l a musica sembra essere una qualità specifica degli umani. Raramente si è trovata, nelle saghe spaziali, nell'antropologia omerica riportata dalle esplorazioni immaginarie del cosmo, una cultura musicale aliena. Anzi, uno dei tentativi più seri di esportare la musica terrestre nello spazio, si è tradotto in un divertente quanto clamoroso fiasco, come si può leggere in L'Opera dello spazio di J. Vance. L'autoctonia della forma musicale non deve meravigliare, poiché sulla Terra «tutte le arti aspirano costantemente alla condizione di musica» (Pater), ovvero le qualità migliori del nostro spirito sono destinate ad essere suono. Resta da chiedersi a cosa aspiri la musica oggi, in quella che (talvolta con abuso) si chiama civiltà dell'immagine. Due sono le grandi immagini che questa civiltà predilige: i giovani (Eros) e i sofferenti (Thana- •tos), spesso coniugati in una sorta di riedizione di sacro e profano. Ora, se la colonna sonora che sottolinea le disavventure dell'umanità è un collage cacofonico composto dal rumore delle armi, dai suoni cupi di una natura catastrofica e catastrofante, dal canto meccanico delle macchine (specie se disubbidienti), oltre che dalle grida strozzate che ne conseguono, la musica, quella rock, è il luogo deputato dell'immaginario giovanile. Questo è noto ed era vero. Lo è stato fino a quando sono esistiti i giovani, ragazzi forniti (in parte) di una propria cultura e di una specifica visione del mondo; un rapporto con l'esistente inscindibile da uno sguardo perenne al futuro (che appariva tutto per loro), e senza passato (perché erano uno status inedito sulla scena della storia). Fuori da questa polarità non ci sono giovani, resta solo un dato anagrafico. Ma proprio questa dialettica si è andata via via sfaldando, al punto che oggi nessun ragazzo (ma non solo loro) darebbe più credito ad una rosea previsione del domani piuttosto che ad una predizione astrologica. E il passato, pieno di errori com'è, «è un esempio per tutti e un modello per nessuno» (Swift). L'unico tempo declinabile è il presente, ma questo non esiste per più di un attimo, a meno di simularlo, dilatandolo a dismisura. Come è già avvenuto altrove, perché questa è la logica stessa dell'informatica: eterno presente, banca dati sempre disponibile. Il modello è universale, congelato il tempo siamo tutti giovani, chi lo era, chi lo è, chi lo sarà. Lo scorrimento senza traumi. delle generazioni della gioventù è affidato così ad una pratica della memoria. Questa è la dimensione odierna. La rocambolesca rotazione delle merci e l'immobilità del consumatore. Tutta una cultura (quella rock) riprodotta in vitro, più vera da morta che da viva. L'età del- ~ l'informatica è il tempo dell'imma- ~ ginazione (dei) media al potere -~ che simulano (e quindi rifondano) ~ la memoria spacciandola per im- ~ maginazione, «alla quale si ricono- ......,sce di essere il grembo delle cose, .9 ~ mentre alla memoria si concede ;:: ;:: appena di esserne la tomba» ~ (Swift). Il sistema della musica è & energia vitale per questa industria i:: della memoria, e la tomba della ~ musica, la forma musicale oggi do- ;g_ minante, si chiama videoclip. ~ Sembra un oggetto alieno rispetto alle adunate contro i Masters of the war, agli hippies, gli hell's angels e le teen-agers in fregola e in lacrime per i quattro di LiverpooL Ma il videoclip piace perché è solo rock &spot ed eleva a potenza (televisiva) il binomio che ha fondato il rock: sound e look. Il rock è un universo manicheo. Ha sempre vissuto su opposizioni semplici ma di grande forza: soft/hard, commerciale/non, heavy/easy, Beatles/Rolling Stones, West Coast/East Coast, USNGB, acustico/elettrico e così via. Sotto questi duelli è radicato un altro conflitto, quello tra un prodotto musicale che incorpora il meccanismo più tipico delle arti di massa, il vampirismo culturale, e i suoi consumatori, i giovani, che rivendicano un'opposizione al sistema, alle sue logiche di funzionamento. Tutto questo non è solo _falsa coscienza, ma è altrettanto vero che l'intera vicenda prende corpo per bisogno d'adattamento, e, in seguito, per la necessità di creare un mercato proprio (questo lo capì in anticipo F. Zappa). Le richieste dei giovani erano solo pace (per poter consumare) sesso e droga. Un