Alfabeta - anno IX - n. 103 - dicembre 1987

Alfabeta 103 zione, s'intende, del misticismo astorico e dell'intimismo evasivo. E il nodo è sempre e ancora lì - punto di partenza ma ineludibile luogo di «autoriferimento» e di confronto: tra «Officina», «Novissimi» e «Gruppo '63»: nella combustione di istanze fondative, esigenze problematiche e aperture possibili che i termini di quella rottura e di quel passaggio esprimono e conservano per noi; non certo nel prolungamento di canoni di poetica e di soluzioni specifiche, destinate ad essere bruciate e trascese nella relatività storica della loro distanza. Caduta l'illusione «officinesca» di una connessione artigianale tra «sperimentalismo» e «impegno», smentita la pretesa neoavanguardistica di una «rivoluzione culturale» centralmente condotta su base segnica e verbale, resta l'indicazione irreversibile di una linea di intervento teoricamente motivata e strategicamente mirata. [... ] Forse, la contraddizione tra il «fuori» e il «dentro» della pratica teorico-letteraria può ricevere una nuova risposta. E, forse, la prospettiva di una tendenza «allegorica» e «materialistica» non è lontana né improbabile. Informatica e nozione di «imprevedibilità» Francesco Leonetti S e, accanto ai motivi teorici specifici, si vuole considerare oggi il contesto della produzione complessiva, per trarne chiarimenti sulla situazione culturale, è all'informatica che dovremo piuttosto riferirci. Essa determina i processi produttivi non solo perché induce la degradazione già descritta da Braverman, ma perché investe i nessi ideativi e «primi» dei processi stessi? Non solo si prepara oggi un nuovo ceto dell'establtshment, al posto della stampa; che è il ceto di marketing; non c'è solo un ordine ecclesiastico nuovo. Ma si prepara con l'informatica il tessuto nuovo stesso di tutto il lavoro. Ora, come si legge presso Nora-Mine, un attributo inderogabile delle merci diviene, con l'informatica, la prevedibilità [... ). Definisco dunque imprevedibile tutto ciò che si pone ad antistare questo appiattimento di soglia percettiva, che è la richiesta dell'informatizzazione (prima di un suo uso evoluto). L'imprevedibilità non consiste nell'intento microlinguistica, ora non si tratta di tornare alle operazioni sul puro significante. Ma sta nel timbro, dove si tratta di escludere la certezza vecchia su cui poggia la mistificazione nuova. È imprevedibile l'invenzione stessa, ciò che una volta si diceva stile, o il salto fuori dall'iperreale, comunque perpetrato. È la verità della singola opera d'arte, che è differente dalle altre, e presenta un modello etico «disarmonico». È inutile perciò discutere se è tornato in auge l'intreccio o altri fattori. Troppo poco. Gia Spitzer indagava nei classici la composizione di un'opera (imprevedibile sempre), volendo inferirla dalla lingua, allo stesso titolo che l'indagare la lingua. Ed è inutile in arte la trovata, per il passatismo, che in ciò si compie una «citazione» di precedenti situazioni o figure; si tratta allora di rigurgito. Occorre sparare un colpo di imprevedibilità, con la turbolenza che è della vita e insieme della riapertura di gioco o di tensione, propria dell'opera intellettuale. Fine della tradizione simbolista Romano Luperini N ella seconda metà degli anni cinquanta e poi nel decennio successivo, fu messa in discussione, da posizioni diverse, la tradizione del simbolismo e del postsimbolismo. Da parte dei poeti di «Officina», ci fu la scelta del poemetto in chiave prosastico-narrativa e «antinovecentista» (come allora si diceva); poi furono i «novissimi» a optare per una linea «bassa» e oggettuale, giocando sullo straniamento ironico e rifiutando il «poetico». Si respingeva, in entrambi i casi, la pratica lirico-simbolica fondata su una concezione orfica della poesia come rivelazione della verità. Non è certo un particolare privo di significato storico che il maggior rappresentante di quest'ultima tendenza, Montale, abbia vissuto, appunto negli anni cinquanta e sessanta, la crisi del simbolismo come crisi della poesia stessa, scegliendo dapprima il silenzio, poi soluzioni prosastiche e satiriche. E analogo discorso andrebbe fatto per l'evoluzione di Sereni e anche, seppure in modi diversi, di Luzi e di Zanzotto. [.. ;] Credo che dobbiamo lottare per ampliare e consolidare questo ~erreno d'incontro, il_cui int_eresse storico sta - se Ellis Danda INVOCAZIONE pag. '128 Lit. 15.000 Centri del dibattito non erro - nel comune riconoscimento dell'esaurimento della maggiore tradizione