Alfabeta - anno IX - n. 92 - gennaio 1987

Mensile di informazione culturale Gennaio 1987 Numero 92 / Anno 9 Lire 5.000 . Edizioni Cooperativa Intrapresa Via Caposile, 2 • 20137 Milano Spedizione in abbonamento postale gruppo III/70 • Printed in Italy Conversazioni (HandkRe,icoeuGr reimas) Tradizionde nuovo (BoattoV, ergine) Sommari 1986 Comol/liLorenzi/nSipinella • Zanin/iGiolJ/iReggian.i. GlsitudentiinFrancia (lndex) Supplemento: Centri deldibanilo-3 , ··•. (Firenze-Phy/sPisarigi-Complessilfll. ,·'·,..·.•. BermanC,asonatFo,orme~G, argahi, .::',·.~ aszloLovelocMlc,ecaffMi, oses • Prigoine,ScaliaV, eca

Einaudi Nella nuova «Biblioteca dell'Orsa» le opere dei grandi autori della modernità: PiePr aolPoisolini Letter1e940-1954 La scoperta della poesia, gli incantesimi del mondo contadino, la guerra, la militanza 'politica, 1~ « meglio gioventu », lo scandalo di Casarsa, la fuga a Roma. Una autobiografia attraverso le lettere, che arricchisce in modo decisivo il ritratto dell'uomo e dello scrittore. A cura di Nico Naldini. pp. CXXXII-740, L. 42 000 RobeMrtusil Romanbzrievni,ovelle eaforismi Il Tor/ess,Tredonne, Pagine postume pubblicate in vita, e 250 pagine di testi inediti: racconti, aforismi e «glosse» sui fenomeni dell'attualità e del costume, multiforme laboratorio narrativo, filosofico e poetico. Introduzione di Cesare Cases. pp. XLIII-768, L. 42 000 MariRoigonSitern Amordeiconfine La guerra e la pace, gli uomini e gli animali, i boschi e le piante: la favola vera dell'Altipiano. «Supercoralli», pp. 212, L. 18 000 Il raccondtoiPeuw bambincambogiana tradotetopresentadtaoNatalia Ginzburg La tragedia della Cambogia sotto Pol Pot nella testimonianza di una bambina scampata ai massacri. Una Anna Frank dei nostri anni racconta una storia di'incubo e di speranza. «Gli struzzi», pp. xv-355, L. 14000 MeyeSrchapiro L'artme oderna Cézanne, Courbet, Van Gogh, Seurat, Picasso, Chagall, Moqdrian ... Gli scritti del maestro americano tracciano un profilo compiuto dell'arte moderna dal realismo all'astrattismo. Introduzione di Cesare Segre. «Biblioteca di storia dcli' arte», pp. xxrx-300, L. 50000 AntonBlok Lamafidai un villaggio sicilian1o8,60-1960 Il primo tentativo di analizzare il fenomeno mafioso dall'interno, attraverso l'osservazione quotidiana dei comportamenti e della vita di una comunità della Sicilia occidentale. «Microstorie», pp. xrx-280, L. 24000 le immagindiiquestonumero E era veramente indispensabile appostare un diavolo qua e un diavolo là, fra le pagine di Alfabeta? Non se ne trovano già abbastanza, a guidar, di nascosto, la penna a giornalisti e poeti? Forse una buona ragione esiste e la risposta va cercata nella fonte delle immagini di questo numero, in un album di Roland Villeneuve, edito nel 1963 a Parigi da J.J. Pauvert, e intitolato Le Diable, érotologie de Satan. All'inizio degli anni sessanta, un repertorio iconografico che dimostrasse come bocca, ano e meato, fossero stati, per- ianta parte della cultura occidentale, gli opercoli da cui spiare l'uomo senza Dio, rappresentava ancora una valida argoSommario RobinaGiorgi Modernità, America (La democrazia in America, di A. de Tocqueville; L'esperienza della modernità, di M. Berman; Agone, La Kabbalà e la tradizione critica, L' angoscia dell'influenza, di H. Bloom) pagine 3-4 GiampieroComolli La festa del cavallo (La festa del cavallo, di A. Porta) pagine 4-5 NivaLorenzini Tempi dell'avanguardia (La nascitu dell'avanguardia, di L. De Maria; Storia e critica del futurismo, di E. Crispolti; Storia del futurismo, di C. Salaris) pagine 5-6 Conversazionecon Ricoeur A cura di Maurizio Ferraris pagine 7-8 Quando il diavoloera arrapato mentazione contro una censura sclerotica, tormentata dal sesso come da un mal di emorroidi, tollerabile al limite ma, in prospettiva, da operare. Erano i tempi del Bafometto di Pierr,eKlossowski e ,. I bisognava credere ali'Inferno per poter esserepiù liberi in terra. Ma il diavolo oggi è assatanato, arrapato come vent'anni fà? Non scherziamo, code e fruste sono vendute nei sex-shops. E poi il bello di Satana è la falsità, il suo incorreggibile cattivo gusto, e quell'opportunismo da strategia, plasmato sui caratteri e sulle circostanze. Satana ha sempre denunciato con precisione le minime debolezze, acuendo la mostruosità dei desideri, ha insegnato agli uomini tormenti inediti e vergogne schifose. In questa posizione oscillante fra la diffida e l'adescamento, fonda ancora le sue fortune, travestendosi, truccandosi e recitando. Preferisce tenere costantemente aggiornato il proprio look. L'instabilità dell'iconografia infernale, tesa ad esprimere stili pulsionali polimorfi, ne è la conferma. Il diavolone babbeo, con il sesso eretto e tanto pelo caprigno sulle cosce, procede, mano nella mano, con il tecnico dell'alcova, sterile, profumato, esperto. Va aggiunto però che, babbeo o glamorous, siffatto animale è sempre stato ideato da un chierico, da un prete o da un artista. Gli assegneremo volentieri pure noi quePeter Brueghel, La lussuria, stampa, 1558 MarioSpinella Tra segno e sogno (Retorica e immaginario, di A. Serpieri) pagina 11 Cfr. pagine 12-14 Sommari1986 pagine 15-17 Hand.ke:certimiei libri Intervista di Giovanna Gallio a Peter Handke pagine 19-20 Conversazionecon Greimas A cura di Alessandro Zinna pagine 20-21 AdelinoZanini Walras: moneta e storia (Introduzione alla questione sociale e L'economia monetaria, di L. Walras) pagina 23 FedericoVercellone Il cristocentrismo (Joseph de Maistre, di M. Ravera)' pagina 24 MauroLa Forgia Mito e simbolo . Lettere Gillo Dorfles Giovanni Anceschi pagina 29 FrancescoLeonetti Estetica e arte pagina 29 Giornaledei giornali Movimento studentesco in Francia pagine 30-31 Indicedella comunicazione Pesi e misure TV pagina 31 Supplemento Centri del dibattito 3 (C. Formenti, S. Mecatti, E. Laszlo, M. Berman, J. Lovelock, S. Veca, G. Scalia, S. Moses, I. Prigogine, M. Casonato, A. Gargani) Le immaginidi questonumero Quando il diavolo era arrapato di Alberto Capatti In copertina Tatuaggio di marinaio (Mito e simbolo: gli strumenti della Erratacorrige psicologia analitica, di P. Berto/etti) Pubblichiamo una richiesta di precisapa~na 25 zione pervenutaci dalla Clup-Clued di Milano: nell'articolo di Daniele Barsta origine ragionevole e creativa, con il vantaggio di recuperarlo alla nostra modernità. Pianti poi, quando gli aggrada, la sua' forca fra le chiappe di un ministro (come amava la raffigurazione medioevale) o in mezzo all'occhio quadrato di un televisore (ma allora vinceranno le trombe e i canti del paradiso). Questo intellettuale, di cui comincia a dubitare e a vergognarsi la Chiesa, da cui si tiene a equa distanza la Storia, può tornar utile per ripensare il mondo in termini di metafisico dileggio. Almeno una dote, tutti la riconoscono ancora al diavolo: non è troppo noioso. Alberto Capatti alfabeta mensile di informazione culturale della cooperativa A/fabeta Direzione e redazione: Nanni Balestrini, Omar Calabrese Maria Corti, Gino Di Maggio Umberto Eco, Maurizio Ferraris Carlo Formenti, Francesco Leonetti Antonio Porta, Pier Aldo Rovatti, Gianni Sassi, Mario Spinella Paolo Volponi Art director: Gianni Sassi Editing: Studio Asterisco - Luisa Cortese Grafico: Roberta Merlo Edizioni Intrapresa Cooperativa di promozione culturale Redazione e amministrazione: via Caposile 2, 20137 Milano Telefono (02) 592684 Pubbliche relazioni: Monica Palla Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 342 del 12.9.1981 Direttore responsabile: Leo Paolazzi GiorgVioasari Prove d'artista Gennaro Fucile