Alfabeta - anno IX - n. 92 - gennaio 1987

tà delle sostanze materiali erano spiegate in virtù della loro forma. Il cubo spiegava la stabilità della materia, i vertici aguzzi del tetraedro spiegavano il dolore acuto provocato dal fuoco e l'icosaedro, il più vicino alla sfera tra i solidi regolari, spiegava la fluidità dell'acqua. Per Platone queste forme non erano ancora la realtà ultima; dopotutto erano composte da forme geometriche ancora più fondamentali, i triangoli. I triangoli, però, non sono oggetti tridimensionali, ma idee astratte. Anche quando vengono rappresentati nello spazio richiedono solo due dimensioni. Platone risolveva la realtà ultima del mondo in forma e modello puro e ideale. La straordinaria intuizione platonica si irrigidì, nella tradizione successiva, in un modello metafisico tipicamente greco. I successori di Platone erano più platonici di quanto probabilmente lo fosse Platone stesso: veneravano le forme come realtà ultima, immutab;- le ed eterna. Presero l'analogia platonica della percezione umana come percezione di ombre sulla parete di una caverna come se fosse una descrizione della natura della verità e della conoscenza: il mondo empirico divenne solo una sfera inferiore che cercava imperfettamente di esprimere le forme perfette poste al di là del suo limite. Questa interpretazione metafisica provocò una comprensibile opposizione fra i primi praticanti e filosofi della scienza moderna, che si rifacevano invece a Democrito e ad Aristotele. Oggi, tuttavia, la visione platonica, spogliata delle sue vesti metafisiche, dimostra di essere l'ispiratrice diretta di alcune delle più grandi menti scientifiche del nostro tempo. Il fatto è che la fisica, che venne a sostituire la meccanica classica alla fine dell'Ottocento, poteva rappresentare la realtà fisica solo in termini matematici: ogni ulteriore interpretazione dei simbolismi matematici si distaccò dalla scienza. L'universo fisico appariva incapace di spiegazione come regno della sostanza, sia materiale che ideale. Come hanno ripetutamente sottolineato Planck, Heisenberg, de Broglie, Schrodinger, Pauli e altri, la scienza contemporanea coglie la natura del mondo dell'esperienza in termini di modelli matematicamente formalizzati. Questo, però, mondo e alla quale quest'ultima possa essere ridotta; si presenta piuttosto sotto forma di modello fondamentale che appare in trasformazioni sempre più variate, sempre più diverse. L' «Uno» non è sostanza, non è neppure la forma di una sostanza. Non è la matrice spazio-tempo quadridimensionale di Einstein, né l'atomo di Bohr, né l'equazione ondulatoria di Schrodinger. Non è una forma o formula limitata alla fisica, ma un modello che trascende ogni disciplina empirica e tutte le comprenAlberto Martini, L'ultimo slancio dell'inferno, particolare, Galleria d'Arte Moderna, Milano non significa che la scienza abbia abbandonato la ricerca di un'unità sottostante, al di là dell'apparente molteplicità. La ricerca sta nell'incessante sforzo degli scienziati di raggiungere l'ipotesi più semplice e più completa, nella formula più coerente e fondamentale che riesca a spiegare i fatti osservati. Ma l'unità che la scienza contemporanea oggi ricerca e semprè di più trova non è sotto forma di un elemento fondamentale da cui derivi la manifesta diversità del de. Per usare le espressioni classiche greche, !'