Alfabeta - anno IX - n. 92 - gennaio 1987

Léon Walras Introduzionealla questionesociale con un saggio introduttivo di Gaspare De Caro Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1980 pp. 355, lire 10.000 Léon Walras L'economiamonetaria Introduzione e cura di Gaspare De Caro Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1985, 2 voll. pp. 949, lire 40.000 N ella letteratura economica, l'opera di Léon Walras (1834-1910)- «massimo tra tutti i teorici», dirà Schumpeter - è universalmente considerata quale summa indiscutibile della orto- • dossia neoclassica. Presunto padre della cosiddetta rivoluzione marginalistica del 1870, «compagno di strada» di Jevons e Menger, Léon Walras, professore di economia a Losanna tra il 1870e il 1892, è noto al mondo accademico, e non solo ai «profani», invero, quasi esclusivamente per la sua opera maggiore: Éléments d'économie politique pure, ou théorie de la richesse sociale. Le ragionidella critica In essa, durante il secolo circa trascorso dalla pubblicazione dell'ultima edizione, la critica ha visto, esplicitato, il credo dell'economia liberale nella sua forma «pura», definitiva; ha visto sia la confutazione della concezione conflittuale classica del rapporto inverso tra salario e profitto; sia l'antitesi vera ad ogni ipotesi di teoria monetaria della produzione: fosse essa il «danaro come capitale» di Marx o, ex post, il credito schumpeteriano e keynesiano. Insomma, la critica ha colto negli Éléments - indipendentemente dalle loro diverse edizioni - il manifesto formale ultimo, «matematico», del credo liberale e liberistico - a prescindere, spesso, dalle nodali differenze terminologiche - sapientemente desensibilizzato dalle mille connotazioni conflittuali proprie ad ogni teoria economica che si voglia «realmente» rappresentativa. Modi, tempi e ragioni di tali letture critiche, non è certo possibile richiamarli qui per esteso. Basti considerare, comunque, che rispetto ad un'indubbia collocazione storico-dottrinale del modello walrasiano, la critica - nonostante alcune anomalie - si è soprattutto soffermata su due aspetti considerati deboli: sull'inutile finzione esercitata nel modello walrasiano dalla concezione economica statica, che non contempla il rapporto tra grandezze economiche reali ed evoluzione temporale; quindi, sull'assenza, conseguente, di una teoria monetaria della produzione. Ovvero, poiché in un modello statico la moneta non può essere al- ~ tro che semplice mezzo di scam- -~ bio, di «baratto», la teorica walra- ~ siana, in quanto aliena al tempo 1:1.. storico, sarebbe perciò, d'un col- ~ po, logicamente finzionale («pu- -. ra», appunto) e realmente inutile: .si c::s mera architettonica matematica, ~ ~ impolitica, arroccata allo sterile ~A -.. tentativo di stabilire un modello ~ economico di equilibrio generale, s::i di per sé incapace di rendere ra- ~ gione dell'economia reale e delle Ì sue espressioni monetarie. ~ Fu questo l'esito severo a cui ' - monetae storia giunsero un insieme di critiche che vorremmo definire «strutturali», attente alle implicazioni concrete della dinamica economica capitalistica. Non più «morbido», tuttavia, risultò essere il recupero offerto dalla cosiddetta «sintesi neoclassica». In effetti, il tentativo, in essa perseguito, di assorbire nel modello walrasiano di equilibrio economico generale i contenuti della rivoluzione keynesiana, ebbe l'effetto di schiacciare, semplicemente, Walras su Keynes (e viceversa), di leggerne l'opera con gli «occhiali» di Keynes - meglio: di J. Hicks. Nel primo caso, cioè, un approccio critico «strutturale» ripudiò la «purezza» walrasiana e, con essa, la finzione del modello ecoAdelino Zanini sieme di riflessioni diverse e logicamente databili, che consente di indicare molte delle indebite attribuzioni dalla critica operate nel presunto rispetto degli Éléments. L'indicazione che emerge è radicale, la prospettiva della storiografia walrasiana ne risulta davvero incrinata. Rovesciato risulta essere il senso della riflessione walrasiana, sottratto, in primo luogo, all'alternativa, giudicata fallace, tra «un'esigenza meramente metodologica di rinnovamento delle tecniche e degli strumenti dell'indagine economica» (il «puro» epistemologico) e il presunto «suo fondamentale significato ideologico di conservazione dei rapporti sociali» esistenti (l'insistenza sulla statica e l'estromissione della mostente ed ipotizzabile. Perciò, l'astrazione formale, matematica, la finzione statica, sono veicoli di un progetto teorico pensato politicamente non neutro: non celebrano l'esistente, ma individuano, nello scarto detto, l'inefficacia di un socialismo «empirico», alla Proudhon, rispetto ad un socialismo «scientifico» sorretto da un progetto teorico. Non è certo un caso - insiste De Caro - che la tenuta omogenea delle diverse sezioni della ricerca walrasiana - pura, applicata, sociale - sia rinvenibile proprio nei testi - alcuni inspiegabilmente inediti, ma ora disponibili in edizione italiana - della riflessione walrasiana sulla moneta, la cui portata la critica ha sistematicamente ignorato. Deschamps, Gilles de Lavai barone di Retz (Sic.) (Gilles de Rais e il diavolo) nomico di equilibrio generale; nel secondo caso, la «sintesi» fu, in verità, operazione che disperse, tra le ragioni di un'ortodossia ferita proprio dalla rivoluzione keynesiana, le peculiarità di irriducibili modelli teorici. Ma a prescindere, sia pure, dalle diverse ragioni delle differenti critiche - della cui legittimità, molto diversa, non è possibile discutere in uno spazio ristretto-, ci preme porre un più elementare, seppur radicale, quesito. Insomma, la teorica walrasiana è davvero quell'espressione esaustiva del feticcio epistemologico