T utti sanno cosa significa «evoluzione». Per i bambini è la teoria secondo cui l'uomo discende dalla scimmia e non da Adamo ed Eva. Per gli adulti è la teoria di Darwin secondo cui tutte le specie viventi hanno un'origine comune. Per i biologi è la «sintesi moderna», l'integrazione neodarwiniana di teorie biologiche in cui la mutazione e la selezione naturale spiegano la variazione e l'emergere delle specie. Tutte queste concezioni sono vere, ma limitate. Nessuna arriva a intendere l'«evoluzione» come nuovo paradigma. In questo nuovo senso il concetto di evoluzione va molto al di là delle origini dell'umanità, al di là dell'origine e dello sviluppo di tutte le specie viventi. Abbraccia i modelli e le dinamiche di cambiamento sia nel cosmo che nel mondo vivente, nella storia della cultura e della società umana non meno che nella storia della vita sulla terra. Nel suo nuovo significato l'evoluzione non è solo evoluzione delle specie viventi, ma evoluzione di tutte le cose che emergono, permangono e cambiano o decadono nell'universo conosciuto. È «evoluzione generale», ovvero, più esattamente, teoria generale dell'evoluzione. Il termine «evoluzione» viene dal latino evolvere, cioè dispiegamente umana cosciente. Entrambi puntano alla ricerca del significato e, in ultima istanza, a un significato di un determinato tipo. Cercherò di mostrare che il paradigma evolutivo soddisfa questa ricerca in un modo particolare e particolarmente adatto. Vorrei partire, prima di tutto, dalle radici della ricerca intellettuale del significato e passare poi alle origini della ricerca sistematica del significato nella filosofia e nella scienza. 1. La ricerca del significato è forse l'attività fondamentale della mente umana. La nostra mente è immersa in un flusso continuo di informazioni, un caleidoscopio incessante di forme, colori, luci e ombre, memorie, suoni, odori, gusti, caratteri, sensazioni corporee che vanno dal dolore al piacere, concetti di maggiore o minor chiarezza e spinte di attrazione e re. Inizialmente venne applicato - erroneamente, come si sarebbe vi- JacquesCallot, La seconda tentazione di Sant'Antonio, particolare,Nancy 1634 sto in seguito - allo sviluppo (o «dispiegamento») dell'organismo pienamente cresciuto dal minusco- \ \ lo homunculus che si supponeva esistesse, perfettamente formato, nello sperma maschile e nell'ovulo femminile. Più tardi il concetto di evoluzione si identificò con la teoria di Darwin e con il campo della macrobiologia. Malgrado le teorie evoluzionistiche globali di Herbert Spencer e di Henri Bergson e i tentativi dei Darwinisti sociali di fare della lotta per la sopravvivenza una dottrina sociale, l'evoluzione rimase ristretta alla teoria biologica fino all'emergere di nuove discipline definite, collettivamente «scienze della complessità». Queste discipline, comprendenti teoria dei sistemi, cibernetica, teoria dell'informazione e della comunicazione, dinamica, teoria del sistema autopoietico, nonché teoria della catastrofe, del caos e del sistema dinamico e, soprattutto, termodinamica dello squilibrio, iniziarono a descrivere i processi irreversibili di cambiamento e trasformazione in modo rigoroso. Venne dimostrato che le loro risultanze si applicavano ad un'ampia gamma di fenomeni, dalla fisica alla chimica, dalla biologia all'ecologia e dalla storiografia alla psicologia, alla sociologia e alle scierize sociali collegate, come la teoria dell'organizzazione e del management e la teoria delle relazioni internazionali. [ ... ] Evoluzione intesa come nuovo paradigma significa evoluzione nel suo senso più vasto di grande sintesi, ovvero teoria generale dell'evoluzione. In questa veste è nuova nelle scienze, ma esiste da almeno duemila anni nella filosofia naturale ed è vecchia quanto la capacità di pensare sistematicamente nella storia della coscienza umana. Il paradigma evolutivo risponde a un ideale perenne di scienza; la scienza, a sua volta, risponde a un'antichissima aspirazione della repulsione che stanno alla base del nostro senso della bellezza e della bontà. Questa è la «ronzante confusione» dei filosofi greci, il dato primario dell'esperienza. È quasi un miracolo che da questa corrente caotica la mente riesca a ricavare forme che durano, una percezione degli oggetti che hanno tre dimensioni e della gente che vive e pensa. Soltanto adesso cominciamo veramente a capire