re Carissimo Zecchi, erano poi davvero ·rievocazioni reducistiche e futili lamenti sul caro-casa e sul ritardo dei treni i discorsi che abbiamo fatto al bar? Se hanno mosso il titolare della Cattedra d'Estetica dell'Università Statale di Milano a dire la sua quelli che abbiamo consumato dovevano essere «tagli-limone» piuttosto corrosivi. Interrogando Gilio Dorfles, il quale ha dedicato al design tanta parte della sua riflessione, gli amici Colonetti, Sassi ed io ti abbiamo dunque attirato nella conversazione, ed io penso di sapere come mai ci siamo riusciti. Credo che sia perché, come si dice, buon sangue non mente. Di maestri ne abbiamo seguiti tanti con esiti maggiori o minori, ma uno l'abbiamo avuto in comune io e te, e penso a Enzo Paci. E so che Paci insegnava di non accontentarsi a lasciare che gli altri si entusiasmino di ciò che gli pare, ma ad accettare, anzi ad avere il gusto di farsi tirare per i capelli. Ed è questo che lo ha fatto grande. Dunque, con la franchezza di un quasi-fratello, o, se preferisci, facendo impiego della «retorica della franchezza», mi permetterò di dirti un paio di cose che davvero non mi sono piaciute nella tua lettera, che tu stesso riconosci non essere riuscita, almeno come scherzo. Il tema che viene avanti intessuto, o meglio leggibile in filigrana, dentro al tuo scritto ha a che vedere con il principio di autorità e con la legittimità del suo impiego nella cultura. Io dico che non è lecito demonizzare, come fai tu, lo schiacciasassi marxista e l'impero semiotico, due auctoritates del tempo passato, e poi minacciare di bocciatura uno studente se non è d'accordo con te nel vedere una determinata differenza, quella fra un bel termosifone di un noto designer e un quadro di Van Gogh. Che cosa sia una differenza, la differenza fra due cose, non è comunque una cosa semplice. Penso si possa dire che una «differenza» dipende grosso modo da due ordini di fattori. Da un lato da quella che possiamo chiamare la supposta conformazione delle due cose, ed è su questa diversità cosiddetta «di fatto» che basi la tua bocciatura. Ma una differenza è soprattutto manifestazione di un vedere, di un punto di visione, di una prospettiva. Lo stesso «portacenere» visto dal di qua o dal di là di una cattedra manifesta differenze, coIl seguente pezzo di Francesco Leonetti è riferito a una lettera apparsa nel numero di novembre, e a cui rispondono, nelle lettere di questo numero, Gillo Dorfles e Giovanni Anceschi. L eggo con stupore la lettera dello Zecchi agli estetologi che amano pur l'arte. E perché? Perché io stesso pensavo di inviare una letterina a Dorfles. Infatti, nella nostra conversazione a tre-quattro nel numero estivo, che è fortunatamente fuori dai denti, egli dice che bisognerebbe insegnare in Estetica qualche altra cosa (oltre che la filosofia dell'arte). Mi pare che qui ci sia stata una strettoia di denti, che rende meno esplicita la cosa... me ben sapevano i cubisti. E lo stesso «portacenere» visto da un cristalliere, o da un oncologo sono due oggetti diversi. Un poeta può fare del suo brillio trasparente la metafora stessa della saisie esthétique. Ecc. ecc. E ancora, un pittore come Van Gogh può fare di due oggetti ben più «volgari» di un termosifone, cioè un paio di scarpacce da contadino, un abisso pittorico (Natura morta con un paio di scarpe, 1881). Un filosofo come Heidegger può guardare attraverso il quadro le scarpacce ed evocare la contadina che se le è tolte. E Meyer Shapiro può interessarsi del fatto che le scarpacce siano della contadina/madre/terra di Heidegger o siano parte di una sorta di autoritratto virtuale di Van Gogh («Macula», n. 3-4, 1978). Dunque in prima istanza va davvero consentito a ciascuno di «appassionarsi a ciò che gli pare», ed è un criterio scientifico che va ben al di là della cortesia. Un termosifone è assolutamente uguale e un Van Gogh dentro alcuni discorsi e secondo alcuni criteri tassonomici. Ad esempio il criterio che mi pare principale in questo senso, il luogo insomma dove apparecchio e dipinto sono uguali, è quello del loro comune carattere di artefatto. Di oggetto cioè prodotto, e non solo prodotto ma plasmato dalla sensibilità di un «autore». zione, caro Zecchi, io ci terrei ad infilare qualche domanda. Non consiste nell'ipostatizzare la nozione di arte questa tua mossa, che contrappone un termosifone a un quadro di Van Gogh? Peraltro ipostatizzare un concetto non è affatto delittuoso in sé, la cosa è un po' meno giustificata quando oggetto dell'ipostasi sia una nozione piuttosto precisata, storica e per nulla «originaria» dell'arte. E cioè l'idea venerabile dell'arte finesecolo, l'idea dell'arte come Émaux et Camées come la pensava Théophile Gautier, della poésie