bieri, L'elettronico e il biologico, pubLiberio Reggiani L'industria della memoria blicato nel numero 89 (ottobre 1986), Composizione: LeVitede'plueccellenti pagina-9 pagine 27-28 si cita ,il volume di J. Searle, Menti, GDB fotocomposizione, architetpti,ttoeritscultori cervell. programmi, attribuendone er- via Tagliamento 4, 20139 Milano lt Il I d Clmb e I • Ricercatori & Co. Tradizione del nuovo roneamente la pubblicazione alla Telefono (02) 5392546 a an, a a U nsmo (Tragitto dell'appestato in cittii, Alberto Boatto Clup-Clueb di Bologna; in realtà il li- STAMPA a'tempniostri di Giorgio Mascitelli) Lea Vergine bro è una coedizione della Clup-Clued Rotost;:imp;:i C"I nell'edizione p r i tipidiLorenzo pagine 10-11 pagina 28 di Milano. <::S TorrentRlnroenze 1550 Distribuzione: .S Comunicazione ai collaboratori pagine e prezzo; Occorre in fine tenere conto che il crite- Messaggerie Periodici ~ La prima edizione, di «Alfabeta» c) gli articoli devono essere inviati in rio indispensabile del lavoro intellet- ~ finora trascurata, Le collaborazioni devono presentare i triplice copia; il domicilio e il codice tuale per Alfabeta è l'esposizione degli Abbonamento annuo Lire 50.000 ~ ma «incomparabilmente piu seguenti requisiti: fiscale sono indispensabili per i pezzi argomenti-e, negli scritti recensivi, dei estero Lire 65.000 (posta ordinaria) ~ pura e artistica» (Schlosser) a) ogni articolo non dovrà superare le 6 commissionati e per quelli dei collabo- temi dei libri- in termini utili e evidenti Lire 80.000 (posta aerea) .9 e letterariamente piu viva cartelle di 2000 battute; ogni eccezione ratori regolari. per il lettore giovane O di livello univer- Numeri arretrati Lire 8.000 ~ della grande opera dovrà essere concordata con la direzio- La maggiore ampiezza degli articoli O sitario iniziale, di preparazione cultura- Inviare l'importo a: Intrapresa § del Rinascimento italiano. ne del giornale; in caso contrario sare- il loro carattere non recensivo sono te media e non specialista. Cooperativa di promozione culturale ~ A cura di Luciano Bellosi mo costretti a procedere a tagli; proposti dalla direzione per scelte di la- Manoscritti, dis~gni e fotografie non si via Caposile 2, 20137 Milano & e Aldo Rossi. Presentazione b) tutti gli articoli devono essere corre- voro e non per motivi preferenziali o restituiscono. Alfabeta respinge lettere Telefono (02) 592684 di Giovanni Previtali. dati da "precisie dettagliati riferimenti personali. Tutti gli articoli inviati alla e pacchi inviati per corriere, salvo che ContoCorrentePostale15431208 i::: «I millenni•, pp. uav-1020, ai libri e/o agli eventi recensiti; nel caso redazione vengono esaminati, ma lari- non siano espressamente richiesti con ~ con 33 illustrazioni fuori testo, dei libri occorre indicare: autore, tito- vista si compone prevalentemente di tale urgenza dalla direzione. Tutti i diritti di proprietà letteraria ~ L. 9.5 ooo lo, editore (con città e data), numero di collaborazioni su commissione. Il Comitato direttivo e artistica riservati ~ ________________________________________________________ _._ ______ _____ ~

Mo erni,9,America Alexis de Tocqueville La democraziain America a cura di Giorgio Candeloro Milano, Rizzoli, 1982 pp. 781, lire 44.000 Marshall Berman Ali that is SolidMelts into Air The Experienceof Modernity New York, Simon and Schuster, 1982 trad. it. L'esperienza della modernità Bologna, Il Mulino, 1985 pp. 431, lire 35.000 Harold Bloom Agon. Towarda Theory of Revisionism Oxford University Press, 1982 trad. it. Agone Milano, Spirali, 1985 pp. 348, lire 22.000 Harold Bloom Kabbalahand Criticism New York, The Seabury Press, 1975 trad. it. La Kabbalà e la tradizionecritica Milano, Feltrinelli, 1981 pp. 129, lire 7.000 Harold Bloom The Anxietyof Influence Oxford University Press, 1973 trad. it. L'angosciadell'influenza Milano, Feltrinelli, 1983 pp. 168, lire 19.000 11 «Financial Times», in occasione della festa per il restauro della Statua della Libertà, ha pubblicato stime della situazione demografica, abitativa e lavorativa della città di New York: dati giganteschi, una globale situazione esplosiva, ma sotto controllo più che negli scorsi decenni e, pare, in buona salute. E soprattutto emanante l'incrollabile fiducia americana nel movimento - come sempre, come prima, come alle origini della nazione americana - , nel movimento per se stesso (direbbe Alexis de Tocqueville), nel movimento come ricerca di una «nuova frontiera» (Problems are conqueredby moving on, finding a newfrontier). In tale proposizione, ad oggi, sembrerebbe non potersi leggere che un sarcasmo del tempo dell'apocalisse per l'umanità, e invece l'indicazione è proprio qui: in questa sorte di non poter sfuggire al proprio bene, in questa Americanway che a problemi smisurati reagisce con «sogni smisurati» (un'espressione di «Newsweek»). Nell'immane situazione mondiale, in cui gli Stati Uniti sono uno dei poli decisivi, tener ancora in piedi il «sogno americano» - il cui specchio è fissato nella dedica sul piedistallo di Miss Liberty: The huddled masses yearning to breathefree - è il sintomo di una presunzione d'eternità, che certo richiede una riflessione. La chiave di una tale riflessione non r-ri può essere se non la .«modernità», che in America ha un suo forte e completo modello. «Giuro che comincio a vedere il senso di queste cose, / non è la terra, non è l'America che è così grande,/ son io che sono grande, o destinato a esserlo, sei Tu lassù, o chiunque tu sia, / è percorrere rapidamente civiltà, governi, teorie, s:: / poemi, spettacoli, mostre, per S formare individui»: così Walt ~ i Whitman, il cantore dell'umanità ~ americana. È str~ordinario fino a che punto sviluppi il senso dell'individualità il muovere da condizioni di eguaglianza - come quella che è all'origine della nazione americana: al contempo però esso spalanca l'abisso davanti all'individuo che suscita, perché produce effetti che sfuggono di mano a chi li ha posti in campo. Gli uguali sono afferrati dalla brama di distinguersi, di primeggiare innovando e perciò, insieme, di distruggere. La breccia aperta nel vecchio stato prepara la voragine, il movimento senza tregua induce azioni circolari, vane, oppure sposta le realizzazioni molto lontano dagli iniziali scopi individuali. Ciò che è fatto è presto pronto per essere disfatto. Così inizia l'opera di A. de Tocqueville sulla democrazia in America (Parigi 1835-1840):«Fra le cose nuove che attirarono la mia attenzione durante il mio soggiorno negli Stati Uniti, una soprattutto turi: è il metodo di ricerca seguito da Tocqueville. Alimento all'istinto democratico in America venne fornito dalle condizioni naturali: il paesaggio immenso, le acque sovrabbondanti dei fiumi e degli oceani e il loro lavoro di plasmazione primordiale tali da òffrire sterminati deserti o da accumulare macerie grandiose insieme a promesse di una fecondità sconfinata - il sentimento della distruzione e della vita all'opera insieme. Nei coloni che popolarono l'America - almeno nei coloni della Nuova Inghilterra - v'erano condizioni di assoluta eguaglianza; comune la provenienza agiata e colta, emigravano non per indigenza ma per un miraggio spirituale: far trionfare l'idea puritana, a un tempo repubblicana e democratica, in una terra che consentisse loro di vivere e di pregare a modo proprio (p. 45). Essi giungevano con un'idea vero che in tutto ciò è il germe della felice separazione di religione e politica, ma non toglie che il risultato, nel singolo individuo americano, possa essere un monstrum. Un caos di