Ef possibile qualcosa come un progresso in etica? E se lo è, come è possibile? Il mio problema non è: in che cosa consiste il progresso in etica? Il che vorrebbe dire attrezzarsi a rispondere a domande su come è fatta un'etica migliore e più progredita rispetto alla nostra e alle nostre concezioni correnti della moralità. Il mio punto è piuttosto quello di suggerire le linee di una spiegazione filosofica di come sia possibile che vi sia qualcosa come un progresso in etica (in un modo che sia per noi riconoscibile). Le spiegazioni filosofiche sono del tipo: come è possibile ·che noi conosciamo qualcosa, date le ricorrenti obiezioni dello scetticismo? Come è possibile per noi avere una capacità autonoma di scegliere qualcosa, dato che tutte le nostre azioni sono causalmente determinate come eventi nel mondo? O, infine, come è possibile il linguaggio o la filosofia stessa? Robert Nozick ha osservato che la forma generale di queste domande è la seguente: come è possibile una certa cosa, date o supposte o accettate certe altre cose? Se, per esempio, assumiamo che lo stato delle nostre teorie morali sia quello descritto nell'esperimento mentale fantascientifico di A. Maclntyre, allora è difficile pensare a qualcosa come un progresso in etica. Maclntyre suggerisce, per avere una idea di quello che lui ritiene essere lo stato delle nostre teorie morali, di pensare a una catastrofe improvvisa èhe distruggesse tutti i nostri libri e le nostre riviste scienEsisteuliireiii-ogresso inetica? tifiche, insieme a tutti i laboratori e agli istituti di ricerca. Resterebbero solo tracce e rovine, frammenti isolati di linguaggio scientifico. Analogamente, questo sarebbe lo stato del nostro linguaggio, nell'ambito delle teorie morali e della nostra comprensione di quale sia la natura della moralità. E questo - e nient'altro - informerebbe le nostre risposte a domande su come dobbiamo vivere, su come dobbiamo trattarci e organizzare le nostre società. Qualche altro filosofo, come B. Williams o, con accenti diversi, R. Rorty potrebbe sostenere che tutta la nostra moralità si riduce a un grappolo di istituzioni e convenzioni in comunità tribali o parrocchiali, in forme di vita differenti e in qualche senso incommensurabili o intraducibili fra loro. Così, ogni nozione di «giustificazione», di «valore» e ogni «ragione» per agire avrebbero il loro senso appropriato solo entro una nicchia o entro le pratiche e gli stili conversazionali di un clan. Se le cose stessero così, se queste determinate cose fossero accettate, allora esse escluderebbero prima facie quella certa altra cosa, identificabile con una qualche nozione di progresso in etica. Sembra che potremmo al massimo parlare di raffinamenti e sviluppi di forme particolari di riti e miti o idiosincrasie. Ma ci sfuggirebbe, o sarebbe escluso a prima vista, in che senso potremmo sostenere che alcune fra esse sono migliori di altre, se non per attaccamento idiosincratico alle nostre abitudini Salvatore Veca conversazionali ereditate e ai nostri stili o alle nostre forme di vita, toccate in sorte per effetto della lotteria genetica. È perciò chiaro che porsi il problema filosofico se sia possibile progresso in etica implica ritenere che lo stato delle nostre teorie della moralità o della nostra comprensione di che cosa faccia di una moralità una moralità, non sia raffigurabile nel modo in cui autori come Maclntyre, Williams o Rorty ritengono (e avere una certa idea del perché di queste immagini che apparentemente escludono quanto voglio spiegare). Accettare queste versioni significa infatti far evaporare la nozione stessa di progresso. Perché questa nozione sia possibile, occorre assumere - come io assumo - che noi siamo a un certo stadio del nostro sviluppo morale: il che non coincide con l'idea piuttosto febbrile e presuntuosa per cui siamo a uno stadio particolarmente avanzato o sofisticato (è la pretesa che solo un tale stadio potrebbe meritare il nostro pieno apprezzamento morale che genera probabilmente le versioni scettiche e relativistiche o nichiliste dello stato del nostro linguaggio e della nostra comprensione morale. L'esclusione della idea di progresso in etica potrebbe così essere più apparente di quanto sembri a prima vista). Semplicemente, tutto quello che c'è da dire è che noi siamo a un certo stadio di un'evoluzione. Questo stadio presuppone probabilmente, alle nostre spalle, qualcosa come un «lungo e difficile viaggio» o, come dire, l'evoluzione di un sistema complesso e integrato di capacità o competenze morali. La nozione di progresso è allora del tipo: progresso da. Essa è connessa allo sviluppo e all'approfondimento, all'estensione di tale sistema di· capacità e competenze. Alla fine, un «lungo e difficile viaggio» o, forse, un «più lungo e difficile viaggio» è davanti a noi, che abitiamo la terra, sempre che si sopravviva come specie. 11punto è che noi abbiamo già un'idea di che cosa voglia dire «progresso» in etica - a qualsiasi stato di esso siamo (giunti). Questa idea sembra far parte del nostro corredo di idee correnti sulla moralità. D'altra parte, questa idea - per quanto vaga - è una condizione essenziale del progresso morale. In altri termini, come ha sostenuto Thomas Nagel, «l'idea della possibilità di progresso morale è una condizione essenziale del progresso morale». In un qualche senso l'evoluzione di una moralità migliore che tocchi i nostri modi di vivere e conduca le nostre vite è affine alla crescita e allo sviluppo, all'approfondimento della nostra conoscenza, della nostra immagine del mondo. Può sembrare bizzarro questo accostamento della nostra evoluzione morale alla evoluzione della nostra immagine del mondo. Perché in quest'ultima gioca un ruolo essenziale la componente della impresa scientifica, almeno come tratto essenziale della cultura moL'ultima tentazione del succubo, variante,Bibliotecanazionale, Parigi derna. Tuttavia, l'immagine scientifica del mondo non lascia spazio, nel suo mobilio del mondo, a cose come fatti etici o di valore, a verità morali. Telescopi e microscopi non sembrano accertare o rivelare cose come fatti di valore. Resta in ogni caso un fatto che ci siano cose come valori, nel mobilio del mondo. Il semplice fatto che ci chiediamo di che cosa sia arredato il mondo ha, come osserva H. Putnam, a che fare con i valori. Con il fatto che scegliamo che vi siano fatti di valore: forse, semplicemente, questa è una spiegazione filosofica del fatto che ordiniamo il mondo secondo gerarchie (per gradi di unità organica, direbbe Nozick) che possiamo variare. Ora, qualcosa del genere sembra valere per la nozione (di valore) di progresso in etica. È un fatto che noi abbiamo l'idea (di valore) di che cosa sarebbe meglio per noi. Un'etica migliore è quella che sentiamo svilupperebbe e approfondirebbe o estenderebbe attitudini e punti di vista che fanno già parte del nostro corredo etico per come esso si è evoluto (poco o tanto, non importa; e poi, «poco o tanto», rispetto a che cosa?). Non solo un'etica migliore sarebbe la nostra, qualora essa fosse più estesa o profonda. Sarebbe la nostra, con la capacità superiore di rimuovere o rendere più feconde le tensioni e le collisioni fra le nostre correnti idee di valore che forse dipendono dal grado insufficiente di approfondimento e dal tipo insufficiente di prospettiva. Un progresso in etica è possibile
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