«Uno» non è la forma dell'Essere, ma la forma del Divenire. In termini moderni, non è la forma del mattone, ma la forma dell'edificio. E, nella terminologia della scienza, non è un elemento, una cellula o qualche altra unità «fondamentale», ma il modello di cambiamento irreversibile, evidente in tutti i sistemi lontani dall'equilibrio termodinamico. L'«Uno» è il modello invariante dell'evoluzione. È motivo del più profondo stupore che questo modello di cambiamento, il modello dell'evoluzione, mostri un'unità e una coerenza di base. Dopotutto, non c'era bisogno che fosse così: la natura non è costretta ad essere logica, eppure nella natura c'è logica e unità. C'è un ordine interno che sottostà e collega tra loro tutti gli ordini fenomenici che appaiono in una varietà quasi infinita. Nel modello tracciato dalla natura in evoluzione c'è un ordine che si ripete, una invarianza che si conserva. L'«Uno» ultimo che sottostà ai «molti» dell'esperienza è l'invarianza nell'evoluzione della complessità nella natura fisica, nel mondo vivente e nel mondo degli uomini. Qual è esattamente la natura di questa invarianza? Io, come David Bohm, ritengo sia l'ordine del cambiamento stesso. È l'ordine degli ordini; l'ordine che gli ordini mostrano quando emergono nell'universo. È l'ordine dell'evoluzione. L'evoluzione è veramente un dispiegamento, ma non di cose o di sostanze, bensì di ordini. L'ordine insito nell'universo fisico è stato il primo a dispiegarsi, apparendo già al 10-33 secondo che segnò la fine del «tempo di Planck» e l'inizio dei processi cosmici che ancora dominano l'universo. L'ordine che sorse dieci o quindici miliardi di anni più tardi era l'ordine biofisico e biologico mostrato da sistemi termodinamicamente aperti, autoreplicanti e autosupportanti che si sviluppavano in un ricco flusso di energia su superfici planetarie adatte. E l'ordine precipitato da questi ordini di livello superiore sul nostro pianeta è l'ordine del mondo umano, l'ordine foggiato dal. pensiero, dal sentimento e dall'intuizione ed espresso nelle società e culture da esseri umani sensibili e pensanti. Alfabetaperla campagnabbonamenutit~lizza indirizzaAriddressvit Servizi e fornituraindirizzi di tutti i settori merceologici • gestioneschedari e stampadi letterepersonalizzate e etichettatura,piegatura e imbustamentostampati e confezionamentoin termoretraibile via BartolomeoD'Alviano 51 20146Milano telefoni (02) 471227, 471232 Notasull'invarianza Il termine «invarianza» ha un significato preciso, in campo scientifico e matematico. Significa che la forma di un'equazione o di una formula si conserva malgrado alterazioni nei valori delle sue variabili. In una spiegazione più intuitiva possiamo pensare a un quadrato regolare. Possiamo ruotare tale figura di 900senza modificarla in alcun modo: il quadrato è invariante rispetto alla rotazione di 900.Possiamo anche pensare alla caduta di una mela da un albero o alla caduta di gravi di differenti dimensioni e materiali dalla torre pendente di Pisa. Come scoprirono Newton e Galileo, la caduta di tutti questi oggetti obbedisce alla stessa legge di gravità: la legge rimane invariante quando passiamo dalla mela di Newton alle sfere di legno e di ferro di Galileo. In effetti tutte le leggi e i principi della scienza descrivono invarianze. Tutte sono universali, in quanto tutti i fenomeni noti le mostrano (cioè «obbediscono» alle leggi), si suppone in tutti i luoghi e in tutti i tempi. Così tutti gli oggetti si attraggono reciprocamente in conformità alla legge di gravitazione universale (ora nella sua più comprensiva formulazione relativistica), tutta l'energia è uguale alla massa quando viene accelerata al quadrato della velocità della luce, e l'entropia cresce in proporzione al lavoro eseguito irreversibilmente in tutti i sistemi chiusi. L'invarianza dell'evoluzione nelle nuove teorie generali è ora rappresentata da leggi che rimangono invarianti quando descriviamo processi di cambiamento irreversibile in sistemi dinamici lontani dall'equilibrio, indipendentemente dal fatto che essi rientrino nel dominio delle scienze fisiche, di quelle biologiche o di quelle umane e sociali.

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