contraddizioni in perpetua agitazione, che si dibatte tra incatenarsi e scatenarsi, tra ricchezza e perdita, tra futuro e passato, movimento e immobilità, solidarietà e solitudine. Non stupisce che talune menti americane abbiano posto in campo l'astuzia di autoliberarsi da ciò rinchiudendosi con una propria opera di solitudine, come Emily Dickinson con la poesia scegliendo risolutam_ente il polo della povertà (Rivelatore d'immagini, / è lui, il Poeta, I a condannarci per contrasto / ad una illimitata povertà); o come Henry James afferrando il polo della distanza, dell'oscillazione mai posante tra nuovo e vecchio mondo. Nel linguaggio e nella lingua Laurin, L'anello di Hans Carvel, (inciso da A veline) mi colpì assai profondamente, e cioè l'eguaglianza delle condizioni». Egli vi scorge il «motivo generatore» di ogni fatto particolare. E i ►occhio dell'aristocratico liberale che è Tocqueville guarda non solo all'eguaglianza negli Stati Uniti ma·,come affascinato, all'avanzata inarrestabile in tutto il mondo cristiano di questa rivoluzione che ha travolto la feudalità e i re e che certo non si fermerà davanti alla borghesia. Egli rivela d'avere scritto il suo libro «sotto l'impressione di un terrore quasi religioso». Dove andiamo? Si chiede. «Siamo nel mezzo di un fiume vorticoso e fissiamo ostinatamente gli occhi su qualche rottame che ancora scorgiamo sulla riva, mentre la corrente ci trascina e ci spinge all'indietro verso l'abisso» (p. 22). Ora, in America, tale vortice non ha trovato alcun ostacolo, la democrazia vi si è abbandonata ai suoi «istinti selvaggi», primo fra tutti quello di espansione, favorito dalle condizioni del territorio, e regolato gradualmente dal governo in formazione. In America è stato possibile cogliere alle radici le conseguenze dell'istinto democratico. Bisogna leggere nelle origini i germi di tutti gli sviluppi fureligiosa e una teoria politica - premessa per lo scaturire di una società omogenea. L'abitare una «terra di prodigi» fa di loro uomini intraprendenti, avventurosi, innovatori. La potenza della natura offre all'evidente debolezza dell'uomo come un caotico modello di potenza da tentare, esaltando il sentimento d'instabilità e la brama di fortuna. Il deserto che cammina dietro all'uomo tempra rudemente le forze. Il singolare in ciò è che le leggi penali vennero attinte direttamente dalla Bibbia, ed erano quindi terribili e barbariche, mentre gli ordinamenti civili erano formati, sviluppati, adattati, mutati con la partecipazione di tutti i cittadini (p. 49 e sgg.). Tale composizione (e scissione) di spirito di religione e di spirito di libertà come avrebbe potuto non seguitare a generare antinomie dall'anima americana e dalla sua azione nel mondo? Osserva Tocqueville: la religione impedisce all'americano di concepire e osare qualsiasi cosa, la legge gli permette di fare tutto (p. 295). Nella legislazione degli Stati Uniti non c'è limite ai desideri e ambizioni degli individui: di beni, di potere, di reputazione (p. 659). È americani compare il segno cospicuo di tutto questo. Tocqueville osserva come il pensiero vi si esprima per generalizzazioni dovute all'enfatizzazione dell'opinione e stima comune, quindi del pubblico, il che si manifesta con una quantità di termini astratti ignoti alla madrelingua (es. laforza delle cose vuole che le capacità governino); ma, al polo opposto, vi si esprima per una infinità di sfumature dovute alla perpetua mobilità dell'animo, alla passione del «movimento per. se stesso», il che rende incerto il senso delle pa-· role (p. 481 e sgg.). Si osserva insomma nella lingua la stessa contraddizione tra il dinamico e il rigido che domina la vita sociale. Una contraddizione simile si noterà nell'immaginazione degli americani, da un lato espansiva e senza freni apparenti anche in rapporto alle condizioni ambientali, riassorbita dall'altro nello stesso impulso che l'ha liberata, il quale porta l'individuo ad impegnare la sua immaginazione nell'utile che brama conseguire e nella rappresentazione del reale. La situazione non sembra a Tocqueville propizia alla poesia. Ma egli concepisce la poesia in termini classici come «la ricercae la pittura dell'ideale» (p. 487). Alla stregua di tale formula, l'immaginazione poetica sarà del favo/oso e le nazioni aristocratiche, che pongono tra Dio e l'individuo tante entità intermedie, appariranno di gran lunga più fertili d'immaginazione poetica. L'immaginazione democratica riporta i poeti sulla terra e li rinchiude nel visibile. Inoltre per i popoli democratici non esiste, dato il continuo contatto di tutti con tutti nella dimensione pubblica, quella distanza che rende le cose e specialmente le persone misteriose, delicate, mitiche. Infine i popoli democratici, più che alla contemplazione della natura, si esaltano a quella di se stessi (p. 489). Un'occasione per noi di sottolineare come la modernità americana fomenti la passione umanocentrica propria dell'uomo della modernità. Tocqueville, inoltrandosi in questo rapporto tra stato sociale e politico di un popolo e genio dei suoi scrittori, ne desume per gli americani un amore come fugacità, sempre assillato dai seri lavori della vita, per i piaceri dello spirito: così che gli scritti loro dedicati saranno di necessità brevi, lo stile bizzarro, negletto, ardito; opere prive dell'immagine della regolarità e dell'arte, ma in compenso dotate di «una forza incolta e quasi selvaggia» (pp. 474-5). Infine Tocqueville già nota come la democrazia introduca lo spirito industriale in letteratura (p. 477). L'oggi conferma le osservazioni e le intuizioni di Tocqueville anche per ciò che egli dice di una capacità negli americani di visione solo in grande, anzi in grandissimo, in gigantesco (p. 493): «Essi gonfiano continuamente la loro immaginazione e, estendendola oltre misura, le fanno raggiungere il gigantesco>>S. i sviluppa un visionario a livello d'intera umanità che, cieca, Dio conduce all'attuazione dei propri disegni... Alla fine Tocqueville giunge a riconoscere anche quello che è uno dei maggiori talenti dello scrittore democratico, dunque pure americano: la capacità di sondare gli abissi dell'umano, le sue passioni, le fortune, le miserie inesplicabili (p. 491). Egli torna a nominare, in questo punto avanzato della sua opera, l'abisso: l'abisso che è in effetti l'uomo della modernità. 11 «terrore quasi religioso» nel quale ha iniziato il suo lavoro, dinanzi al vortice dell'eguaglianza democratica che spezza ogni ostacolo e domina sulle rovine da essa stessa prodotte, sembra rendere tale lavoro suscettibile di integrazioni al nostro momento, pur che assumano di farsi condurre nel proprio cammino dal pensiero delle origini, come è stato in Tocqueville. Nel libro di Marshall Berman L'esperienza della modernità le origini si presentano sotto specie di Faust, dell'eroe faustiano del movimento e dell'azione alle prese con il problema della creazione, il più originario di tutti .i problemi. Scopo dell'opera è mette.re in rilievo - dalla Parigi di Haussmann e Baudelaire alla Pietroburgo di Gogol' e Dostoevskij alla foresta di simboli di New York - «la dimensione tragica e contraddittoria di tutti i tipi di impresa e creatività moderna» (p. 113). Del resto Tocqueville figura,