la complessità dei meccanismi che elaborano le informazioni del nostro sistema nervoso, e ancora oggi non comprendiamo appieno come vediamo tavoli e sedie, elefanti e rododendri quando in realtà tutto ciò che percepiamo sono colori e forme, odori, gusti, suoni e caratteri mutevoli. [ ... ] La ricerca del significato assume molte forme; si possono trovare molti tipi di significati. Sta a noi decidere quale accettare. La nostra scelta è determinata dai criteri di significato che abbiamo scelto di adottare. La scienza non differisce dall'arte e dalla religione nell'intrinseca significatività, bensì nei criteri di accettabilità. Questi criteri sono dichiarati nel metodo della scienza: è aderendo al suo metodo che gli scienziati ammettono o rifiutano concetti ed ipotesi. Il metodo scientifico coinvolge ipotesi che vengono verificate rispetto all'esperiepza - con l'osservazione diretta o la lettura degli strumenti - purché la prova sia ripetibile in qualunque momento e da qualsiasi persona in circostanze identiche. E se un'ipotesi è conferFirenze-Physis e e cam1amento Ervin Laszlo mata dall'esperienza viene confrontata con ipotesi alternative e accolta solo se spiega di più con meno, cioè solo se si applica a una gamma di fenomeni più ampia con presupposti meno numerosi rispetto a qualsiasi altra. Einstein lo disse chiaramente: «Stiamo cercando il sistema di pensitU"opiù semplice possibile che leghi insieme i fatti osservati» (The World As I See lt, 1934). Arte, religione e sistemi di pensiero non scientifici in generale non devono rispondere a questi particolari criteri: hanno criteri propri, propri metodi di convalida. Non tutto ciò che si suona su uno strumento è grande musica; non tutti i dipinti schizzati su una tela sono grande arte; non tutte le intuizioni di una realtà superiore sono religione. Il modo in cui la scienza ricava significato dall'esperien_?:anon è necessariamente migliore di un altra; sotto certi ~spetti è più limitato e quindi meno soddisfacente. La scienza, però, eccelle almeno in un aspetto: è il sistema di pensiero più coerente, più accuratamente verificato e quindi affidabile. Se un'ipotesi non è pubblica e verificabile non è scienza; e se non è la più parsimoniosa, la più coerente e se non abbraccia tutte le ipotesi avanzate non è scienza valida. Date le restrizioni all'accettabilità imposte dal metodo scientifico, è davvero straordinario che si siano compiuti enormi progressi nel fare della corrente dell'esperienza immediata un mondo che, anche se spesso astratto, è nondimeno coerente, gravato minimamente da presupposti a priori e abbracciante una gamma crescente di fenomeni. 2. Possiamo collocare il paradigma evolutivo all'interno dello sforzo continuo della scienza di ricavare significato dall'esperienza attraverso specifici criteri di accettabilità. Per far questo e per vedere come questo paradigma si colleghi ad altri tentativi di cogliere la natura del reale, dobbiamo tornare alle origini della scienza moderna, all'epoca dei filosofi greci della natura. I Greci, come già ricordato, erano acutamente consapevoli del caos di fronte al quale si trovano i nostri sensi, della ronzante confusione del mondo immediatamente dato. Essi, però, intuivano che questa confusione non è la verità ultima sul mondo, che al di là di essa c'è una realtà superiore e che questa realtà superiore è semplice e unitaria. Parlavano dell' «Uno» che sottostà ai «molti» e ritenevano che il compito della ricerca sistematica fosse quello di scoprire l'unicità sostanziale di tutto ciò che sperimentiamo. I primi tentativi di trovare l'«Uno» furono del tipo che oggi chiameremmo riduzionista. I filosofi ionici della natura vedevano la grande diversità delle cose nel mondo, le piante, gli animali, la gente, le pietre, il mare e le nuvole e cercarono di spiegare questa diversità partendo da una sostanza fondamentale da cui tutto avrebbe avuto origine. Questa era una concezione evoluzionistica di tipo riduzionistico. Gli Ionici furono pionieri, in questo, con risultati straordinari. Talete, nel VI secolo a.C., cercò di ridurre la molteplicità dei fenomeni all'acqua. Anassimandro credeva che fI fuoco, la terra e l'aria avessero un ruolo altrettanto importante e disse che la sostanza originaria era indefinita, illimitata e onnicomprensiva. Anassimene proclamò che la sostanza primigenia era una mescolanza di acqua