Alfabeta - anno IX - n. 103 - dicembre 1987

I pagina 4 Uno stupido sogno Uno stupido sogno, come una mazza, spietato mi ha percosso, Vi apparivo indistintamente e avevo un aspetto squallido. Nel sogno mentivo e tradivo, e con leggerezza adulavo, Non l'avrei mai immaginato di me stesso. Ed ancora stringevo i pugni e battevo per la tensione, Ma con la mano morbida, non con le nocche. Si sbiadiva la visione, ma di nuovo riappariva. Si chiudevano le palpebre e lei ricominciava. Io non marciavo, ma procedevo a passettini su una trave piana, Neppure una volta ho scambiato il piede: avevo fifa e tremavo. Dinnanzi al forte strisciavo, dinnanzi al malvagio m'inchinavo, Mi trovavo ripugnante, ma non mi son svegliato. È soltanto un delirio! Sentivo il mio lamento attraverso il sonno, Ma proprio io sognavo tutto questo, non un altro. Mi svegliai ed afferrai un brandello di gemito; Con dolore mi laceravo le palpebre, ma provavo sollievo. Ed il sogno restò sospeso al soffitto e si distese. Un sogno profetico? Rimase una questione aperta. Me ne lavai le mani - ma lui nella schiena s'insinuava come un brivido freddo. Qual era verità nel sogno, qual era menzogna? Se è soltanto un sogno, è anche una fortuna, Ma se si trattasse di chiaroveggenza? Il sonno rispecchia i pensieri del giorno? No, non è possibile! Ma appena ci ripenso, tutto mi contorco. E se lo mandassimo al rogo?! Di avvicinarmi al falò mi mancano le forze. Avrò vergogna, come nel sogno in cui tremavo di paura. Oppure mi diranno: «Canta all'unisono, a perdifiato!. ..» Ed io capirò: «Conta questo sogno come profetico!. ..» Ho la mia chitarra Ho la mia chitarra, apritevi, pareti; Non devo vedere il secolo della libertà per cattiva sorte? Tagliatemi la gola, tagliatemi le vene, Basta che nòn strappiate le mie corde d'argento. Sprofonderò nella terra, sparirò in un momento. Chi mai difenderebbe la mia giovane età! Mi sono entrati dentro l'anima, la faranno a pezzi, Basta che non strappino le mie corde d'argento. Ma la chitarra mi han tolto, e con lei la libertà. M'impuntavo, urlavo: «Porci, canaglie! Copritemi di fango, buttatemi nell'acqua, Basta che non strappiate le mie corde d'argento». Suvvia, fratelli, non devo forse vedere Né i giorni luminosi, né le notti senza luna? Mi hanno distrutto l'anima, mi hanno tolto la volontà, E ora stanno strappando le mie corde d'argento. A più voci Era così: io amavo e soffrivo Era così: io amavo e soffrivo, Era così: di lei soltanto sognavo. La vedevo segretamente nel sonno, Amazzone sul suo cavallo bianco. Che c'era in me tutta la saggezza dei pedanti libri Quando potevo sfiorare con le labbra le sue orme. Che ti è accaduto, regina delle mie fantasie? Che ne è stato di te, mia illusoria felicità? Le nostre anime si bagnavano nella primavera, Le nostre teste erano in fiamme, E tristezza e dolore con lei erano lontani E, sembrava, non ci sarebbe stata malinconia. Ma adesso è già pronto per lei il sudario, Bevo fra le lacrime e piango senza una ragione. Ti ha gelato il sangue con freddo eterno e ghiaccio Il vivere nella paura e nel presentimento della fine. L'ho capito: non bisogna più cantare canzoni; L'ho capito: non bisogna più guardare i sogni. I giorni trascinavano a lei fili di menzogna, Portavano soltanto miraggi. Brucerò i brandelli degli abiti festivi, Strapperò le corde, liberandomi dall'oppio. Non voglio servire da schiavo illusorie speranze, Non mi inchinerò più agli idoli di un inganno. Vicolo Bol'soj Koretnyj Dove sono i tuoi diciassette anni? In vicolo Bol'soj Koretnyj. Dov'è l'inizio delle tue disgrazie? In vicolo Bol'soj Koretnyj. (ritornello) Dov'è la tua pistola nera? In vicolo Bol'soj Koretnyj. Dove non sei più oggi? In vicolo Bol'soj Koretnyj. Ti ricordi, compagno, quella casa? No, non puoi dimenticarla! Dirò di più: metà della vita ha perso Chi non veniva al Bol'soj Koretnyj. (ritornello) Oggi ha un altro nome, È tutto nuovo laggiù, che tu ci creda o no. Accadde che gli uomini se ne andarono Accadde che gli uomini se ne andarono, Terminate le semine in anticipo. E già non si vedono più dalle finestre, Si sono dissolti nella polvere delle strade. Gocciano i semi dalle spighe, Lacrime di campi non mietuti. E i