poetica del moderno - quella del simbolismo e del postsimbolismo - e nella ricerca di ipotesi nuove di tipo neoprogettuale, e cioè fortemente costruite in senso allegorico e narrativo. Che cos'è avvenuto Roberto Di Marco S empre negli anni settanta (più inoltrati), in consonanza con le nuove ideologie correnti e con i nuovi orientamenti politici e sociali restaurativi, s'è affermato come dominante nel mercato un complessivo nuovo modo di far letteratura incentrato sulla raffinatezza dell'ordito letterario cui s'accompagnano l'escogitazione e la ripetizipne di tecniche narrative-comunicative atte a raccogliere il più ampio consenso di pubblico per l'ozio e l'intrattenimento. Nel suo prosieguo, alla elaborazione di raffinate tecniche narrative-comunicative s'è sostituita la semplice imitazione del modello narrativo massmediologico o anche più antico. In contrapposizione a tutto ciò incominciano a intravedersi nuove tendenze di ricerca espressiva diffusa che definiremo di Avanguardia tout court poiché in essa vale, insieme al recupero di un alto tasso di letterarietà, anche la tendenza alla «negazione determinata» della letteratura esistente e la tensione ad andare «oltre la letteratura». Tutto ciò nel contesto di una catastrofe già avvenuta: siamo già nella fine della tradizione letteraria borghese-moderna stabilita. La materialità del testo Mario Lunetta H a detto William James che la parola cane non morde. Qui si ha invece una considerazione della materialità della scrittura come facoltà anche offensiva, fortemente vitale, e quindi capace di produrre lacerazioni e ferite. Per noi la parola è le meurtre de la chose (Lacan) soltanto nel senso che essa azzera il plesso delle affettività elementari per allestire un sistema (aperto) sul piano del linguaggio. Sappiamo, al di fuori e al di là di ogni tentazione di totalità metafisiche (o metastoriche), che in quanto produttori di testi la nostra azione si svolge nel Mercato, che è al tempo stesso impasse paralizzante e arena di contraddizioni. La politica di difesa del sistema ufficiale della letteratura consiste anche in un processo di riassorbimento degli elementi «spuri» che, ponendo steccati, regolamenti taciti, limiti, isolando le anomalie e le testualità eterodosse, mira a ghettizzare nella separatezza ogni operazione di rottura degli equilibri precostituiti. [... ] Impassibilità e frenesia Alfredo Giuliani P er esempio, penso a tutti i film che conosco di Buster Keaton, il mio eroe preferito da quando ero ragazzo. Averli visti e magari rivisti è come possedere edizioni preziose di libri pressoché introvabili. Adoro l'arte di Keaton, non solo interprete ma in sostanza autore del più sorprendente cinema degli anni venti, per la felicità d'invenzione che essa riesce a squadernare ritmicamente nello spazio mentale dello spettatore. La suprema ironia di Keaton combina in modo squisito, poetico e quasi matematico, l'impassibilità e la frenesia, la vertigine e il calcolo. All'opera di Keaton ho parecchie cose da collegare; per non farla lunga costruisco una piccola costellazione. Brilla Alfred Jarry con la ventriglia di Ubu e con gli spermatozoi d'oro che nuotano nei neri occhi del dottor Faustroll. E brilla il signor Piuma di Henri Michaux, con i testi che l'accompagnano nell'edizione Gallimard del 1963 (anno beneaugurale). La stessa edizione che ho avuto il piacere di tradurre (Bompiani 1971). Infine scorgo il buon soldato Sc'vèik di Hasek. Sotto le vesti del «cretino notorio», e con una logica apparentemente rispettosissima del senso comune e dei valori costituiti, Sc'vèik si avventura fiducioso nella realtà per annientarla. Ma badate bene: siccome nell'annientarla la rivela, Sc'vèik libera la realtà dalle sue ignobili costrizioni. Questa scintillante costellazione va osservata amorevolmente, ne vanno studiati i movimenti e i lampeggi. Essa continua a risplendere sui baracconi dell'epoca presente. Per favore, siamo gentilmente feroci. Parlo a gente del mestiere. Guardiamoci dal difuori e come dall'alto, con esilarante inespressività, con impassibile frenesia. pagina 41 Per un'opposizione letteraria artistica Edoardo Sanguineti ' E tempo di riproporre, nel quadro più largo di una cultura di opposizione alle «idee dominanti» (alle «idee della classe dominante»), un ruolo storicamente adeguato per una opposizione letteraria e artistica, nei confronti del consumo oggi egemone. Mi limito a tre brevi notazioni. a) Esiste un'area intellettuale che si raccoglie ormai, non dimentica di Benjamin, intorno