Alfabeta - anno IX - n. 92 - gennaio 1987

parte delle relazioni che abbiamo sentito fino ad oggi è stata la natura come oggetto di esperienza da cui si possono trarre delle leggi, vorrei dire che vi è un'altra forma di oggetto di esperienza: i testi. Anche i testi sono oggetti di esperienza, suscettibili di un trattamento forse diverso da quello degli oggetti naturali, ma da cui si può parimenti trarre, se non delle leggi, perlomeno una intellegibilità. In effetti, la visione ebraica del messianismo è stata basata su una esperienza storica specifica: quella della catastrofe, della delusione, del fallimento ripetuto delle aspettative, delle speranze escatologiche. Senza entrare nei dettagli della storia ebraica, si può dire essenzialmente che essa è la storia dello scacco ripetuto, del fallimento continuo dei tentativi escatologici. Di conseguenza, la visione della storia, così come è stata forgiata dalla tradizione ebraica e come è stata riscoperta in un'ottica secolarizzata dai tre autori del XX secolo di cui vi ho parlato, è proprio la visione di una storia che non va verso un fine, che si evolve in direzioni imprevedibili e, nondimeno, si presta all'interpretazione ed è suscettibile di una lettura significativa; si tratta quindi, direi, di una storia che integra, che ingloba, gli errori come parte fondamentale della sua stessa realtà. Naturalmente, il «senso» che sarà tratto da questa storia non sarà mai un senso «oggettivo», come lo intende Hegel, ma si confonderà, si mescolerà, ogni volta, con l'interpretazione stessa. Prima di tutto, ciò che caratterizza questa visione della storia - e di questo parlerò fra poco - è il concetto che l'ideale, le speranze a cui gli uomini non possono rinunciare, non hanno mai rinunciato, non devono essere considerati come qualcosa che si situa in fondo, all'estremità, alla fine di un processo storico, ma come qualcosa che può succedere in qualsiasi momento, che può trovarsi nell'oggi stesso. Tratterò molto rapidamente, per mancanza di tempo, questi punti, cominciando col raccontare una storia talmudica, che risale al XII o XIII secolo della nostra era e che forse riassume in modo paradigmatico questa visione. Il Talmud racconta che, un giorno, un rabbino ha incontrato il profeta Elia - Elia, nella tradizione ebraica è il simbolo dell'ispirazione profetica, divina e poetica - e gli ha domandato: «Maestro, dimmi quando verrà il Messia». Il profeta rispose: «Vai a chiederglielo». Allora, il rabbino dice: «Ma dov'è?» Il profeta risponde: «È seduto nel porto di Roma, tra i poveri e i malati, a curare le loro piagh~». Allora il rabbino va a Roma, al porto di Roma, vede il Messia seduto tra i malati, i poveri e i disgraziati, che cura le loro piaghe, e gli chiede: «Maestro, quando verrai?» E il Messia risponde: «Oggi». Il rabbino ritorna alla grotta del profeta Elia, da qualche parte in Palestina, passa la giornata e il Messia non viene. A~lora, il rabbino si rivolge al profeta Elià,. dicendogli: «Il Messia mi ha mentito. Mi ha detto che sarebbe venuto oggi e non è venuto». Il profeta Elia gli risponde: «Non hai capito quello che ti ha detto», e citando un versetto del Salmo 95, dice: «Oggi, se ascoltate la mia voce». Questo è un· versetto del Salmo 95: se ascolterete la sua voce, verrà oggi. Se non l'ascolterete, non verrà mai. Non vorrei presentare questa storia da un punto di vista-puramente religiosq, ma vorrei che fosse intesa in termini di filosofia della storia. Credo che essa implichi in primo luogo una critica della temporalità storica lineare, di un tempo cumulativo, di un tempo storico concepito sul modello del tempo dell'evoluzione scientifica e tecnica, dove le differenze acquisite si addizionano per formare un risultato sempre più completo, sempre più compiuto. La visione della storia degli ebrei, come è stata riattualizzata dai tre pensatori, implica che non si deve concepire la storia come un processo·quantitativo cumulativo perché ogni istante della storia ha un suo peso, un suo colore, una sua specificità, una sua qualità, e i momenti del tempo non si addizionano, non si sommano, così"come i momenti di una vita