nel libro di Berman, accanto ad altri autori del XIX secolo i quali «avevano compreso i modi in cui la tecnologia e l'organizzazione sociale moderne determinavano il destino dell'uomo» (pp. 38-9). Tali autori, tra i quali Berman pone Marx e Nietzsche, credevano che, una volta compreso tale destino, gli individui moderni fossero in grado di combatterlo. Invero già Tocqueville aveva osservato che il movimento che trascina i popoli cristiani (i popoli moderni) era ormai troppo forte e se pure ancora nelle loro mani «presto sfuggirà loro» (p. 22). Berman sviluppa a sua volta, nel proprio contesto, l'equazione secondo Tocqueville di eguaglianza (modernità) e instabilità: il sempre nuovo aspirare, progettare, costruire, i «flussi instabili della vita moderna» si apparentano al nichilismo (p. 144e sgg.). Autodistruzione innovativa: Berman ha catturato questo slogan della Mobil Oil come una epigrafe per la modernità. È sotto simile insegna che Robert Moses, l'architetto edificatore e distruttore a un tempo della città di New York, è vissuto da Berman come una titanica forza impersonale della modernità, la «sfinge di cemento e alluminio», il Moloch che ci è entrato nell'anima (da Ginsberg) aprendosi la strada con una scure di carne: «Quando si opera all'interno di una metropoli con troppi edifici, ci si deve aprire un varco con una scure di carne» (R. Moses). Essere moderni - dice Berman - è trovarsi nell'avventur~ della crescita e trasformazione di noi stessi e del mondo: e ad un tempo sotto la minaccia che venga distrutto tutto ciò che abbiamo, che conosciamo, che siamo (p. 25). La modernità ha un prezzo: se stessa. «Nulla I c'è che nasca e non meriti / di finire disfatto» conferma il detto mefistofelico nel Faust di Goethe. Se è così, soggiungiamo noi, l'opera di Moses è solo un esempio di un'equazione - fare per disfare - che mostra una falla nell'umano come.una forza che sembra essere più forte dell'umano stesso (o forse uguale alla somma delle forze di tutta l'umanità passata presente futura?), e che dà sempre come risultato la polverizzazione della storia umana. Vi torneremo tra un momento. Antonio Porta La festadel cavallo Milano, corpo 10, 1986 pp. 86, lire 10.000 Il Mi tornate vicine, voi fi- '' gure mutevoli / che siete presto apparse, un tempo, all'occhio incerto. / E io mi proverò, ora, a fissarvi? / A quelle fantasie l'animo inclina ancora?» Così, com'è noto, con questa interrogazione verso le" schwankenden Gestalten che si approssimano, cominciano i primi versi del Faust di Goethe. Chi sono, cosa vogliono queste tremule figure che, venute da un non-si-sa-dove (dal passato? dal nulla?), si affacciano alla mente del narratore? Di loro, che farne? Perché parlarne? Come scriverne? L'interrogazione sullo statuto (chi sono?) e sul senso (come mai si mostrano?) dei «personaggi» e più in generale del mondo che, non ancora scritto, appare al narratore affinché ne scriva, è un'interrogazione inesauribile, una questione infinita che si radica Possediamo il motivo delle autocontraddizioni del modernismo, della modernistica progettazione del futuro? Lo ricerca Marx nel Manifesto - ci ricorda Berman, che dal Manifesto ha preso il titolo in originale del suo libro: Tutto ciò che vi è di solido si dissolve nell'aria - là dove si loda la classe borghese per aver distrutto il concetto di durata e permanenza. Marx vi esprime «alcune delle intuizioni più profonde della cultura modernista» in grado di far luce su taluni suoi lati «repressi ed oscuri». Con una prosa d'improvviso incandescente Marx evoca e mima in un seguito d'immagini brillanti «l'andatura furiosa e il ritmo frenetico che il capitalismo impone ad ogni aspetto della vita moderna» (p. 123). Il cambiamento del mondo non ha orli, frontiere ultime. Le forze produttive colossali suscitate costringono la borghesia ad andare avanti, in una spietata concorrenza, così che essa «non può esistere senza rivoluzionare continuamente gli strumenti di produzione», cadendo nell'abisso che Marx chiama dell' «incertezza e movimento eterni»: «Si dissolvono tutti i rapporti stabili e irrigiditi, con il loro seguito di idee e di concetti antichi e venerandi, e tutte le idee e i concetti nuovi invecchiano prima di potersi fissare. Si dissolve nell'aria tutto ciò che vi era di corporativo e di stabile, è profanata ogni cosa, e gli uomini sono finalmente costretti a guardare con occhio disincantato la propria posizione e i propri reciproci rapporti». Discende da ciò il motivo, anche troppo semplice, dell'autocontraddizione insita nella modernità: investire nel mutamento equivale ad investire nella crisi e nel caos. Ma ecco, per converso, trovarsi nella crisi e nel caos equivale ad una promessa di sconfinata salute. Marx cerca, a partire da questo individuo della crisi, individuo parziale, un «individuo totalmente sviluppato» ( Capitale, I), il superamento della modernità in una modernità più totale e profonda