nel libro di Berman, accanto ad altri autori del XIX secolo i quali «avevano compreso i modi in cui la tecnologia e l'organizzazione sociale moderne determinavano il destino dell'uomo» (pp. 38-9). Tali autori, tra i quali Berman pone Marx e Nietzsche, credevano che, una volta compreso tale destino, gli individui moderni fossero in grado di combatterlo. Invero già Tocqueville aveva osservato che il movimento che trascina i popoli cristiani (i popoli moderni) era ormai troppo forte e se pure ancora nelle loro mani «presto sfuggirà loro» (p. 22). Berman sviluppa a sua volta, nel proprio contesto, l'equazione secondo Tocqueville di eguaglianza (modernità) e instabilità: il sempre nuovo aspirare, progettare, costruire, i «flussi instabili della vita moderna» si apparentano al nichilismo (p. 144e sgg.). Autodistruzione innovativa: Berman ha catturato questo slogan della Mobil Oil come una epigrafe per la modernità. È sotto simile insegna che Robert Moses, l'architetto edificatore e distruttore a un tempo della città di New York, è vissuto da Berman come una titanica forza impersonale della modernità, la «sfinge di cemento e alluminio», il Moloch che ci è entrato nell'anima (da Ginsberg) aprendosi la strada con una scure di carne: «Quando si opera all'interno di una metropoli con troppi edifici, ci si deve aprire un varco con una scure di carne» (R. Moses). Essere moderni - dice Berman - è trovarsi nell'avventur~ della crescita e trasformazione di noi stessi e del mondo: e ad un tempo sotto la minaccia che venga distrutto tutto ciò che abbiamo, che conosciamo, che siamo (p. 25). La modernità ha un prezzo: se stessa. «Nulla I c'è che nasca e non meriti / di finire disfatto» conferma il detto mefistofelico nel Faust di Goethe. Se è così, soggiungiamo noi, l'opera di Moses è solo un esempio di un'equazione - fare per disfare - che mostra una falla nell'umano come.una forza che sembra essere più forte dell'umano stesso (o forse uguale alla somma delle forze di tutta l'umanità passata presente futura?), e che dà sempre come risultato la polverizzazione della storia umana. Vi torneremo tra un momento. Antonio Porta La festadel cavallo Milano, corpo 10, 1986 pp. 86, lire 10.000 Il Mi tornate vicine, voi fi- '' gure mutevoli / che siete presto apparse, un tempo, all'occhio incerto. / E io mi proverò, ora, a fissarvi? / A quelle fantasie l'animo inclina ancora?» Così, com'è noto, con questa interrogazione verso le" schwankenden Gestalten che si approssimano, cominciano i primi versi del Faust di Goethe. Chi sono, cosa vogliono queste tremule figure che, venute da un non-si-sa-dove (dal passato? dal nulla?), si affacciano alla mente del narratore? Di loro, che farne? Perché parlarne? Come scriverne? L'interrogazione sullo statuto (chi sono?) e sul senso (come mai si mostrano?) dei «personaggi» e più in generale del mondo che, non ancora scritto, appare al narratore affinché ne scriva, è un'interrogazione inesauribile, una questione infinita che si radica Possediamo il motivo delle autocontraddizioni del modernismo, della modernistica progettazione del futuro? Lo ricerca Marx nel Manifesto - ci ricorda Berman, che dal Manifesto ha preso il titolo in originale del suo libro: Tutto ciò che vi è di solido si dissolve nell'aria - là dove si loda la classe borghese per aver distrutto il concetto di durata e permanenza. Marx vi esprime «alcune delle intuizioni più profonde della cultura modernista» in grado di far luce su taluni suoi lati «repressi ed oscuri». Con una prosa d'improvviso incandescente Marx evoca e mima in un seguito d'immagini brillanti «l'andatura furiosa e il ritmo frenetico che il capitalismo impone ad ogni aspetto della vita moderna» (p. 123). Il cambiamento del mondo non ha orli, frontiere ultime. Le forze produttive colossali suscitate costringono la borghesia ad andare avanti, in una spietata concorrenza, così che essa «non può esistere senza rivoluzionare continuamente gli strumenti di produzione», cadendo nell'abisso che Marx chiama dell' «incertezza e movimento eterni»: «Si dissolvono tutti i rapporti stabili e irrigiditi, con il loro seguito di idee e di concetti antichi e venerandi, e tutte le idee e i concetti nuovi invecchiano prima di potersi fissare. Si dissolve nell'aria tutto ciò che vi era di corporativo e di stabile, è profanata ogni cosa, e gli uomini sono finalmente costretti a guardare con occhio disincantato la propria posizione e i propri reciproci rapporti». Discende da ciò il motivo, anche troppo semplice, dell'autocontraddizione insita nella modernità: investire nel mutamento equivale ad investire nella crisi e nel caos. Ma ecco, per converso, trovarsi nella crisi e nel caos equivale ad una promessa di sconfinata salute. Marx cerca, a partire da questo individuo della crisi, individuo parziale, un «individuo totalmente sviluppato» ( Capitale, I), il superamento della modernità in una modernità più totale e profonda che miri alla ricchezza non del danaro ma delle esperienze, delle capacità e sensibilità umane. Berman non crede nelle possibilità di questa risposta marxiana al problema' della modernità. E, infatti, ogni tipo di risposta credo sia forzata a spazzar via l'intera modernell'essenza stessa dell'inventare storie e più in generale della scrittura. Questo stesso enigma - che, non appena posto, rende di colpo incerto e periglioso l'atto stesso dello scrivere - apre le prime battute del «poema per teatro» di Antonio Porta: «Eccoci qui, personaggi,/ ma siete poi dei personaggi? / o fantasmi? o figure?, / un autore lo avete trovato / pronto a fare naufragio ... ». Scrittura agita, il teatro si spinge fino a creare una dimensione corporea della scrittura: di fronte all'occhio, al corpo dello spettatore, il teatro mostra e mette in scena il personaggio-fantasma della scrittura attraverso il corpo dell'attore. Nel teatro di Antonio Porta (dove il narratorescrittore stesso è presente sulla scena con il sotto-nome di «Didascalia»), l'identità misteriosa (o meglio, misterica, e quindi sacrale) del personaggio-fantasma-attore si pone come un quesito-limite che dall'inizio alla fine fa svolgere il dramma lungo una frontiera olnità. Tuttavia Berman a sua volta continua a sperare che «si dissolvano tutti i rapporti stal;lilie irrigiditi», che si dissolva la modernizzazione (economia e socialità) e non la cultura del modernismo - le nuove visioni ed espressioni di vita - se le generazioni continueranno a lottare per sentirsi a proprio agio in questo mondo, mentre sì «le case che abbiamo costruito, la strada moderna, lo spirito moderno, continuano a dissolversi nell'aria» (p. 425). Penso che entrambe queste speranze mostrino la loro corda debole, in quanto non mettono in discussione, non spostano altrove il fondamento «uomo» della modernità. Ma cos'è una modernità senEisen, Il diavolo di Papefiguière za uomo? Nulla. Infatti, all'altra domanda «quando finirà la modernità» non si potrebbe che rispondere: mai più ormai, se non con l'uomo stesso, perché la modernità ha portato alla luce i primordi dell'uomo, il suo sigillo nativo, e con tale sigillo è sigillata la parola fine. L'umano è fine e distruzione fin dall'inizio. Per questo l'uomo - la modernità lo rivela - è destinato a fare soltanto per disfare. L'uomo vive, e fa vivere, la fine in ogni suo momento. Per questo la storia è polvere. E la «modernità» paradossalmente è coestensiva ad ogni momento dell'uomo, ma concentrata certo negli ultimi cinque secoli per siffatta evenienza rivelativa del carattere Giampiero Comolli tre la quale c'è l'eventualità sempre insistente del suo svanire, di una fine totale, dell' «ancora per poco [... ] e poi basta»: «noi siamo solo dei replicanti, costretti a ripetere ancora per poco quello che siamo stati, poi basta [... ] ormai senza sangue, solo un po' di inchiostro [... ] azzurro o nero, a seconda delle preferenze del nostro autore ... ». Poema per teatro, La festa del cavallo di Antonio Porta mette in scena il sorgere e lo svanire dei personaggi poetici attraverso un teatro in cui la recitazione sembra sprofondare in un passato arcaico, primordiale: la recita si fa rito, sacra rappresentazione: il tavolo attorno a cui si stringono gli attori «è il tavolo di una veglia, di un'ultima cena ... » (p. 23). In questo modo il tema del «chi sono i personaggi del teatro?» si rivela come un tema evanescente, un tema ombra, pallido specchio oltre il quale emergono i temi fondamentali e primordiali dell'esistere e dello scomparire; temi che la poesia, umano della fine. Ci sarà da domandarsi dove porti il disfare umano. A quanto appena osservato, che fa parte della propria veduta di chi scrive, viene incontro quella strana concezione della letteratura e del mondo che è di Harold Bloom, una concezione poetico-critica ispirata a una dialettica gnostica e cabbalistica, che legge le opere (sono costretta a compendiare al massimo) come derivanti direttamente da un Precursore e indirettamente dagli dei. L'artista s'imbatte nel suo lavoro in qualcosa come lo «straniante» di Freud che è invero qualcosa di ben heimlich, familiare, e che riproduce un rapporto primordiale tra gli angeli demiurgici, la loro creazione e Adamo. Questi, recando in sé il nome e l'immagine dell'anthropos primigenio, l'Adam gadmon, spaventò col suo linguaggio e la sua voce (da Clemente Alessandrino) gli angeli che, in fretta, deturparono e nascosero la loro opera, il cosmo, nel quale Adamo fu gettato pur restandone superiore. Ogni creazione d'artista umano è impressa del sigillo di questa creazione catastrofica, perché l'artista, il poeta, come l'Adamo iniziale, reca in sé una preesistenza, il nome di un dio, una forza divina. Il Precursore, per ogni poeta forte, è l'entità che permette, a chi traversi l'«angoscia dell'influenza» per aprirsi una strada propria, di risalire indietro il tempo alla scena primordiale. I poeti, gnosticamente, mentono contro il tempo riproducendo la mitopoiesi cataclismica e distruggendo la storia. Cos'abbia a vedere questa vicenda di letteratura (di chi scrive ma anche di chi legge) col problema della modernità è evidente: l'esistenza intertestuale apre gli occhi su ciò che è avvenuto (e avviene ogni momento) nel mondo, del mondo, del tempo perché lascia rifluire il rimosso fondamentale, l'abisso e caos delle origini. Non vi sono che Io e l'Abisso per ogni anima veggente, dice Emerson, il veggente e profeta, secondo Bloom, della gnosi americana. Questa è in grado di illuminare sulla condizione gnostica del mondo altrettanto bene quanto il modernismo americano sulla modernità in generale. trasformata in dizione sacra, in recitazione rituale, permette di cogliere secondo una dimensione mitica, archetipica. Così, come formule al tempo stesso liriche e misteriche emergono, dietro l'ombra del recitare, 1 temi della fame («Non si stancheranno mai di recitare questa scena. Compatiteli, è fame vera, è una fame di secoli... »), della nominazione («Amici, compagni [... ] ho pensato di celebrare anche la festa del nome ... »), del generare-morire («lascia che la prenda io tutta la vita che ti è rimasta dentro [... ] adorato ... »), della salvazione («Salvatore [... ] amore [... ] che rima antica, bellissima... »), del nulla («Culla del mio nulla /dentro il nulla della culla / levigata dimora / senza polvere di nulla»), e tanti altri ancora. Ma questi temi mitici, che sorgono da un passato profondissimo e che quindi, attraverso la ripetitività del rituale, paiono destinati a darsi come perenni, immutabili, fuori della storia, si trovano invece Anzi gli gnostici, quelli di ogni tempo, sono essi proprio decostruttori modernisti (possiamo desumere da Bloom) se modernismo equivale, come sappiamo, a smantellare col costruire. L'opera della modernità, un terreno così fertile per i poeti, può ora apparirci, con le sue azioni circolari, col suo titanismo inane, come una rimozione del destino di catastrofe che però, sotto diniego, viene svelato. I primordi vanno sollecitati, ed ecco il modernismo emersoniano (Emerson un Precursore per eminenza di poeti), che rende lo specifico della gnosi americana: «Chi non ha fatto niente non ha conosciuto niente. Vano è starsene seduto a fare piani [... ]: alzati e fai! Se la tua conoscenza è reale mettila in circolazione da te: cimentati con la vera Natura; prova in essa le tue teorie e vedi come resistono». In tale ottica ogni caduta - anche quella della modernità - è un eccesso di vitalità: una «rottura dei vasi». I vasi sono le luci della creazione, rotti fin dall'origine (secondo la Kabbalà !uriana) forse per una breccia di niente infiltrata nel primissimo principio. Vano, di conseguenza, è il contenere la rovina entro la storia umana. Ne discende il motto secondo Bloom: Tutto ciò che può essere rotto va rotto. Bloom ha sostituito la diade di Tocqueville religione-libertà americana con l'altra più originaria religione-letteratura e ha integrato l'«istinto democratico selvaggio» con l'istinto mitologico - in ogni caso selvaggio. Con ciò lo pseudo-mito americano dell'uomo efficientista portatore di libertà tende a sostituirsi col mito vero (genuino ) dell'uomo primordiale e del genio catastrofico. Possiamo rispondere ad una nostra domanda: il disfare umanocentrico e moderno porta all'uomo dell'eternità. La necessità di cui dicevamo, di spostare altrove l'uomo della modernità, porta verso l'immagine eterna dell'Adamo che esso reca dentro di sé. Dicevamo che la modernità ha scoperto la fine: non sorprenda ora che ciò si integri asserendo che ha scoperto l'eternità sotto la fine. Nell'uomo tardivo della modernità essa compare, e intensamente agisce, come un fantasma dell'origine. Non è una scoperta agevole da assimilare. nel dramma di Porta, trascinati in una catastrofe della storia, in una rottura definitiva dell'immutabilità. Dove, quando avviene la «festa del cavallo»? Un gruppo di personaggi, che hanno perso quasi tutto, che si sono trasformati in un quasi niente, si rigirano come superstiti in un luogo uscito da una catastrofe, una guerra, un evento che ha distrutto la storia e con essa anche la ciclicità e l'immutabilità del tempo mitico e rituale. Così, il poema teatrale di Porta mette in atto un'operazione vertiginosa di cui è difficile cogliere -.:ttutta la portata. La festa del cavai- .s lo restituisce sì una dimensione ar- g,o caica e pagana al mistero della ::: scrittura e del suo corpo teatrale, ~ ma lo fa ponendosi dal punto di ~ ,9 vista «ultra-storico» della fine posi:::s ~ sibile del nostro mondo attuale, ~ ponendosi cioè dal punto di vista ~ di una catastrofe totale, che di- ~ struggerebbe quindi anche quella t: ciclicità del tempo su cui da sem- ~ pre si basano i miti e i riti. La festa l del cavallo ci pone dunque di fron- ~