modo, comunque, di appropriarsi del mondo, capendo anzitempo che non si tratta più né di capirlo, né di trasformarlo ma di sedurlo. La società estetica di oggi nasce allora, l'unico guaio è che alla cosa fossero interessati non solo i giovani. La moda rivendica un diritto di anzianità in materia, liberando tutte le sue forze. Il casual, codice puro della moda, si sposa con una naturale predisposizione del rock: un suono diverso (il migliore, perché permette il consumo di tutta la musica in poco tempo) fa da pendant ad un'immagine diversa (la migliore, perché permette il consumo della storia dell'abbigliamento in un attimo). Per consumare oggetti «diversi», sesso e droga, occorre essere diversi. E così si procede di pari passo sui due fronti. L'accumulazione primitiva del beat pesca a man bassa tra black music e tradizione bianca, mentre le frontiere della moda giovanile si spostano nello spazio e nel tempo, dall'India all'Africa, dalle divise di oggi a quelle di ieri. Look e sound, concavo e convesso. Dove le scollature erano maggiori, come in Italia, si è preferito, non a caso, l'uso della canzone politica, che di rock non aveva niente, e della divisa unica (l'eskimo). Il rock era ancora dell'ordine del privato, poi, è storia recente, anche da noi la distinzione è caduta. Certo le cose non sono state così lineari; tra contraddizioni, curvature, spinte in avanti e spinte indietro, percorsi solitari, alla fine il processo complessivamente ha assunto questa forma. Bastano pochi anni per passare dalla manifattura beat all'industria pop. Le scritture mitiche e agiografiche dei «critici rock» raccontano che a Woodstock il rock perse l'innocenza delle origini, in realtà si trattò di celebrazione di giochi già fatti. Questo deve essere chiaro: è la stessa logica (antropofaga) del beat che fonda questa sezione dell'industria dello spettacolo. Non corruzione, sbandamento e plagio, una semplice mutazione dell'organismo in crescita. Anormale, certo, ma cosa si pretende doGennaroFucile po una simile dieta? ' E qualche anno prima di Woodstock, tra gli esordi dei Pink Floyd e l'uscita del Sergeant Pepper, che germina il mutamento. Nel sound si registrano sostanzialmente tre fenomeni: a~ l'uso del sintetizzatore che, oltre a consentire tecnicamente la riproduzione di qualsiasi suono, sblocca l'inibizione verso i generi «colti» e consente l'espropriazione di tutta la musica; b) la ristrutturazione complessiva dello studio di registrazione che a lungo andare sarà destinato ad essere l'unico strumento solista e d'accompagnamento; c) la dilatazione dei brani, la cui durata oltrepassa i 3-4minuletterario, dall'altro il pop, cioè una maniera di suonare musica non propria (ma che diventa tale), ovvero un metagenere musicale che funziona nello stesso modo. Così irrobustito, il meccanismo esaurisce rapidamente lo spazio e il tempo disponibili. Ma le nuove forze acquisite non servono solo a chiudere il ciclo evolutivo: il loro compito è anche e principalmente quello di condurre la gestione di lunga durata della stasi. Inizia qui la produzione della memoria. Remake, supergruppi, sono le operazioni musicali in senso stretto che danno inizio al processo. Un tasso di tecnologia (reale e tematica) sempre maggiore consentirà l'ibernazione del FrançoisQuéverdo, Verso il sabba, Bibliotecanazionale, Parigi ti, rendendo necessario adottare il LP in luogo del 45 giri. È da sottolineare a questo proposito la proporzionalità diretta tra l'aumento dei generi musicali a disposizione e l'incremento dei brani. II look a sua volta si adegua e sollecita la mutazione. Sempre più prende piede il travestitismo (Gabriel), il sesso diventa androgino (Bowie esordisce come alieno), i trip psichedelici vanno sempre più fuori metafora e si trasformano in viaggi spaziali (esempio: Pink Floyd, Gong, Jefferson Airplane, Van der Graaf Generator, Magma, Hawkwind, Schulze, Tangerine Dream e gli altri corrieri cosmici, ecc.), l'arte della cover si conquista un posto ragguardevole nella storia dell'illustrazione fantascientifica (Roger Dean, P. Whitehead, ecc.), i concerti allestiscono scenari del futuro (Bowie e Genesis su tutti). L'elenco di nomi e situazioni sarebbe troppo lungo da riportare per intero, fatto sta che sono le migliori menti del pop a