freddi venti cominciano Inesorabili a scorrere dalle fessure. Alfa beta 103 I Vi aspettiamo, correte cavalli, buon viaggio, buon viaggio, Che i venti lungo il cammino non sferzino, Ma accarezzino i vostri dorsi. E poi ritornate in fretta, vi piangono i salici, Senza il vostro sorriso impallidiscono e seccano i sorbi. Noi viviamo in alte torri, Nessuno può entrare in questi edifici, Solitudine e attesa Hanno preso il vostro posto nelle case. Ha perduto freschezza e incanto Il candore delle camicie non indossate, Persino i canti di un tempo non son più quelli, Venuti ormai a noia. Vi aspettiamo, correte cavalli, buon viaggio, buon viaggio, Che i venti lungo il cammino non sferzino, Ma accarezzino i vostri dorsi. E poi ritornate in fretta, vi piangono i salici, Senza il vostro sorriso impallidiscono e seccano i sorbi. Tutto duole di un solo dolore E risuona giorno dopo giorno l'affanno Sempiterno di lamenti incessanti, Eco di antiche preghiere. Vi verremo incontro, che siate a piedi o a cavallo, Affranti, feriti, ma amati, Purché non ci sia il vuoto Di un annuncio di morte. Eppure, ovunque tu sia stato, ovunque tu stia vagabondando, Non puoi non passare dal vicolo Bol'soj Koretnyj. (ritornello) Un ribelle ai tempi di Breznev Negli anni di Breznev è vissuto a Mosca un artista singolare: Vladimir Vysotskij (19311980). Figura leggendaria in vita, dopo la sua morte la leggenda ha avuto il sopravvento; ma il fatto più straordinario è che tutte le sue avventure, reali o inventate, così come le sue opere, attingono allo spirito della fiaba popolare russa. stele sue opere in prosa (fra cui la sua delirante Zizn' bez sna I Una vita senza sogno, «memorie di un pazzo» scritte nel.J968), le sceneggiature, le fiabe. recitato soltanto in film di secondo piano. Per la sua morte sono state spese solo tre parole: «Con profondo cordoglio»; eppure il giorno dei suoi funerali tutta Mosca affollava la piazza della Taganka e le vie circostanti, riparandosi dal sole cocente sotto una marea di ombrelli colorati, e ancora oggi presso la sua tomba, all'ingresso dell'antico cimitero Vagan'kovskoe, stazionano ad ogni ora decine di persone che portano fiori freschi, che a Pasqua, secondo la tradizio~e russa, spargono briciole dolci perché anche gli uccellini vengano a venerare l'immortale «cantore». Dai tempi di Majakovskij nessun poeta aveva conosciuto tanta popolarità. Tutta la vita ebbe a lottare con i burocrati che non riconoscevano la sua arte e che vedevano in lui un furfante, un ubriacone, un isterico alla ricerca di popolarità a buon mercato, un idolo delle bettole e dei portoni. Vysotskij non ha mai risparmiato se stesso: poteva arrivare a cantare per sei ore di seguito, ogni canzone era eseguita al limite delle forze umane, con tensione fisica e con rabbia, come una corsa sfrenata, una fuga dalla, e al tempo stesso verso la, propria rovina. Nei suoi testi si parla spesso di morte, :ma per serietà nei confronti della vita, per· un'immensa sete di vita, la paura di «rion fare in tempo». Soltanto al Teatro Taganka interpretò più di venti ruoli importanti, dallo Svidrigajlov di Delitto e castigo al Lopachin de Il giardino dei ciliegi, dall'Amleto di Shakespeare al Galileo di Brecht. Sono circa seicento le sue canzoni, non ancora tutte raccolte. Interpretò ventisei film. Sono rimaQuesta versatilità di talento non gli era d'ostacolo, ma d'aiuto:.la gente andava a teatro «per vedere Vysotskij», perché lo conosceva e amava le sue canzoni, e le sue canzoni nobilitavano il teatro. Ufficialmente, in anni in cui essenza della cultura politica sovietica erano l'unanimità e l'adesione totale, Vysotskij era un artista che non è mai apparso alla televisione, che ha inciso soltanto due «quarantacinque giri», un cantautore di cui non si è mai vista affissa una locandina per un concerto; un poeta che non ha mai pubblicato i propri versi sulle riviste popolari, un attore di cinema che ha Scrivere canzoni è per lui come respirare l'unica difesa possibile dall'esistenza minacciata, un tentativo di trovare la salvezza dentro di sé, dando un senso a ciò che è più disperato. Gli amici raccontano che scrive-

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