te a un paradosso da cui risulta difficilissimo districarsi. Infatti: evoca, cita la paura attuale per una fine del mondo ad opera dell'uomo; mette in scena una sorta di day after in cui pochi sopravvissuti si agitano in un residuo di tempo che sembra non servire più a nulla («Non c'è più tempo da perdere, l'abbiamo consumato tutto ... »); questo tempo inerte, semi-morto, non permette più né la ripresa del tempo storico, né la ciclicità del tempo mitico; le dimensioni fondamentali dell'esistere e quindi la arcaicità, la primordialità ·dei miti, degli archetipi che ad esse facevano riferimento risultano così impraticabili. Ma al tempo stesso: la prospettiva, la condizione della catastrofe è raccontata, recitata secondo uno stile mitico, come se fosse un mito. Anzi, il poema teatrale di Porta, ci fa intuire che proprio la prospettiva della fine della storia fa riemergere la dimensione mitica dell'esistere. Così", La festa del cavallo si presenta come un mito sulla fine di tutti i miti. Con La festa del cavallo ci troviamo dunque di fronte non solo a un'opera di bellezza profonda e commovente, ma anche nuovissima e difficileda interpretare: non si tratta né di un testo d'avanguardia, né di un pastiche postmoderno; è piuttosto un esempio (e ce ne sono ancora pochi) di letteratura mitica contemporanea. Intendo qui per mito una narrazione che mette in scena alcuni personaggi fantasmatici per interrogarli intorno a questioni fondamentali e primordiali dell'esistere su uno sfondo di silenzio senza fine, così che l'interrogazione incontri come risposta solo la ripetizione misterica (ciclica e sacrale, se si vuole) di - questo silenzio. Ma il silenzio oggi, nella contemporaneità, finisce per coincidere o sovrapporsi al silenzio della fine eventuale della storia, tanto che letteratura mitica oggi non si può forse più fare se non ponendosi di fronte a tale nuova forma di silenzio. O forse una nuova forma di letteratura mitica sorge oggi proprio perché ci troviamo confrontati con questo silenzio. M a come si presenta una narrazione mitica nell'epoca della fine dei miti? La forma classicadi un mito, come si sa, è quella del compimento: qualcosa, un evento, un personaggio, sorge dal silenzio, per poi crescere, declinare e tornare nel silenzio: una pienezza temporale, un tempo pieno del racconto, permette lo svolgersi e il completarsi dell'evento. Che ne è allora del mito quando questo appare nel tempo morto al di là del tempo, dove niente può più venire a compimento perché non c'è più tempo? In La festa del cavallo, festa celebrata in un avanzo di tempo dopo che è finito il tempo, assistiasostituendosi l'un l'altro, senza riuscire a coagulare, a prendere ... Nessuna alternativa risulta più decidibile, la direzione imboccata dalla vicenda viene continuamente vanificata dall'emergere o dalla compresenza di una direzione opposta così che niente giunge a completarsi e tutto rimane sospeso. fra sé e il suo contrario: «stammi lontano / vieni vicino»; «giovin signore / già un poco anziano»; «alba di tutto / alba di niente»; «assunto in cielo [... ] precipitato nelcreatore: «Capisco, il mio compito diventa sempre più i~grato [... ] / accompagnare via i njo~i [... ] / liberare la scena dalla spazzatura ... ». Nei racconti mitici del mondo classico o pagano qualcuno, una vittima, un capro espiatorio, doveva sempre pagare, affrontare il sacrificio, affinché sorgesse poi la possibilità della ripresa, del riscatto. Ma nell'epoca della fine dei miti, nella prospettiva di una catastrofe in cui tutti sarebbero sacrificati per il bene di nessuno, la Louis Boulanger, I Demoni (nella tradizione araba) mo allo spettacolo sconvolgente di una ridda di miti che si fanno avanti senza che nessuno di essi possa giungere a compimento. Tutti i miti sembrano riemergere, ma in frantumi. L'Ultima Cena, Mosè salvato dalle acque, il corvo e la colomba di Noè, i sacrifici sugli altari degli dei pagani, le Arpie che insozzano le mense... frammen!i di miti, citazioni avvolte nell'ombra, rimasugli di storie antiche che emergono or qua or là, l'inferno»; «Il figlio della fame [... ] / Mi riempirà lui la pancia ... ». In questa prospettiva di tragica indecidibilità, le cose si rivoltano su loro stesse senza potersi trasformare in altro che in quel vuoto che già da prima c'era, «vuoto che si versa nel vuoto», «buco che entra in un buco». I personaggi, impossibilitati nel portare a compimento la propria vita, muoiono di colpo sotto gli occhi dell'autore che diventa così affossatore in quanto possibilità del riscatto viene meno: «In questo dramma non c'è speranza di riscatto, non è possibile... ». Eppure, proprio da questo stato di tragicità estrema e senza fine, in cui nessuno può più essere riscattato perché tutti sono vittime, emerge la possibilità e il ricordo di un sacrificio, un unico sacrificio in cui la vittima non è più vittima, e invece di essere uccisa viene liberata. È esistito, sembra, un unico Tempi Luciano De Maria La nascitadell'avanguardia Padova, Marsilio, 1986 pp. 220, lire 22.000 E. Crispolti Storiae criticadel futurismo Bari, Laterza, 1986 pp. XXIV+381, lire 33.000 Claudia Salaris Storiadel futurismo Roma, Editori Riuniti, 1985 l') pp. 229, lire 16.500 ~ .s ~ M entre_il dibatti~os~l futu~- ::: smo e ancora m pieno svi- ~ luppo, tra mostre, conve- -. gni e pubblicazioni di ogni sorta, -~ può essere utile avviare una rifles- ~ sione sui caratteri e il senso della ~A __, riscoperta, confrontandola con ~ quella degli anni sessanta, reale i:: data d'inizio dell'interesse suscita- ~ to dal movimento. Gli strumenti ;g_ di ricerca non difettano certo, per- ~ lomeno a livello informativo, se si può ormai disporre di vere e proprie mappe della diffusione del fenomeno, dalla letteratura alle arti figurative, al teatro, alla musica, l'arredamento, la pubblicità, la cucina, la moda ... E d'altro canto, sul versante ideologico e politico, si sono scandagliati con rigore i rapporti avanguardie - futurismofascismo, sino agli episodi in apparenza marginali o minimi di un «estremismo intellettuale» schedato con sistematica capacità investigativa: basta ricordare Umberto Carpi e la sua agguerrita indagine su L'estrema avanguardia de/Novecento, da leggersi in dittico col precedente Bolscevico immaginista. Intanto un interrogativo si impone, e riguarda la convivenza tra le categorie della citazione, del tempo ipostatizzato, dell'inautentico, dell'eclettico (al centro, sino a poco fa, della discussa inchiesta sul postmoderno) e il problema del «nuovo», che una serie di studi ha di recente portato alla ribalta. Penso tra gli altri a Maravall, che affronta ora il caso «epocale» del Barocco all'insegna della tensione tra una cristallizzazione assolutistica e un dinamismo spinto sino a un sorprendente culto della velocità: se è vero che accelerazione e mutamento vengono periodicamente riproposti, quasi riciclati, nella storia dei movimenti di pensiero, è indubbio che anche la estremizzazione, al centro degli interessi dello studioso spagnolo, ha a che fare con la ricerca sul moderno, collabora, da una prospettiva particolare, alla quete del nuovo. Il discorso è complesso e richiederebbe un serio approfondimento. Dinamismo, accelerazione, estremizzazione sono solo in parte elementi costitutivi della nostra attualità: ma il Novecento, fatto salvo il ripudio di ogni sintesi totalizzante e l'abiura al culto della «forma» tipico di ogni civiltà al crepuscolo, si apre, con le avanguardie, proprio su quelle parole d'ordine, ribaltate di segno e strettamente congiunte a una novità intenzionalmente, volontaristicamente perseguita ai livelli più disparati, dalla sintassi alla veste grafica, dalle progettazioni tecniche a quelle ambientali, dalla dilatazione della sensibilità e sensitività alla configurazione di una diversa antropologia. Appare allora particolarmente incisiva la scelta operata da De Maria nel suo studio recente La nascita de~'avanguardia, che riunisce scritti composti in un ampio arco di tempo: il più accreditato interprete di Marinetti, responsabile in prima persona, sullo scorcio degli anni sessanta, della rinata attenzione al futurismo con testi ormai divulgati e divenuti classici (da Teoria e invenzione futurista a Marinetti e il futurismo) presenta al lettore di