individuale non si addizionano per formare una totalità omogenea. Al contrario, tra ogni momento del tempo, percepito nella sua differenza e nella sua specificità qualitativa, vi sono tante differenze quante ve ne possono essere tra la felicità e l'infelicità, tra la vita e la morte, ecc. Di conseguenza, il tempo, e in particolare il tempo storico, non deve essere considerato come cumulativo e quantitativo, ma come qualitativo e differenziale. cui il tessuto temporale, il tessuto dell'accumulazione temporale, che nondimeno esiste, è strappato dall'accadere di qualcosa di radicalmente nuovo. S e è così, si potrebbe forse pensare ad un altro modello per la comprensione del tempo storico che non è quello del progresso scientifico e tecnologico, ma quello"della storia dell'arte. Walter Benjamin ha sviluppato molto questa idea: non si può parlare di progresso nell'arte, non si può dire che Goya era più grande di Poussin e non si può nemmeno dire che Poussin era più grande di Tiziano, ma si può solo dire che ogni opera ed ogni artista appare, come diceva Proust, come un pianeta, come una nuova stella, nel cielo dell'umanità. Si può dire anche che non c'è causalità nella storia dell'arte. Non si può dire che un'opera genera necessariamente un'altra opera come una causa genera un effetto; i legami che uniscono un'opera d'arte ad un'altra opera d'arte sono legami temporaLa punizione dei vizi, Abbazia di Moissac, in La France pittoresque Un tempo, come dice Walter Benjamin nel suo testo sulla filosofia della storia del 1940, che non è un tempo omogeneo, che non è il tempo dell'evoluzione, ma che è un tempo discontinuo, fatto di momenti qualitativamente molto diversi l'uno dall'altro. Non ho bisogno di ricordare che anche questo modello di progresso scientifico è stato rimesso in discussione da Kuhn, quando ha indicato che il progresso scientifico si realizza con una rivoluzione di paradigmi, con salti da un paradigma all'altro, e non in modo continuo. Non è necessario che vi ricordi che, ad esempio, il passaggio dal paradigma tolemaico al paradigma di Keplero e di Galileo è una rivoluzione, come il passaggio dal paradigma newtoniano al paradigma einsteiniano è parimenti in larga misura una rivoluzione. A maggior ragione, la storia degli uomini può essere vista solo come un tessuto fatto sia di movimenti, che di interruzioni, di stasi, di momenti di arresto, e questi ultimi sono le rivoluzioni del tempo, i momenti in li, ben inteso, ma di un ordine diverso rispetto a quello della causalità. Si potrebbe immaginare una visione della storia in cui gli avvenimenti non si concatenano in una succe~.;iow·di cause ed effetti, ma appaiono ogni volta con la novità radicale di una nuova opera d'arte. Ricordo, per quelli di voi che si interessano a questi problemi, che la critica dello storicismo di Karl Popper è proprio basata su questa stessa idea (riprendo l'immagine di Popper che, a proposito della imprevedibilità dell'avvenire, dice che se anche si fosse conosciuto in un certo momento della vita di Mozart l'insieme delle condizioni oggettive che regnavano nel mondo, nessuno avrebbe potuto prevedere la sinfonia che sarebbe venuta fuori il giorno dopo). Ecco, se volete, una percezione della storia, del Messia che può venire in ogni momento, che è una visione fondata sull'emergenza imprevedibile e sempre possibile del radicalmente nuovo. Questo, naturalmente, si oppone fondamentalmente all'idea dell'utopia come qualcosa che apparirà solo alla fine del tempo, quando le condizioni saranno mature, perché, come tutti sanno, le condizioni non sono mai mature. Di conseguenza, un tempo storico percepito in questo modo, ossia al di fuori di ogni legalità univoca, unilaterale, è un tempo «esploso», un tempo in cui le logiche storiche sono polivalenti, numerose, hanno più centri, sono polisemiche. È anche un tempo storico in cui il condizionamento creato dagli avvenimenti passati e la novità radicale possibile in ogni momento si articolano in modo del tutto specifico attorno ad uno schema che non ho il tempo di sviluppare, ma che è l'ordine delle biforcazioni possibili, in cui ogni momento