e scientifico nel senso della possibile produzione tecnica del niente. Lo sappiamo, nella guerra nucleare definitiva, nella catastrofe ecologica irreversibile, nell'ingegneria genetica oltre l'umano, sono le possibilità della produzione tecnica reale del niente. Il problema del niente, della distruzione dell'umanità e della terra, della fine della storia e della specie umana, e non solo del singolo, non è più un problema «filosofico», è un problema che riguarda anche la scienza. L'epoca della tecnica fa sentire all'uomo, per così dire, anticipatamente, la sua finitezza e la sua mortalità. Il suo contrario, la non accettazione della mortalità di ciascuno di noi e di ciò che «costruiamo», è la radice di ogni totalitarismo scientifico, filosofico, politico. E forse, nel pensiero dell'anticipazione della fine, la tecnica può essere l'avvio a «ciò che salva» nel pericolo. L'anticipazione della fine è il pensiero della fine. La poesia, soprattutto la poesia moderna, ha profondo il pensiero della fine. M a cosa vuol dire abitare poeticamente la terra? Cosa vuol dire «poeticamente» e perché «poeticamente»? Credo che non ci siano più sufficienti le dispute fra i livelli di linguaggio, i linguaggi perfetti o ideali e il linguaggio comune, il linguaggio come comunicazione o come espressione, il linguaggiocome conoscenza o come metafora. Poeticamente vuol dire portare al linguaggio il pericolo in cui viviamo e l'appartenenza di cui siamo fatti. Il senso dell'appartenenza è nello stesso tempo la tradizione e cioè la memoria, e la poesia nasce, come è noto, dalla memoria. È la cultura che non è soltanto la costruzione di ciò che l'uomo fa, ma è la trasmissione di ciò che pensa e fa. È il rispetto, la custodia, la protezione, la preservazione, come dicevamo. Quando Holderlin aggiunge all'abitare poeticamente le parole «su questa terra», vuole intendere: qui e ora e non altrove. A bitare la terra non è solo abitare uno spazio, ma è anche abitare un tempo. Questo tempo, quando è percepito al livello della presenza cosciente dell'uomo nel mondo, si chiama storia. Si potrebbe dire che lo spazio e il tempo che noi abitiamo sono intimamente collegati l'uno all'altro e, se volete, si potrebbe dire, impiegando il termine inventato da un grande semiologo russo di questo secolo, Michail Bachtin, che il mondo è un vasto cronotopo. Sappiamo tutti che lo spazio, il paesaggio che noi abitiamo, che l'uomo abita, cambia col tempo. Sappiamo anche che la percezione del tempo cambia con il luogo, che il tempo cambia con il luogo da cui è percepito. Vorrei presentare, a questo riguardo, un modello di storia diverso dal modello dominante nell'Europa moderna, un modello storico che è scaturi~o da un luogo specifico. Questa visione della storia si basa su una esperienza eccezionale, nel cuore dell'Europa, un caso particolare, un campo molto, molto preciso, in cui un gruppo di uomini ha vissuto la storia in un modo fondamentalmente diverso da quello della maggior parte degli europei. Non si tratta di principi soprannaturali, né di destinazioni escatologiche, né di ideologie apocalittiche. Ma aggiunge Holderlin, in un altro verso: «sotto il cielo». E sotto il cielo vorrà dire il riconoscimento del sacro. I poeti non hanno paura di certe parole che noi connotiamo, per esempio, spiridell'uomo a un destino comune con la natura. Abitare questa terra sotto il cielo forse nasconde un segreto, un segreto accordo fra poesia e scienza, fra Poiesis e Physis, un accordo impensato e ancora da pensare è la questione dell'abitare la terra. Abitare la terra è quindi, come si intitola questo convegno, «mattinali» lo hanno già scritto. Le loro parole sono, come le parole della poesia, inutili, ma anche pericolose nel senso che annunciano il pericolo. La coscienza del pericolo è la coscienza della poesia. La responsabilità, allora, della scienza e della filosofia e della cultura non è .