che miri alla ricchezza non del danaro ma delle esperienze, delle capacità e sensibilità umane. Berman non crede nelle possibilità di questa risposta marxiana al problema' della modernità. E, infatti, ogni tipo di risposta credo sia forzata a spazzar via l'intera modernell'essenza stessa dell'inventare storie e più in generale della scrittura. Questo stesso enigma - che, non appena posto, rende di colpo incerto e periglioso l'atto stesso dello scrivere - apre le prime battute del «poema per teatro» di Antonio Porta: «Eccoci qui, personaggi,/ ma siete poi dei personaggi? / o fantasmi? o figure?, / un autore lo avete trovato / pronto a fare naufragio ... ». Scrittura agita, il teatro si spinge fino a creare una dimensione corporea della scrittura: di fronte all'occhio, al corpo dello spettatore, il teatro mostra e mette in scena il personaggio-fantasma della scrittura attraverso il corpo dell'attore. Nel teatro di Antonio Porta (dove il narratorescrittore stesso è presente sulla scena con il sotto-nome di «Didascalia»), l'identità misteriosa (o meglio, misterica, e quindi sacrale) del personaggio-fantasma-attore si pone come un quesito-limite che dall'inizio alla fine fa svolgere il dramma lungo una frontiera olnità. Tuttavia Berman a sua volta continua a sperare che «si dissolvano tutti i rapporti stal;lilie irrigiditi», che si dissolva la modernizzazione (economia e socialità) e non la cultura del modernismo - le nuove visioni ed espressioni di vita - se le generazioni continueranno a lottare per sentirsi a proprio agio in questo mondo, mentre sì «le case che abbiamo costruito, la strada moderna, lo spirito moderno, continuano a dissolversi nell'aria» (p. 425). Penso che entrambe queste speranze mostrino la loro corda debole, in quanto non mettono in discussione, non spostano altrove il fondamento «uomo» della modernità. Ma cos'è una modernità senEisen, Il diavolo di Papefiguière za uomo? Nulla. Infatti, all'altra domanda «quando finirà la modernità» non si potrebbe che rispondere: mai più ormai, se non con l'uomo stesso, perché la modernità ha portato alla luce i primordi dell'uomo, il suo sigillo nativo, e con tale sigillo è sigillata la parola fine. L'umano è fine e distruzione fin dall'inizio. Per questo l'uomo - la modernità lo rivela - è destinato a fare soltanto per disfare. L'uomo vive, e fa vivere, la fine in ogni suo momento. Per questo la storia è polvere. E la «modernità» paradossalmente è coestensiva ad ogni momento dell'uomo, ma concentrata certo negli ultimi cinque secoli per siffatta evenienza rivelativa del carattere Giampiero Comolli tre la quale c'è l'eventualità sempre insistente del suo svanire, di una fine totale, dell' «ancora per poco [... ] e poi basta»: «noi siamo solo dei replicanti, costretti a ripetere ancora per poco quello che siamo stati, poi basta [... ] ormai senza sangue, solo un po' di inchiostro [... ] azzurro o nero, a seconda delle preferenze del nostro autore ... ». Poema per teatro, La festa del cavallo di Antonio Porta mette in scena il sorgere e lo svanire dei personaggi poetici attraverso un teatro in cui la recitazione sembra sprofondare in un passato arcaico, primordiale: la recita si fa rito, sacra rappresentazione: il tavolo attorno a cui si stringono gli attori «è il tavolo di una veglia, di un'ultima cena ... » (p. 23). In questo modo il tema del «chi sono i personaggi del teatro?» si rivela come un tema evanescente, un tema ombra, pallido specchio oltre il quale emergono i temi fondamentali e primordiali dell'esistere e dello scomparire; temi che la poesia, umano della fine. Ci sarà da domandarsi dove porti il disfare umano. A quanto appena osservato, che fa parte della propria veduta di chi scrive, viene incontro quella strana concezione della letteratura e del mondo che è di Harold Bloom, una concezione poetico-critica ispirata a una dialettica gnostica e cabbalistica, che legge le opere (sono costretta a compendiare al massimo) come derivanti direttamente da un Precursore e indirettamente dagli dei. L'artista s'imbatte nel suo lavoro in qualcosa come lo «straniante» di Freud che è invero qualcosa di ben heimlich, familiare, e che riproduce un rapporto primordiale tra gli angeli demiurgici, la loro creazione e Adamo. Questi, recando in sé il nome e l'immagine dell'anthropos primigenio, l'Adam gadmon, spaventò col suo linguaggio e la sua voce (da Clemente Alessandrino) gli angeli che, in fretta, deturparono e nascosero la loro opera, il cosmo, nel quale Adamo fu gettato pur restandone superiore. Ogni creazione d'artista umano è impressa del sigillo di questa creazione catastrofica, perché l'artista, il poeta, come l'Adamo iniziale, reca in sé una preesistenza, il nome di un dio, una forza divina. Il Precursore, per ogni poeta forte, è l'entità che permette, a chi traversi l'«angoscia dell'influenza» per aprirsi una strada propria, di risalire indietro il tempo alla scena primordiale. I