pure e dell'art pour l'art praticata dagli impressionisti e da tutta un'ala dell'avanguardia. Ad ogni modo io resto d'accordo con un altro mio maestro, senza auctoritas ma pieno di passione e di acutezza (che questa volta non ho l'onore di dividere con te), e cioè il Maldonado di Oggetti di disegno e oggetti d'arte apparso dell'arte nel design. E bada bene, nessun'arte che invada la vita come la vedeva il profeta fiet Mondrian, ma anche nessuna «assunzione» della vita dentro ali'arte come la. voleva il vate D'Annunzio. Guarda caso ancora due signori fin de siècle, e precisamente della scorsafine secolo. Credimi, penso con tutte le mie forze che il design sia distinto dal- /' arte, e non ho messo io la Olivetti lettera 22 di Nizzoli al Museum of Modem Art di New York. E se penso il meglio possibile di Nizzoli e della sua Olivetti lettera 22, penso il peggio possibile di chi dichiara che il design produce sculture utili ecc. Anzi, a chi pasticcia con termosifoni e Van Gogh io domando, non è che stai facendo confusione fra due sfere concettuali in qualche modo legate ma nettamente diverse, come l'Artistico e l'Estetico? La più grande scoperta archeologica di questo secolo Giovanni Pettinato EBLA Nuovi orizzonti della storia Dal ritrovamento dell'archivio di stato dell'antica città siriana, il .ritratto di un grande regno, di una grande civiltà. tempo dei greci che (perdonami il poncif) avevano una sola parola per tecnica e arte. E, visto che le; influenze che vanno dalla tecnica ali'arte ci sono e sono fortissime, noi, dicevo, teniamo particolarmente al flusso di pensieri e di energie che dall'arte, e dalla filosofia dell'arte, vanno verso il mondo della produzione e del progetto. Per cui ti invitiamo ulteriormente nella conversazione. Stiamo programmando il terzo inserto di «Alfabeta» che sarà dedicato ali'abitare nelle case, al vivere nelle città, al sopravvivere nel- ['ambiente. Nelle case in prima istanza, ma anche nella città e nel- ['ambiente sono molto importanti sia i termosifoni sia i dipinti, quindi ti preghiamo di scendere dal taxi e di inviarci un contributo che sappiamo prezioso. Ti saluto con amicizia. Giovanni Anceschi Caro Stefano, a quanto risulta dalla tua letterina a «Alfabeta», tu sei un po' invidioso del buon gelato che ho offerto l'estate scorsa agli amici Anceschi e Colonetti (senza per questo che il conto da pagare mi spaventasse, come tu insinui dall'alto del tuo censo che ti consente di scorazzare soltanto in taxi snobbando la metropolitana). E questa tua invidia spiega la tua suscettibilità e il tuo livore contro il design. Eppure, come tu stesso riconosci, i rudimenti dell'estetica li hai avuti proprio da me quando - indegnamente - coprivo quella cattedra sulla quale oggi tu siedi e che forse sta «condizionando» oltre ogni misura il tuo modo di pensare. Mi illudevo, invece, che tu avessi imparato a suo tempo a conferire una certa importanza anche a quei settori marginali del- ['arte che di solito i «filosofi» Ma mi pare che «differente», nel modo in cui tu usi la parola differenza in questo contesto, vada inteso nella pronunzia ammiccante di «ben diverso». E cioè implichi un giudizio valutativo a priori. Per principio tutti i termosifoni (anche se disegnati da un noto designer) sarebbero incomparabilmente «minori» di tutti i quadri di Van Gogh (anche di quelli mal riusciti, e ce ne sono). E qui, francamente, pur consentendoti di pensarla così ovviamente, non ti posso seguire. 1---------------..-----------------1 ignorano (Non tutti! non BerkeC'è del resto chi, per così dire, rovesciando con piglio scandalistico per i nostri occhi attuali la scala dei valori stabiliti afferma che i piaceri intellettuali primari provengono dalla natura, dal giardinaggio, dall'architettura, e che quelli secondari (di imitazione) vengono invece da pittura, scultura, poesia e anche musica. Si può non essere d'accordo con lui, ma vuoi bocciare Addison (1672-1719)? E a Burke (17291797), cosa metti sul libretto? La differenza che tu pretendi di far vedere fra termosifoni e Van Gogh è la mani/estazione di un punto di vista teorico (che sarà certamente quello giusto, perché è il tuo, ma che va sottoposto se non a improbabili verifiche almeno al- ['amichevole trattamento della conversazione. fj; nella conversasulla rivista «Ulm» (n. 7, gennaio 1963), organo di una istituzione della riflessione e della didattica del design come la Hochschule fur Gestaltung, e ripreso in Avanguardia e razionalità (Einaudi, Torino 1974). Già da quei tempi lontani dunque, io ho rinunciato a far confusione fra arte e design. Tanto che ho un rifiuto ormai idiosincratico per la contrapposizione che vede un'arte pura/grande arte da un lato e dall'altro l'accozzaglia