······•· '"'~7e:::f~:~·~~l!ffJ:;~:. ~-,~1F/4'~~ .. •••'.~~ji'flì'i j~,~#[i -~i&1 .· . . . ~ ·. · ... ,:~ • •' . / • // ~ ~-~- ., # . Il diavolo di Papefiguière, (Racconto di La Fontaine), Biblioteca nazionale, Parigi tualisticamente, come la parola «sacro». Il custodire, il preservare, il proteggere, è una forma di sacro, di sacro su questa terra. Del resto, se la scienza, come la filosofia, nasce dalla meraviglia e dallo stupore, nasce anche dal senso della finitezza e dell'appartenenza una questione suprema, una questione universale. Riguarda tutti, non solo gli scienziati, i poeti, i filosofi. Riguarda tutti noi. Può darsi che i filosofi o gli scienziati in questo momento stiano scrivendo un Peri physeos, un De rerum natura. Certo, i poeti e i pensatori Firenze-Physis soltanto quello che diciamo troppo spesso facilmente, la responsabilità di fronte alla società, al potere, alla politica, in quanto tutti noi siamo cittadini di una Polis. L'universalità è data dal fatto che il pericolo non è il pericolo solo dell'individuo, ma della specie. Il A ita,,ha,Moses tempo Quando parlo di un nuovo modello della storia, non intendo un nuovo modello di scrittura della storia, di storiografia, ma piuttosto un nuovo modo di percepire la successione degli avvenimenti stessi, la realtà stessa degli avvenimenti e la loro interpretazione. Quindi, per impiegare i termini di Krzysztof Pomian, «meno della storiografia che della storiosofia». Non è forse un caso se i tre pensatori a cui accennerò stamani, tre pensatori che non hanno formato un gruppo, una scuola, ma che nondimeno si sono conosciuti tra loro, e che hanno elaborato questo modello di storia, erano tre ebrei tedeschi: Franz Rosenzweig (1886-1929), Walter Benjamin (1892-1940) e Gershom Scholem, grande esperto e storico della mistica ebraica (1897-1983).•Questi tre pensatori hanno elaborato una visione della storia in completa rottura con il modello dominante in Europa, perlomeno dall'Illuminismo in poi, modello che doveva acquisire la forma più compiuta con la filosofia della storia di Hegel, e che chiamerei «il modello del progresso». Il modello del progresso sottende l'idea che l'evoluzione storica obbedisce a una logica razionale, che va in una certa direzione ed è in larga misura prevedibile. Inoltre, sappiamo che, per Hegel, la storia è lo sviluppo stesso della ragione attraverso le sue varie incarnazioni, personificazioni. Secondo Hegel (il quale, a seguito delle idee dell'Illuminismo, ha forgiato la percezione dominante della storia nell'Europa moderna) vi sarebbe una legalità profonda della storia che è identica alla legalità della ragione stessa. Conoscete tutti la famosa formula di Hegel, «tutto ciò che è reale è razionale, tutto ciò che è razionale è reale», ma questa formula deve essere capita dinamicamente: la ragione è ciò che si incarna progressivamente attraverso i processi storici. Di qui, l'idea che ha dominato gran parte del nostro secolo, la famosa idea «del senso della storia», come se si potesse pensare che gli avvenimenti seguano una linea retta, animata da un senso intellegibile e che li conduce verso un certo fine identificabile. Proprio questa idea è stata rimessa in discussione dai tre pensatori appena citati, e non è certo un caso che questi tre pensatori siano stati ebrei tedeschi, che vivevano nella Germania di Weimar nei primi trent'anni di questo secolo. Hanno vissuto una espenenza storica, che altri uomini hanno sfortunatamente condiviso con loro, ma che d'altra parte essi sono stati costretti a vivere in modo parossistico, e che li ha condotti ad elaborare una nuova idea di storia. Ricorderò rapidamente tre avvenimenti fondamentali che