neoclassico; ovvero, la schematizzazione offerta dalla letteratura economica è ormai una sintesi inestricabile di «attribuzioni», non sempre filologicamente riscontrabili? Una prospettivarovesciata Il quesito è suggerito in modo chiaro e perentorio negli studi che Gaspare De Caro ha condotto e premesso alla traduzione italiana degli scritti monetari di Léon Walras; e vale la pena notare subito che non si tratta di un corpus di scritti premesso o aggiunto all'opera principale, quanto di un inneta). Alla tradizione che vorrebbe Walras un mediocre socialista utopistico, i cui giovanili ardori sarebbero poi spenti dal «calcolo capitalistico» che sorregge la logica degli Éléments, la lettura di De Caro contrappone un Walras latore di uPa p?rticolare forma di «socialismo scientifico», ove economia pura, astrazione scientifica ed esigenze sociali non sono elementi alternativi - secondo tradizione - ma complementari: parti di un unico progetto scientifico. Ed è proprio la riflessione sulla moneta - al di là di ogni paradosso - che consente di cogliere tale unitarietà di intenti scientifici. Insomma, la critica avrebbe - oltre che «attribuito» - sottratto intere parti di riflessione alla prospettiva walrasiana - esplicita De Caro. In essa, l'affinarsi costante di metodi e linguaggi, la formalizzazione progressiva del «discorso» riscontrabile nel maturarsi della riflessione, anziché essere sintomi di un'irreversibile estraneazione del «puro» dal «concreto», della statica dalla dinamica, sono indici di una raggiunta consapevolezza ermeneutica dello scarto tra esiMonetae storia Le coordinate di questa rilettura di Walras non possono certo dirsi. scontate: se assunte, infatti, non conducono davvero alla definizione di un Walras capostipite della modellistica neoclassica. Discutere della loro pertinenza in dettaglio sarebbe perciò auspicabile, anche se richiederebbe uno spazio 'diverso. Si noti, comunque, che al di là di ogni possibile giudizio, ciò che non si può negare è la fondatezza storico-filologica dell'intera operazione critica, condotta su testi finalmente «riscoperti». La curiosità, se si vuole, consiste nel fatto che una rilettura attenta di quegli scritti monetari - spesso giudicati contingenti - ha condotto ad una revisione globale dell'intera opera walrasiana. Senonché, più che di curiosità si dovrebbe parlare di un diverso rigore storiografico. Grazie ad esso diventa possibile individuare «altre» risposte ai quesiti tradizionali ed altri quesiti, estensibili a tutto l'opus walrasiano. Ad esempio: che senso ha, ora, attribuire a Walras una concezione neutrale della moneta, se proprio gli scritti monetari indicano a più riprese il rapporto critico insopprimibile tra moneta ed economia reale? E ancora: l'abbandono di un modello dinamico «reale» a vantaggio di uno statico «puro» può essere attribuito ad una vocazione puramente assiomatica, dopo che si sia individuato nello scarto tra esistente e pianificabile lo spazio per l'ipotizzabile scientifico politicamente non neutro? A queste domande lo studio di De Caro fornisce precise risposte. Nel quarantennio della ricerca walrasiana egli individua tre scansioni logiche e temporali, che rendono ragione del rapporto tra i primi scritti critici sulla moneta e la quarta edizione degli Éléments. Nel dettaglio - se pur in sintesi-, dopo un esordio in cui la tematica del rapporto critico tra moneta e realtà è, ortodossamente, ricondotta alla insufficiente attuazione istituzionale delle irrinunciabili leggi della libera concorrenza, Walras,, già nella prima edizione degli Eléments, raggiunge la consapevolezza che la moneta, per sua natura, non può essere ricondotta in uno schema armonico: consapevolezza poi accentuata nella seconda edizione della stessa opera, ove i meccanismi del politico statuale sono invocati non più per armonizzare il ruolo della moneta, quanto per razionalizzare il rapporto irresolubile tra moneta ed economia reale. Come dire, in sostanza, che nessuna legge di mercato può garantire risolta tale difformità. Spetta perciò allo Stato - come è reso esplicito nella quarta edizione degli Éléments - operare come «garante dell'equilibrio dell'intero sistema». Naturalmente, la «credibilità» di questa ricostruzione analitica deve per forza esporsi al perentorio quesito della critica. In sostanza, come è possibile rapportare questa consapevolezza del rapporto tra economia e storia con l'esplicita rimozione della dinamica? La risposta è però quasi implicita. La rimozione - argomenta De Caro - avviene, consapevolmente, non come mero processo di assiomatizzazione, bensì all'interno di un progetto scientifico, politicamente non neutro, di pianificazione sociale. Assunto che il ciclo dinamico capitalistico risulta a Walras scientificamente irrapresentabile, solo un mercato periodico gli appare, viceversa, scientificamente pensabile in positivo. Ciò che può avvenire, non c'è scampo, solo in termini statici. I mutamenti concreti del mercato tra i diversi momenti debbono cioè essere,immaginati come se tra un periodo e l'altro nulla «di continuo» accadesse, e come se quanto accade fosse scientificamente prevedibile, socialmente pia_nificabilep, oliticamente governabile. L'imprenditore walrasiano diventa così, alla faccia dell'apologia liberistica, vero e proprio imprenditore collettivo, statuale, che pianifica, attraverso strumenti statici, l'intera economia: moneta inclusa. Certamente, una tale rilettura complessiva della prospettiva walrasiana, per quanto radicale, non implica alcuna possibile riattualizzazione: si tratta «solo» di una adeguata ricostruzione storiografica. Era però dovuta, e la sua «provocatorietà» è pari alla sua intelligenza.

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