poeti, gnosticamente, mentono contro il tempo riproducendo la mitopoiesi cataclismica e distruggendo la storia. Cos'abbia a vedere questa vicenda di letteratura (di chi scrive ma anche di chi legge) col problema della modernità è evidente: l'esistenza intertestuale apre gli occhi su ciò che è avvenuto (e avviene ogni momento) nel mondo, del mondo, del tempo perché lascia rifluire il rimosso fondamentale, l'abisso e caos delle origini. Non vi sono che Io e l'Abisso per ogni anima veggente, dice Emerson, il veggente e profeta, secondo Bloom, della gnosi americana. Questa è in grado di illuminare sulla condizione gnostica del mondo altrettanto bene quanto il modernismo americano sulla modernità in generale. trasformata in dizione sacra, in recitazione rituale, permette di cogliere secondo una dimensione mitica, archetipica. Così, come formule al tempo stesso liriche e misteriche emergono, dietro l'ombra del recitare, 1 temi della fame («Non si stancheranno mai di recitare questa scena. Compatiteli, è fame vera, è una fame di secoli... »), della nominazione («Amici, compagni [... ] ho pensato di celebrare anche la festa del nome ... »), del generare-morire («lascia che la prenda io tutta la vita che ti è rimasta dentro [... ] adorato ... »), della salvazione («Salvatore [... ] amore [... ] che rima antica, bellissima... »), del nulla («Culla del mio nulla /dentro il nulla della culla / levigata dimora / senza polvere di nulla»), e tanti altri ancora. Ma questi temi mitici, che sorgono da un passato profondissimo e che quindi, attraverso la ripetitività del rituale, paiono destinati a darsi come perenni, immutabili, fuori della storia, si trovano invece Anzi gli gnostici, quelli di ogni tempo, sono essi proprio decostruttori modernisti (possiamo desumere da Bloom) se modernismo equivale, come sappiamo, a smantellare col costruire. L'opera della modernità, un terreno così fertile per i poeti, può ora apparirci, con le sue azioni circolari, col suo titanismo inane, come una rimozione del destino di catastrofe che però, sotto diniego, viene svelato. I primordi vanno sollecitati, ed ecco il modernismo emersoniano (Emerson un Precursore per eminenza di poeti), che rende lo specifico della gnosi americana: «Chi non ha fatto niente non ha conosciuto niente. Vano è starsene seduto a fare piani [... ]: alzati e fai! Se la tua conoscenza è reale mettila in circolazione da te: cimentati con la vera Natura; prova in essa le tue teorie e vedi come resistono». In tale ottica ogni caduta - anche quella della modernità - è un eccesso di vitalità: una «rottura dei vasi». I vasi sono le luci della creazione, rotti fin dall'origine (secondo la Kabbalà !uriana) forse per una breccia di niente infiltrata nel primissimo principio. Vano, di conseguenza, è il contenere la rovina entro la storia umana. Ne discende il motto secondo Bloom: Tutto ciò che può essere rotto va rotto. Bloom ha sostituito la diade di Tocqueville religione-libertà americana con l'altra più originaria religione-letteratura e ha integrato l'«istinto democratico selvaggio» con l'istinto mitologico - in ogni caso selvaggio. Con ciò lo pseudo-mito americano dell'uomo efficientista portatore di libertà tende a sostituirsi col mito vero (genuino ) dell'uomo primordiale e del genio catastrofico. Possiamo rispondere ad una nostra domanda: il disfare umanocentrico e moderno porta all'uomo dell'eternità. La necessità di cui dicevamo, di spostare altrove l'uomo della modernità, porta verso l'immagine eterna dell'Adamo che esso reca dentro di sé. Dicevamo che la modernità ha scoperto la fine: non sorprenda ora che ciò si integri asserendo che ha scoperto l'eternità sotto la fine. Nell'uomo tardivo della modernità essa compare, e intensamente agisce, come un fantasma dell'origine. Non è una scoperta agevole da assimilare. nel dramma di Porta, trascinati in una catastrofe della storia, in una rottura definitiva dell'immutabilità. Dove, quando avviene la «festa del cavallo»? Un gruppo di personaggi, che hanno perso quasi tutto, che si sono trasformati in un quasi niente, si rigirano come superstiti in un luogo uscito da una catastrofe, una guerra, un evento che ha distrutto la storia e con essa anche la ciclicità e l'immutabilità del tempo mitico e rituale. Così, il poema teatrale di Porta mette in atto un'operazione vertiginosa di cui è difficile cogliere -.:ttutta la portata. La festa del cavai- .s lo restituisce sì una dimensione ar- g,o caica e pagana al mistero della ::: scrittura e del suo corpo teatrale, ~ ma lo fa ponendosi dal punto di ~ ,9 vista «ultra-storico» della fine posi:::s ~ sibile del nostro mondo attuale, ~ ponendosi cioè dal punto di vista ~ di una catastrofe totale, che di- ~ struggerebbe quindi anche quella t: ciclicità del tempo su cui da sem- ~ pre si basano i miti e i riti. La festa l del cavallo ci pone dunque di fron- ~
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