condurre il gioco. Sotto il segno dell'elettronica si realizza un sodalizio di piraterie; da un lato la science-fiction, metagenere passato e la sua (sempre) possibile riattualizzazione. Tutte le merci pop sono incrementate per quantità e qualità (sex, drugsand rock & roll) ma per accedervi bisognerà trapassare alla condizione di mutanti. Questo è il grande strappo del rock dal suo pubblico. È al suo apogeo che marca la sua crisi di funzione. Per riabilitarla bisognerà, paradossalmente, incrementare la distanza. Così negli anni settanta da un lato l'attenzione musicale sarà rivolta verso fenomeni d'espressione «radicale», la musica improvvisata e il punk, dall'altro il tecnopop troverà naturale approdare in discoteca. Un mondo sparisce. Il concerto, dimensione sovrana della scena musicale, si ridimensiona. Un passaggio traumatico, con le sue vittime anche illustri. Hendrix è la figura chiave di questa parabola. Solista, virtuoso, sperimentatore, uomo di colore, dedito alla droga e alla performance strumentale e di scena, manipolatore di rock e blues, uomo/chitarra simbolo del rock e del sesso, insomma tutto quello che di lì a poco si dissolverà nel nulla. M. Moorcook (membro degli Hawkwind ma anche direttore della rivista di S/f «New Worlds», sulla quale, insieme a J. Ballard, tenne a battesimo la new wave che mise a morte il «genere»), ha tra le sue cose minori una storia di esemplare chiarezza su queste vicende. Moorcook racconta la vicenda di un roadie ( un accompagnatore di gruppi musicali) che vaga per l'Inghilterra con il suo camion, portandosi a spasso un misterioso personaggio/sosia di Hendrix. L'uomo sa che gli altri credono che Hendrix sia morto e, obbedendo alla volontà del suo passeggero, non confida a nessuno la verità: Hendrix è vivo e presto tornerà sulle scene. Sul filo dell'allucinazione l'uomo tira avanti tra i resti della civiltà pop serbando il suo segreto. Dopo una rissa morirà di overdose tra l'indifferenza di tutti. L'altro (Hendrix? Non importa) si allontana alla guida del camion senza lasciare tracce; vero o falso, cessa d'esistere con la morte di un ex giovane. L'altra metà dello strappo, quella del pubblico dal suo rock. Non si può e non si vuole più essere giovani, a meno di non sparire nella simulazionedella loro cultura che i media iniziano a comporre. Hendrix ora è veramente morto. A llontanamento dunque. Nasce l'interesse per forme musicali più terrene, artigianali, ma l'industria della memoria procede sicura. Sa che «a ogni incremento verso l'high technology fa da contrappunto una parallela tendenza verso I'high sensivity (Naisbitt). Lascia che autocompiacimento e frigidità rendand sterile l'improvvisazione musicale e concede al punk giusto il tempo di comprendere la grande truffa del rock & roll. Dal canto suo sfodera la logica conseguenza (anche musicale) del tecnopop: la discomusic. Un po' alla volta vi arriveranno i superstiti del punk, la newwave, anche se sarebbe più giusto dire la new race, visto che razza di mutanti ne viene fuori (esempio i Devo). E nella discoteca, unità di spazio, colore, suono, la tecnologia del tempo libero si dispiega senza limiti in scenari apocalittici, annullando perentoriamente ogni dualismo pubblico/privato. Le possibilità della discoteca di essere fatto musicale, rito, incontro collettivo, fruizione privata, rendono concreta l'utopia tecnologica e, le sue meraviglie, possibili. Per difetto e per eccesso queste dinamiche lasciano cadere la distinzione tra reale (i giovani) e immaginario (il rock). Ora l'omogeneità è totale, l'immaginazione media è al potere e i tempi sono maturi per fabbricare modelli di simulazione di questa storia: nasce il videoclip. Rock e science-fiction, moda e elettronica, per capire il videoclip bisogna attraversare teoricamente la sostanza della tecnologia. «L'essenza della tecnica non è tecnica», scriveva parecchio tempo fa Heidegger e, in pieno 1968, Baudrillard così precisava il movimento che vi è sotteso: «la penetrazione di una finalità tecnica nel mondo umano, -è sempre allo stesso tempo, nel bene e nel male, una penetrazione di finalità umane nella tecnica». Prelevando una quota di sapere minimo (socialmente) l'oggetto tecnologico si completa con
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