e terra, una mescolanza che, riscaldata dal sole, generava piante, animali ed esseri umani per creazione spontanea. Eraclito non 'cercava sostanze ultime (anche se considerava il fuoco come l'elemento più importante): era convinto della realtà del mutamento incessante. Eraclito, però, non arrivò a un «Uno» sottostante al cambiamento; tutto ciò che poté dire fu che panta rei (tutto scorre, tutto è cambiamento). La ragione o destino del mondo è in sé immutabile, ma può essere identificata solo come uno scorrere incessante. Un'istanza completamente opposta fu quella di Parmenide, che identificò l'Uno con l'Essere, che egli considerava eterno e immutabile. La scuola eleatica, da lui fondata, negava la realtà del cambiamento. Il ragionamento era strano ma logico: per pensare il tutto dobbiamo pensare qualcosa che è; ciò che non è non può essere pensato, e quindi non può essere; ciò che noi possiamo pensare è Essere, e l'Essere riempie tutto lo spazio, perché il vuoto è semplicemente non-essere. Il cambiamento, che richiede movimento nello spazio, non può quindi essere altro che illusione. Le menti indagatrici dei Greci non si fermarono alle conclusioni di Eraclito o di Parmenide, ma continuarono a cercare la permanenza nel cambiamento, l'Uno sotto i molti. Tornarono al riduzionismo originario di Talete, ma in forma più sofisticata, quella della teoria atomistica avanzata da Leucippo e sviluppata da Democrito. Gli atomi, diceva la nuova teoria, sono indivisibili e indistruttibili. Sono le uniche cose che esistono: tutto è composto da atomi. Gli atomi, e le cose composte da atomi, rappresentano l'Essere, ma l'Essere non è tutto quello che esiste nel mondo, c'è anche il non-essere ovvero il Vuoto. Il cambiamento può verificarsi proprio perché gli atomi sono in grado di seguire traiettorie nel vuoto, assumere posizioni diverse e formare cose diverse. La manifesta diversità dell'esperienza sembrava finalmente aver trovato una spiegazione soddisfacente. In seguito il pensiero greco fu dominato dalle scuole di Platone e Aristotele. Aristotele combinò il riduzionismo degli Ionici con il costruttivismo degli atomisti e aggiunse nuovi elementi propri. Nella sua visione il mondo è prodotto dall'interazione di quattro elementi base (acqua, aria, terra e fuoco), ciascuno dei quali cerca il suo luogo naturale: la terra il centro, l'acqua il livello successivo, il fuoco e l'aria le sfere. più alte. La miriade di osservazioni precise introdotte da Aristotele trovarono la loro unità ultima in questa costruzione logica e in apparenza perennemente valida. Anche se la filosofia naturale di Aristotele dominò il pensiero occjdentale per tutto il Medioevo, con la nascita della scienza sperimentale anche la teoria atomistica si dimostrò fallibile. Poiché gli atomisti ammettevano che gli atomi avessero estensione finita nello spazio, essi lasciavano aperta la possibilità che gli atomi stessi potessero essere ulteriormente divisi. In linea di principio, qualsiasi corpo esteso può essere suddiviso all'infinito; la sua indivisibilità non può essere assunta come principio fondamentale. Via via che la scienza acquisì strumenti sempre più potenti per sondare il regno del microscopico, si dimostrò che gli atomi avevano una struttura interna. Il nucleo atomico e i gusci degli elettroni che lo circondano appaiono composti da particelle ancora più piccole, originariamente - ed erroneamente - chiamate «elementari». Anch'esse hanno potuto essere ulteriormente frammentate in particelle ancora più piccole, alcune delle quali a vita brevissima. Agli inizi del XX secolo queste particelle non poterono più essere descritte come solidi tridimensionali: mostravano caratteristiche ondulatorie, oltre che corpuscolari. I filosofi che assistevano a questi ·sviluppi furono portati a concludere che la materia si era dematerializzata. Gli atomi non sono sostanza, sono una forma imposta a una regione spazio-temporale. Non potrebbe essere allora che l'«Uno», il principio unitario della realtà, non sia una sostanza, ma una forma assunta da una sostanza - e forse da tutte le sostanze? Tra i filosofi greci Platone l'aveva già detto: i suoi oggetti ultimi non erano solidi, ma for°'e geometriche. Il cubo era la particella più piccola della terra, il tetraedro del fuoco e l'icosaedro dell'acqua. Le proprie-
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