oggi, disponibile alle risemantizzazioni, un'ampia tipopolo, nelle steppe dell'Asia centrale, in cui il cavallo destinato al sacrificioper il bene della tribù veniva lasciato libero invece di essere ucciso. Ogni mito si fonda su una rovina, su un sacrificio, affinché ci sia un riscatto. Nell'epoca della rovina di tutti i miti affiora allora il ricordo di un unico mito che non si fonda su una rovina e che si leva al di sopra della rovina di tutti i miti: «Voglio un sacrificio senza vittime [... ] come deciderlo? [... ] come liberare il cavallo prescelto e lasciarlo andare via libero, vivo, eccitato, pronto alla fecondazione [... ] se nella storia degli uomini un solo piccolo popolo c'è riuscito, ci riusciamo anche noi... ». «La festa del cavallo vuol dire che deve essere lasciato libero... ». La festa del cavallo è il mito della fine di tutti i miti. Nella lettura del dramma di Porta non riecheggia soltanto il ricordo dei miti antichi: all'ombra dei versi, man mano che si avanza, si intrasente anche il mormorio di tanti poeti del passato: le voci di Shakespeare e di Goethe, di D'Annunzio e di Campana si sciolgono ora l'una ora l'altra nella voce dei versi: «Al lauro muto, al fauno prigioniero, alla ninfa / nascosta dentro l'albero, all'oceano/ sonoro, al silenzio assoluto: un ultimo saluto». Questo darsi convegno dei miti e dei poeti antichi nel tempo inerte in cui nessun incontro appare più possibile, ci fa capire che il mito della festa del cavallo è anche il mito della scrittura che, portata fino allo spasimo di immaginare la fine di ogni cosa, non è più che ombra perduta incapace di nutrire: «Che state cercando [... ] cosa volete mangiarmi, adesso, l'ombra [... ] l'ombra [... ] l'ho perduta!» Ma in quanto ombra perduta, fuggita via, la scrittura è anche ombra liberata, cavallo liberato che libera una volta ancora la scrittura. Scrittura che solo se liberata può essere ritrovata. Perciò il mito della fine di tutti i miti è ancora nella scrittura, e il mito della perdita della scrittura, evocata dalla perdita di ogni cosa, è contemporaneamente il mito del ritrovamento della scrittura. Privati della possibilità di portare a termine il proprio compimento, i personaggi de La festa del cavallo descrivono il fato che li travolge secondo parole di una lingua bellissima... pologia del nuovo, che da Marinetti si estende all'intero panorama futurista, coinvolgendo sodali e ribelli, interlocutori consenzienti e antagonisti. Ed ecco allinearsi, in una fitta galleria di. ritratti ed umori, l'affermazione marinettiana della «follia del divenire», connessa a suggestioni nietzscheane ed evoluzionistiche; o il «delirio innovatore», !'«estasi del moderno» di Boccioni pittore ideologo; o il cauto trasformarsi «continuativo» del simbolista Lucini, preoccupato di far quadrare innovazione e tradizione; o ancora la pervicacia sincretistica di Papini tesa a individuare il rinnovamento e l'originalità come presupposti indispensabili all'arte; o il predadaista, ludico Palazzeschi, interprete grande della «tradizione del nuovo». Il «gesto simbolico» della novità, il senso preciso della trasformazione, che introducono alla vita moderna lasciano aperte, in ogni

caso, molteplici domande, di cui De Maria avverte tutta la complessità e l'urgenza: una volta di più pare tutt'altro che facile - ne sapeva qualcosa Rimbaud - «etre absolument moderne». Fino a che punto, ad esempio,· l'estremizzazione e il gesto provocatorio comprendono in sé la potenzialità del mutamento? E a quali parametri o referenti va rapportata la velocità? Esiste nel futurismo un concetto di Permanenza o il div,enireè sempre .,,-- / e comunque valore assoluto? E che rapporto si instaura tra presente e immanenza? Cos'è il presente del futurismo? Al centro, si comprende bene, si colloca una nuova percezione del tempo. Ad essa De Maria dedica il lungo, affascinante saggio sulla poesia di Palazzeschi, le cui fasi si articolano proprio sulla dicotomia tra tempo immobile, irrigidito, spazializzato, fissato in un eterno presente dai contorni geometrici, divisibili, misurabili (il regno del «sempreuguale», antibergsoniano, onirico ed erotico che sta tra Cavalli bianchi e i due Incendiari), e tempo accelerato dell'eversione, della parodica, irriverente levità del futuro uomo di fumo. Se Palazzeschi resta figura di· non facile collocazione nell'ambito della prima avanguardia, è tuttavia determinante, per ogni analisi che voglia calarsi direttamente sui materiali, seguirne le tappe della sperimentazione metrica, linguistica, sintattica. Il rilievo si può allargare: è sui testi - ribadisce a ragione De Maria - che simisura la capacità eversiva, la forza di trasformazione, perché «non esiste a priori una sensibilità nuova e purificata indipendente dal lavoro sul materiale verbale, nel caso della letteratura». Da qui le sollecitazioni a rivedere Marinetti non solo, ed è importante, come organizzatore di cultura, come uomo del gruppo, promotore del movimento, ma anche come scrittore (e i Taccuini, in uscita presso Il Mulino, riserveranno certo, in proposito, più di una sorpresa). Non so fino a che punto la rivisitazione potrà rivelare qualità autentiche di scrittura: ma è inconfutabile che Marinetti, per la sua stessa formazione, possa illustrare meglio di chiunque altro la linea evolutiva che congiunge simbolismo e ricerca sperimentale, di un modo nuovo del comunicare, sia un reale, insostituibile catalizzatore di tendenze, compresa quella di una inattesa vena predadaista e surrealista che De Maria non manca di rilevare, dimostrando tra l'altro, con rilievi davvero capillari e con fine sensibilità critica, la possibile parentela tra parole in libertà e scrittura automatica. Non accade mai tuttavia, neppure ove l'indagine si fa più specialistica, che il critico smarrisca la percezione della complessità del fenomeno futurista, del suo aspetto «embricato, intricato», delle sue diverse anime: letteratura e ideologia emergono, lungo l'analisi, come fenomeni inseparabili, constatata la radicalità della scelta a favore dell'arte eteronoma nell'epoca della grande industria. La nascita dell'avanguardia è pertanto percorso dalla perentoria volontà di mostrare le varie fisionomie di un fenomeno plurimo, che si attesta su di una ideologia globale in cui convivono estetizzazio- • ne del politico e attivismo letterario, etica dell'azione e modernolatria, e insieme senso sottile della promozione culturale, abilità propagandistica, capacità di gestire la provocazione con sapienza e cinismo. Il movimento, «nato da un atto di volontarismo estremo», si colloca così, primo in Europa, all'incrocio tra poliespressività e tentativo di trasformazione totale: il credito di cui il gruppo milanese gravitante nell'orbita marinettiana godette per quasi un decennio presso le avanguardie europee (dai futuristi russi ai precursori svizzeri e francesi di Dada e del surrealismo) conferma a pieno titolo il carattere coinvolgente e centrale di quell'esperienza. S u questo aspetto i saggi riuniti ora in volume da Crispolti si coniugano felicemente, sul versante della critica d'arte, con ta di egemonia culturale della pittura sulle altre arti ( boccionicentrismo), o di singole figure protagoniste ( marinetticentrismo). Perché in fondo la vera forza del movimento è la globalità, appunto, del campo di intervento, la volontà di una rifondazione totale ma non totalizzante, la tensione antiformalista, l'attivismo creativo che, se pure si attenua, non si esaurisce del tutto neppure dopo il 1916, col tramontare dello «scatto Robin Goodfellow o Il diavolo inglese dei sabba quelli «letterari» di De Maria, protraendo i margini d'intervento all'intero campo cronologico del futurismo, dagli esordi dei primi manifesti alle ultime propaggini degli anni quaranta. Anche in questo caso si è felicemente lontani dai rischi, denunciati con chiarezza da Porta nella Presentazione al libro edito lo scorso maggio da «Alfabeta» - «La Quinzaine littéraire», di una sorta di sospensione di giudizio, tipica di chi intende relegare i fenomeni vitali «nell'in- \t , ,. k .,,·•·., ....