hanno contribuito certamente al crollo della visione classica della storia come progresso. Nel caso di Franz Rosenzweig, la guerra del 19141918, vissuta come il crollo di una Europa ancora pensata da Hegel come il luogo stesso della storia universale. Per Walter Benjamin, il crollo marxista, il crollo delle speranze rivoluzionarie nel 19391940, alla fine della sua vita, con il Patto tra tedeschi e sovietici. Per Scholem, professore universitario, storico, tedesco, emigrato in Palestina nel 1923, il confronto con la realtà tragica e contraddittoria della storia degli ebrei nel XX secolo. Questi tre uomini, questi tre autori, questi tre filosofi sono dunque giunti, ognuno per proprio conto, all'idea di una storia «esplosa», polivalente, polisemica, dal movimento non lineare, molto pericolo non è solo di uno stato, ma del mondo. La comunità di destino di uomo e natura è nello stesso tempo questo senso profondo di unità che dobbiamo scoprire tra quella che chiamiamo terra e quello che chiamiamo mondo storico, sociale. Forse sentiamo, nell'epoca della tecnica (non potendo mai dimenticare che parliamo in questa epoca della tecnica) che la scienza, come dicevo, è arrivàta al suo limite. Il limite della scienza sta diventando la sua essenza stessa. Abbiamo fatto prevalere certamente la potenza sulla saggezza e su quella che chiamerei una forma di prudenza.cosmica. Abbiamo fatto prevalere la ragione e la volontà di potenza, chiamata anche scientifica, filosofica, sulla meditazione. Abbiamo fatto prevalere l'appropriazione sull'appartenenza, il progetto illimitato sulla finitezza, e (adoperiamo pure questa parola «poetica»), abbiamo fatto prevalere il progetto e la costruzione dell'uomo in quanto dominatore e portatore di valore sulla realtà come dono. Forse dovremmo riscoprire la parola che ripetiamo sempre: è dato, esiste, c'è, «es gibt», ciò che è dato è donato. Se non ripercorriamo, forse attraverso il linguaggio della poesia, questo senso della donazione, noi forse. perderemo per eccesso di furia, misurante e calcolante, direbbe Heidegger, perderemo il senso del dono che è senso di appartenenza originaria. Dobbiamo dunque pensare diversamente, far giocare un pensiero che medita e non solo un pensiero che calcola. Dobbiamo prendere sul serio il poetico, perché il poetico, dice sempre il nostro (o mio) poeta, Holderlin, è una forma di amicizia. Leggo che anche gli scienziati parlano di «alleanza». «Fino a che l'amicizia sincera ancora resta nel cuore», dice Holderlin, noi possiamo pensare la vita dell'uomo come un vivere-abitare. La vita dell'uomo come un «vivere abitando.» imprevedibile, di una storia non della necessità, ma dei possibili, non di una storia irrazionale, ma di una storia decifrabile con altri schemi razionali, che criticano l'ideologia del progresso continuo, in nome di una visione discontinua della storia. Critica dell'idea di utopia considerata come un ideale che si trova da qualche parte, molto, molto lontano, in fondo all'avvenire, come un'idea direttrice di cui si può sognare, ma di cui si sa «a priori» che non sarà mai realizzabile, utopia come realizzazione/non realizzazione, come una tangente dello svilup120storico. Contro questa visione della storia, tutti e tre hanno proposto un modello, il cui punto principale risiede nell'idea dell'apparizione, della storia considerata come un processo, come una successione di apparizioni di avvenimenti del tutto nuovi, ossia imprevedibili. Vorrei anche aggiungere che non è affatto per caso che questo nuovo modello della storia sia stato suggerito dai più antichi temi del messianismo ebraico, così come si esprimono nei testi canonici della tradizione rabbinica, talmudica e mistica. Se l'argomento della maggior.
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==