alla nozione di allegoria. Credo che sia possibile elaborare una poetica di «realismo allegorico» (di «allegorismo realistico»), che operi insieme come immagine dialettica orientante e come puntuale discrimine polemico. b) In questo orizzonte, la lotta contro il «poetese» e contro il «narratese», che attualmente regolano il mercato, può già mirare a un superamento della prolematica romanticoborghese, risollevando, in termini storicamente e materialisticamente determinati, quelle prospettive antiliriche e antiromantiche che erario pure già emerse, con forte carica alternativa, nella cultura europea degli anni cinquanta e sessanta. c) L'attuale dibattito intorno alla critica riuscirà veramente fecondo se saprà risolversi, infine, in una critica radicale della «letterarietà», come categoria e come istituzione. Il vero problema teorico è la ragione pratica della letteratura. È un problema, dunque, di concreta pratica culturale e sociale. È un problema, in prima istanza, di pratica della scrittura. Alterità e sistema Pietro Cataldi R esta, certo, che il centro del letterario è la sua specificità; e che la forma, in letteratura, è il luogo più politicizzato e politicizzabile. Per questo nell'universo senza sorprese del sistema della comunicazione multimediale, l'imprevedibilità è concretamente eversiva: fuori di tale sistema perché ad esso contraria. Il critico può battersi per favorire questa eversione ed esaltàrne con la propria funzione sociale la oppositività; denunciare che non esistono zone franche. Il critico può assumere con piena forza la propria funzione politica, agendo in nome di un progettò di negazione dell'esistente che non si assolve altrove e altrimenti che nell'orizzonte del suo lavoro, dove passano, come dovunque, le linee della contraddizione e dello scontro. Contro il privato Umberto Lacatena L a letteratura ha un senso se ci riconduce, se riconduce il lettore, a riappropriarsi, socialmente, delle proprie «miserie» derise, se il linguaggio esprime il proprio disappunto rispetto alla convenzionalità del mondo, alla sua opprimente sclerosi (che rimanda a rapporti di forze, a feroci esclusioni). Ciò che mi interessa superare è la pericolosa scissione (consueta nella narrativa piccolo-borghese-vedi anche i cosiddetti minimalisti) fra momento privato ed esperienza collettiva, tra sguardo interiore e sguardo sul mondo. Non mi seduce l'idea di un «privato» da esibire al pubblico seguendo le sterili tracce di una narrativa generazionale di successo a sfondo romantico-intimistico o che affida le proprie fortune alla sonnacchiosa fabulazione del romanzo storico o del romanzo di memorie. [... ) Su un centro disastrato Tommaso Ottonieri D entro l'attività molteplice di cui le scritture ci investono, senza scopo, della cui oggettività radicale ci ardono, noi alimentiamo la nostra opera quale un fermissimo stare nel cumulo corruttivo di quegli intersecarsi; dove solo il nostro scrivere, esercizio della percezione quando paradossalmente nulla di più della percezione è rischioso, rinvenga un proprio interno, incessabile moto. Questo cuore pulsante e malsano e fecondissimo è tutto quello che possiamo pensare come rock: dispersione, e insieme pratica progettuale e intensa della dispersione. È questo centro che il «letterario» tenta di eludere: foss'anche entro le pregnanti malinconie dell'indicibile: easy listening qualsiasi, come sembrano ormai. È su questo centro disastrato, e come a pezzi, quasi cratere attivo del riciclarsi cieco dei linguaggi, che noi ci poniamo in attesa. . , sta in un luogo suo incommensurabile "Invocazione" è un saggiolirico, un modello di scrittura contrappuntistica dove la prima voce è l'oggettivitàtematica appunto l'analisidella voce come puro oggetto definito storicamente con il lied,mentre to \aggiu, . si fendeva torcendosi a/ carnrnin , \'oe \o s?a1JO . ' o. "'e\ a anòo . . una delle spire senza scampa . ~cY Q\} s 1 1n . nre. ,,,.~e -io\iet b"'e potuto situarlo: ' ~ ~RU • ~a{\ 0 ,,,a\t0 a to sguardo esistette. la seconda voce rappresenta la soggettivitàdello scrivente in quanto "voce" cioè richiesta di ascolto ed espressione inconscia non della voce che scrive intorno alla voce bensì la' voce come sintomo di un'originaria invocazione,unmonumento all'amore che ogni voce esprime come richiesta, assenza. CORPO 10 ,,~e (}a\\ ,,, C\Ùes ~ ~ -~cv '- 0 'b,~ rP\ ,4;-v \,~~ ~ ,;:,◊ o.::, ,..$1 ~ ~ "' Giacciono,prima vagano. Via Maroncelli, 12 Milano Tel.02/654019

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