-.-.. ~::-;~ \ \, l· Js'!J I - ✓] ••\ - 'il";.:-:- • -.\1~~ / • ..,,. •\ -.~--- •.. ·._. ·, ,. -i.] ') ., ' ~ -~ .J/J * 1••• ·1.. •. ì- \~'. ·~:,..,· .';}<'li ~ \,-·f~ I -~- :. ')/l~~-7'; "' -"N--1~r-"#.',r6 :.\,:' !-\~~- • . 1-~,~:- ~ I \:•: ,11, '~ .~7~\ (f.. ~~--: - '~ ''·•,,~-: ~~ ....--~ ~:~~~;::.:s· utopico» dell'inizio. A questa tendenza alla invenzione assoluta, alla «ricostruzione futurista dell'universo», Crispolti dedica le pagine più suggestive, collocando al centro, nucleo di irradiazioni plurime, il manifesto del 1915 di Balla e Depero (Ricostruzione futurista dell'universo), da assumersi come indice della progressiva apertura dell'area di incidenza del futurismo, dall'invenzione letteraria a connessioni sempre più ampie, a sintesi sempre più dinamiche. verso una sensibilità dilatata, che scopre lo spessore e la vitalità dell'elemento materico, oltre la sinestesia di eredità simbolistica, verso la mineralizzazione della parola, l'immanenza dei gesti verbali, fonici, grafici (con le conseguenze immediate di un ribaltamento dello psicologismo e della fondazione di una reale «stilistica della materia», che Curi e De Maria hanno più volte esemplarmente illustrato). Poteva essere la via verso il rifiuto del simbolo, l'abiura del mito: ma altre mitizzazioni, si sa, ed altre mistiche imposero drastici ridimensionamenti alle ipotesi liberatorie, alle pratiche innovative. Nell'ampio panorama delineato da Crispolti anche le contraddizioni, le compromissioni emergono nitide, pazientemente ricostruite e documentate con la precisione insieme dello storico e del filologo: da quelle culturali (i legami col simbolismo o il postimpressionismo) a quelle politiche (nonostante sia poi necessario - avverte il critico - smitizzare certi clichés, e indagare, ad esempio, anche le frizioni, oltre le connivenze, col fascismo, di per sé, parrebbe, incompatibile con la radicale avversione futurista alle burocratizzazioni). Dunque, nessuna rimozione di responsabilità: semmai una adesione in qualche caso piuttosto decisa, convinta, ai programmi di «sostituzione» del reale, al fascino di un progetto creativo collettivo che se possiede indubbiamente potenzialità trasgressive nasconde tuttavia, al proprio interno, insidiosi tranelli. Certo la fuga dalla rigidità, la ricerca ostinata del «dinamismo plastico» in grado di trasmettere «l'espressione dinaµiica, simultanea, plastica, rumoristica della vibrazione universale», erano per Balla e Depero, come per gran parte del moyimento futurista, un modo di opporsi alla supremazia della ragione a tutti i costi, alla violenza dell'equilibrio e del conformismo, di sottrarsi al pensiero Mary Aubray, Il diavolo vuole sangue o Gli eccessi dell'amore nocuo limbo delle sistemazioni storico-accademiche». Al contrario l'approccio rigorosamente storiografico ·non impedisce all'analisi di snodarsi secondo scelte precise: al centro sta la preoccupazione di sottrarre il futurismo a una sorChi ha detto che il futurismo è stato, in fondo, una grande occasione sprecata, non aveva tutti i torti: solo che l'«estroversione» di cui parlava Sanguineti andrebbe proprio confrontata con questa volontà di fuga dalla forma chiusa, logocentrico. Ma poi gli orpelli retorici, i mimetismi acustici e visivi, certo greve residuo naturalistico e la roboante, macabra polemologia vanno proprio considerati assieme, parti integranti del medesimo sistema. Come dire che primordiale e istintuale - lo rivela con forza anche Claudia Salaris - sono una cosa sola col modernismo e il mito del mondo nuovo, percorso da una circolarità «in cui gli opposti.si congiungono». D i nuovo le differenti anime del futurismo: con un'ampiezza di diramazioni, confluenze, divergenze, a volerla indagare da vicino, davvero vertigi7 nosa. Dalla fitta trama dei rilievi di Crispolti (numerosissimi: cito fra tutti le osservazioni sulla fotodinamica che restituisce l'«eventicità del gesto» contro l'istantaneità; o sul rinnovamento dello spazio urbano, o sui rapporti intricati tra futurismo e poetiche degli anni venti e trenta) al racconto lungo della Salaris (la definizione è in controcopertina) si delinea un mosaico di tendenze, gruppi, orientamenti. Quando l'autrice stende le prime righe di premessa al volume («Questo libro nasce dall'esigenza di ricostruire l'intera avventura futurista attraverso un completo inventario bibliografico») sa quel che dice; ed è consapevole di possedere fiato, durata, tensione sufficienti alla prova. Il racconto si snoda con scioltezza, privilegiando un taglio divulgativo più attento ai fatti concreti che alle teorie, dentro un itinerario labirintico (gli anni 1909-1944)attraversato col filo d'Arianna della documentazione precisa, estesa a un materiale vastissimo talora inedito o di difficile reperimento. Dalla densa e articolata rassegna emergono in particolare i rilievi sulla spregiudicatezza dei sistemi pubblicitari, che sconvolgono i modi della cultura e insieme esaltano la nuova epica dell'industria, del moderno, del quotidiano. E accanto si delineano, con pari risalto, la descrizione «visiva»dell'oggetto-libro, del volantino, del manifesto, delle edizioni di «Poesia». Le serate futuriste, gli spettacoli, le esposizioni, il costume, la politica, il ruolo della donna - al centro di un capitolo informatissimo - sino alla mappa del futurismo in Italia e nel mondo. Si va dalla stagione felice, progettuale degli esordi, con l'esuberanza provocatoria, antipassatista dei primi manifesti, alla volontà di inaugurare il nuovo statuto «visivo e fonetico» di una scrittura materialistica orchestrata «in senso estrovertito», sino alle svolte del dopoguerra, al rallentarsi delle spinte propulsive: e tornano alla mente la tipologia del nuovo affrescata da De Maria, le ragioni storiche dell'attenuarsi dello slancio di rifondazione illustrato da Crispolti, progressivamente sempre più debole quanto più verbosamente ingigantito in una improbabile «sintesi del mondo» (l'aeropoesia, i proclami dei primi anni trenta ... ), o in un paroliberismo - puntualizza la Salaris - apparentemente moderato, e certo più declamato che radicale. Una occasione sprecata: perché è indubbio che erano tutti lì i germi per avviare il raffronto tra letteratura ed extraletterario, per discutere la degerarchizzazione dei generi, per scoprire il testo, l'oggetto artistico, nella sua oggettualità materica, per verificare, sui manifesti, la forza di una drammatizzazione (il rilievo è di Raimondi) della parola in gesto, del gesto 'O in icona. E per tentare forse, da c::s .s ultimo, un salutare ripensamento ~ delle ideologie globali. Ma su ~ t-,. quella ocçasione sprecata si può ~ instaurare un dibattito fertile: me- -. rito non certo marginale, segno, -~ anzi, di una vitalità postuma. Il § compito del critico - lo diceva Sa- ~ vinio - non è tanto criticare quan- ~ to inventare: gli anni ottanta potrebbero ancora riservare al futu- S ~ invenzioni. rismo altre salutari, meritatissime ..C) ~ c::s

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