delle arti applicate/arti minori. E questo proprio per l'impiego del termine arte in comune. O meglio, più prudentemente, la considero una terminologia antiquaria/e nel migliore dei casi, e nel peggiore antiquata cioè profondamente scomoda per descrivere quello che succede oggi. Nessuna confusione dunque, per quanto mi riguarda, né tantomeno alcuna idealista estinzione Stiamo tutti leggendo le vicende governative e ministeriali che propongono, fra l'altro, la cancellazione della storia antica dai programmi della scuola media. E, leggiamo, questo avviene in nome di una idea davvero brutale della «comunicazione». Ebbene non è difficile rendersi conto che il migliore alleato dell'accecamento avvenirista sia la miopia passatista. Chi sta e opera per la incomunicabilità fra intelligenza tecnica (la cultura dei termosifoni) e vita dell'arte (la cultura dei dipinti), mi dispiace caro Zecchi, fa male non solo ai termosifoni, che è già abbastanza grave, ma nuoce anche ali'arte. Noi, caro Zecchi (e dico noi perché qui intendo Colonetti e Sassi, oltre a me), pur senza fare confusione fra le due cose, siamo convinti che il nesso ci sia comunque, da sempre. Perlomeno dal • • Esteticeaarte Io per esempio insegno Estetica dal 1971 nell'Accademia d'arte di Brera (per merito di certi miei scritti sparsi). Ora, si sa che nei licei scientifici e classici si cominciano a masticare le ricerche sulle essenze (non però le estetiche, o artistiche più propriamente); ma nei licei artistici ci fu la vittoria famosa di Croce su Enriques, su Bordiga (il marxismo), ecc. ecc. Masticazione filosofica per gli artisti apprendisti, nulla. Io faccio perciò un corso primo «propedeutico», in senso didattico: paginette di Kant e Nietzsche, di Croce e Lukacs. Poi nel secondo anno del • «corso speciale», biennale, passo a ciò che emerge dai campi non filosofici ed è da vent'anni divenuto attuale: psicoanalisi, semioFrancesco Leonetti tica, epistemologia; leggendo pure il saggio L'origine dell'opera d'arte, di Heidegger del 1950 (troppi versi in quello del 1936... ) Lo studente deve capire un discorso di Menna, o di Barilli, uscendo. Ora, dunque, quando Dorfles cita l'Antropologia strutturale (che io non amo più) penso che voglia dire: le discipline varie che entrano nell'interesse letterario e artistico da un bel po'. Non giustamente egli maltratta, per così dire, la Filosofia dell'arte, o Teoria, che è la materia cattedratica fondamentale ... Ma vuole aggiunte, è giusto. E a me, insegnando, non capita frequentemente di riferirmi a Goya né a Rothko; se mai alle metodologie e alla critica d'arte e letteratura, ovviamente; per i testi c'è la storia de~'arte. A questo punto leggo lo Zecchi. Quale spregio per l'arte! Il design? orrore per lui; Argan non l'ha guardato... Forse si deve insegnare non l'Estetica ma solo la Fenomenologia? o settarie parti di essa? Zecchi mi ricorda inoltre Citati quando diceva che la rivoluzione «è uno schiacciasassi», definizione acuta e bella, la quale tuttavia confonde i moti dal basso, e le strade necessarie, con il buldozer che è invece la rivoluzione industriale. La quale pure ama la segnaleticadi Vignelli nel metrò di New York, e i grattacieli. Pensoso, rileggendo la letterina, la celia di tipo accademico, che mira pure ad «Alfabeta», mi accorgo che insiste su un quadro di ley, non Kant). Per quanto riguarda la tua presa di posizione contro la semiotica (da cui, già da tempo, ho preso le dovute distanze), non tanto di questa si trattava, quanto di discipline altrettanto fondamentali che non dovrebbero mancare in una facoltà dei nostri giorni, come la Storia de~'arte contemporanea, la Storia del teatro e del cinema, le comunicazioni di massa, l'antropologia culturale, ecc. Chepoi tu creda di «richiamarci ali'ordine» col raffronto tra un termosifone e un quadro di Van Gogh, non mi sembra davvero molto spiritoso: per lo meno il termosifone «tiene caldo» mentre il tuo humour tiene molto, ma molto freddo. Ma, nonostante il freddo, ungelato per te l'ho sempre pronto. Con affetto Gillo Dorfles Van Gogh. Gli piacerà, giustamente, preferisce i classici, si può dire... Ma che sia quello citato da Heidegger nell'Origine dell'opera d'arte? È quello,.._è quello, è un quadro, con scarpe da contadino... Tuttavia, Heidegger commenta il Van Gogh profondamente, in confronto alle scarpe dell'uso. Io ho il sospetto che lo Zecchi non l'abbia visto; e anzi ho il sospetto che neppure alla riproduzione tecnica di tale quadro si riferisca, ma solo alla carta scritta di Heidegger. Nessun dubbio che Heidegger sia un maestro nell'Estetica o Filosofia de~'arte. E però la filosofia non è per definizione la carta scritta.
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