della storia genera evidentemente una certa situazione che, a sua volta, dipende da un condizionamento, ma questo condizionamento permette nondimeno l'emergenza di nuovi problemi che, a loro volta, danno luogo a nuove scelte. Tutto questo ci porta ad una visione del tempo che ci induce anche a riflettere sui limiti della prospettiva. La prospettiva cozza contro almeno tre limiti intrinseci: da una parte, l'imprevedibilità dell'avvenire (e abbiamo un numero sufficiente di esempi concreti, anche recenti, per riconoscere questi limiti); in secondo luogo, la prospettiva non può render ragione dei cambiamenti qualitativi che sono dell'ordine della novità radicale e, in terzo luogo, la prospettiva ha una tendenza, che non chiamerei necessaria, ma che rimanda a più tardi, quando ci saranno le condizioni tecniche, la soluzione dei problemi etici. Ritornando alla storia del Messia al porto di Roma, è evidente che la decisione etica è di ogni momento, è sempre attuale, non può essere rimandata a un «più tardi». È anche il motivo per cui questa visione della storia è profondamente articolata intorno al ruolo etico della persona umana, vista non come un oggetto della storia, ma come l'essere capace di porsi ad una certa distanza rispetto al condizionamento storico, in un certo senso di rendersi esterna a questo condizionamento, in modo da sottoporre ogni momento della storia ad un giudizio di ordine etico. Questo implica, rispetto alla visione europea e neohegeliana della temporalità storica, come l'abbiamo vissuta nel XX secolo, una critica del messianismo politico, dell'idea che l'umanità potrà trovare la sua felicità alla fine di un processo di natura politica che sacrifica per definizione l'oggi al domani. Invece una percezione etica della storia implica che in ogni momento «la redenzione può arrivare». Il Messia è sempre seduto nel porto di Roma. È dai buchi del processo storico, dagli interstizi del processo storico - povertà, miseria, crisi - che traspare l'esigenza etica dell'altra cosa, del radicalmente diverso (il Messia è seduto nel porto di Roma tra i poveri). È vero che nei momenti di crisi vengono posti in discussione gli equilibri precedenti e si fa sentire l'esigenza di qualcosa di radicalmente nuovo. Avevo iniziato dicendo che abitare il mondo non è solo abitare uno spazio, ma anche un tempo, e per concludere ancora con una metafora, presa dal rituale ebraico, dirò che abitare il mondo non significa e non dovrebbe significare abitare il mondo come una casa chiusa da tutte le parti, ma come una capanna con il tetto di foglie da cui si può ancora continuare a vedere l'azzurro del cielo. Versione provvisoria, non rivista dall'autore. ·Edizioni Theoria "Sonde" r PAOLO VIRNO CONVENZIONE E MATERIALISMO L'unicità senza aura pagine 208 lire 2 5 .ooo Una sobria, disincantata apologia del moderno in un libro che attraversa nodi cruciali del dibattito filosofico. "Sonde" 2 FRANçOIS DAGOGNET IL CATALOGO DELLA VITA Saggio sulle classificazioni pagine 256 lire 30.000 Un'analisi della complessa macchina disciplinare che ha consentito l'inventario dell'universo. "Sonde" 3 STEFAN AMSTERDAMSKI TRA LA STORIA E IL METODO Discussione sulla razionalità della scienza pagine 256 lire 30.000 Uno dei magP,iori epistemoloP,i contemporanei interviene sulla questione della_ razionalità del progresso scientifico. Edizioni Theoria via Fregene 9 - oo 1 83 Roma Distribuzione CDA rn \ I IOO II I O I.I I '-,( II I 'I I. I9X6 Husserl/ Heidegger Fenomenologia. Storia di un dissidio (1927) H. Arendt Ebraismo e modernità R. Boeri, M.A. Bonfantini, M. Ferraresi (a cura di) La forma dell'inventiva D. Formaggio Van Gogh in cammino R.M. Schafer Il paesaggio sonoro A. Clancier, J. Kalmanovitch Il paradosso di Winnicott A. Arslan (a cura di) Dame, droga e galline. Romanzo popolare e romanzo di consumo tra Ottocento e Novecento E. Dalmasso, P. Gabert Geografia dell1talia ------ o desidero ricevere il vs. catalogo O mi interesso di ____ _ cognome e nome via, città Edizioni Unicopli via Verona, 9 - 20135 Milano te!. 02/ 5450089 EDIZIONI UNICOPLI

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