si potrebbero recare altri esempi in tutti gli ambiti del sapere, anzi un'intera varietà di esempi. Ciò che però alla luce dei fatti illustrati è importante rilevare è che attraverso la dissoluzione di fondamenti logicizzanti, di sovranità epistemologiche, di antefatti nei quali sarebbe già iscritto in qualche modo quello che dovremmo successivamente fare e attraverso il riconoscimento della matrice costruttiva e dialogica del nostro sapere, entra in crisi la credenza tradizionale di una relazione intrinseca, interna tra linguaggio da un lato e mondo dall'altro. Questa relazione - che ha imperiosamente attraversato l'intera tradizione culturale occidentale fino ai recenti sviluppi della stessa filosofia analitica - si è in realtà rivelata una relazione magica, fittizia (come l'ha definita Hilary Putnam nel suo ultimo libro, Reason, Truth and History), responsabile di oscure assunzioni metafisiche, dogmatiche e di circoli viziosi. Ma cadendo la relazione intrinseca quanto magica tra linguaggio e mondo è venuta anche a cadere l'idea fondamentale di una relazione lineare e univoca tra gli atti simbolici e cognitivi da un lato e le strutture della realtà dall'altro. Ed ora la crisi di questo modello obsoleto segna la transizione dallo stato della relazione in sé, intrinseca tra linguaggio e mondo, allo stato della relazione circolare tra soggetti parlanti, comunicanti e mondo; dove il mondo non è la massa per sé opaca e amorfa che deve essere colorata dai raggi noetici del soggetto o io trascendentale indipendente, che secerne il pensiero come un'essenza specifica e autonoma, ma dove il mondo è una struttura informativa e informata, è il circuito multidimensionale di messaggi, è il circuito ricorsivo di codificazioni e di decodificazioni che si riapplicano continuamente al proprio risultato. L'io, il soggetto, non è un'essenza specifica di contro al mondo; io, soggetto sono sistemi situati ai vari livelli di quell'organizzazione di informazioni che è, appunto, il mondo. D a questo asse di rotazione completa delle nostre considerazioni, è la nozione tradizionale di soggetto che viene irreversibilmente rovesciata per effetto della trasfigurazione del suo ruolo rispetto agli ingredienti del processo cognitivo. Questa nozione di soggetto, quale è stata concepita dalla tradizione della cultura occidentale, è la conseguenza di una precisa filosofia della scienza che ha fatto dell'io penso il soggetto portatore di legittimazioni normative, di sovranità epistemologiche, di antefatti fondativi delle scene del sapere. Il soggetto tradizionale è la semplice messa in opera di un attore o di un agente che agisce a partire dallo sfondo di tutte quelle immani certezze. Ma se, per le ragioni viste sopra, quel sistema di sovranità epistemologiche è una concezione insostenibile e impraticabile, destinata ad evaporare nella costruzione effettiva del sapere scientifico, allora anche il soggetto tradizionalmente e classicamente inteso, quale soggetto centrato, panottico, onnisciente è destinato egualmente ad evaporare e a svanire. Voglio dire, dove non c'è più una monarchia, è inutile legittimare un re. Ma deve-essere ben chiaro che la dissoluzione di questo soggetto onnisciente, panottico, onnicomprensivo non è il risultato di una diversa opzione filosofica o di una proposta culturale, ma è il risultato della stessa crisi di un'intera cultura epistemologica. Perché quel soggetto non è una figura autenticata al di fuori dell'epistemologia tradizionale, ma è nata con essa ed è destinata a monre con essa. Il tratto peculiare di quel soggetto consisteva nell'essere il portatore di una visione completa, trasparente e perfettamente dispiegata di una situazione, per esempio di un sistema fisico o di un sistema sociale del quale peraltro non era una parte costituente, al quale non apparteneva e con il quale non aveva nemmeno interazioni significative. Si pensi al principio di Descartes per il quale nulla è più vicino alla mente della mente stessa, al quale doveva abilmente ricollegarsi Berkeley portandolo al tempo stesso al suo caso limite per cui una percezione si può confrontare soltanto con un'altra percezione. Ma se il nostro vecchio soggetto, ora detronizzato, è un sistema informazionale che, interagendo con l'ambiente, non è indipendente da quest'ultimo, e al tempo stesso non è nemmeno il suo mero riflesso, ma è l'elaborazione delle perturbazioni, divenute ora aleatorie, provenienti dall'esterno che esso sottomette alla propria autorganizzazione ricorsiva e che subordina alla propria chiusura autorganizzazionale, questo soggetto allora non è lo schermo o il panorama in cui fluisce una rappresentazione panottica di un mondo del quale non farebbe parte, ma è un osservatore che elabora processi cognitivi, procedure di codificazione e di decodificazione in rapporto al livello situazionale che, come si-
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==