Alfa beta 103 Raymond Carver Di cosa parliamo quando parliamo d'amore? Milano, Garzanti, 1987 pp. 139, lire 16.000 Cattedrale Milano, Serra e Riva, 1987 pp. 250, lire 20.000 Jay Mclnerney Riscatto Milano, Bompiani, 1987 pp. 234, lire 20.000 R aymond Carver ci viene proposto nel ruolo di padre, o almeno di fratello maggiore, dei minimalisti sul tipo di Leavitt, Minot, Easton Ellis. Un ruolo cui lo abilitano i non molti anni in più (è quasi cinquantenne) che denuncia all'anagrafe rispetto ai giovani colleghi, ma soprattutto la maestria che rivela nell'uso delle risorse stilistiche «minimali». Queste, conviene ripeterlo, sono fondamentalmente di due specie, entrambe interessanti e tali da assicurare l'esistenza, e la dignità, del fenomeno complessivo. Intanto, c'è un «minimalismo» intrinseco alla lingua inglese, che quindi è quasi congenito alla sua grande tradizione narrativa; e la letteratura novecentesca non ha fatto che esaltarlo, dai Dubliners di Joyce ai racconti brevi di Hemingway: un termine di riferimento, quest'ultimo, che viene agitato con particolare insistenza a proposito di Carver (lo fa anche Fernanda Pivano in appendice alla raccolta edita da Garzanti). Ma non meno importante l'altra accezione, che non corrisponde più al «genio» di una singola area etnico-linguistica, bensì ai connotati generali di un secondo Novecento, rispetto alla prima metà del secolo. L'oggettualità, lo scaricare le emozioni sugli oggetti, il simulare una apparente insensibilità di facciata, per corazzare meglio l'analisi del «vissuto» e i suoi sussulti, sono tratti specifici di tutta la ricerca contemporanea, e l'averli posti con forza alla ribalta resta il grande merito del nouveau roman, che davvero da questo punto di vista ha fatto scuola. Carver è tanto più abilitato al ricorso al minimalismo, in quanto i suoi temi appaiono, se possibile, ancor più degradati rispetto a quelli di Leavitt; quest'ultimo, in fondo, si muove a livello di classe sociale medio-alta, impegnato ad affrontarne un aspetto che, malgrado tutto, mantiene un carattere di lusso, o almeno di agio, di raffinatezza: l'omosessualità, il dramma della coppia «diversa», il trauma di doverla confessare alla luce del sole e di renderla accetta.bile alla comunità dei normali. Un'O!J10sessualità che, come vuole il manuale freudiano, trova una delle sue radici in una fis- •sazione all'età felice dell'infanzia, trascorsa all'ombra degli affetti familiari; di qui il culto delle memorie, la rievocazione dello choc patito quando la famiglia si è infranta per il divorzio dei genitori, e così via. Carver arretra invece a un livello sociale medio-.basso, quasi pauperista; o almeno, contrassegnato da quel tanto di penuria e di stenti che possono essere ammessi dal sistema americano; un certo benessere è ineliminabile, e quindi si potrà continuare a. fruire di frigoriferi, auto, cibo a volontà, anche se colpiti dalla disoccupazione. Ciò del resto sta accadendo anche nei nostri paesi europei. Ma certo l'orizzonte si restringe, una cappa plumbea di timori e apprensioni per il futuro si abbatte su coloro I pacchetti di Alfabeta pagina 31 emey che patiscono una simile degradazione sociale, cui non sono pronti a resistere, data la scarsa dotazione intellettuale che possiedono. Questo un altro elemento distintivo: i personaggi di Leavitt sono infatti quasi sempre un po' «intelligenti», laddove per quelli di Carver si può parlare di un analfabetismo di ritorno. I pochi studi fatti in gioventù appaiono remoti, dimenticati, né esistono per loro occasioni di fruire di prodotti culturali. L'autore insomma ci fa affondare nell'orrido corpo sociale del cittadino semi-cosciente, il cui quoziente «anima» si esprime solo attraverso vaghi desideri inespressi, bisogni di un'evasione informe, non confessata, non percepita chiaramente. E per esprime- .. matrimonio è in crisi, che il coniuge si sta allontanando, come una sorgente di tepore che si spegne, e resta allora soltanto il tentativo disperato di captarne le ultime ondate. Molti racconti di entrambe le raccolte sono consacrati appunto ai tentativi disperati di questi esseri sulla strada della regressione-e dell'imbarbarimento, che pure cercano di scongiurare la definitiva perdita della moglie o del marito, e si ostinano a preservare una facciata di normalità al loro ménage. Oppure la rottura è già avvenuta, e allora non resta che disperdere, distruggere gli oggetti casalinghi in cui i tempi felici si erano depositati. È con questo tema che si apre il primo· dei racconti posti sotto il titolo Di cosa parGiovanni Rubino re un tale amorfo continente del desid_erio lo strumento minimale, nel trattamento di Carver, funziona a 1!1eraviglia.Le cose, le occasioni oggettuali sono più forti delle-volontà, dei programmi· coscienti formulati dai modesti e smarrit~ protagonisti. Que:ti assistono allibiti al dispiegarsi del cosmo di atti, magari compiuti da loro stessi, dai quali traspare alla fine un referto inevitabile: stanno diventando alcolizzati; a forza di compiere i gesti meccanici di andare al frigo e prendere la lattina di birra o la bottiglia di vodka gelata, devono constatare che una «scimmia» più vecchia, popolare, atavica di quella dt:lla droga si è impadronita delle loro esistenze e le domina senza più possibilità di fuga. Oppure un'altra costellazione di oggetti porta a significare che il liamo quando parliamo d'amore? Una coppia, ancora felicemente unita (ma per quanto?) è attratta d·all'avviso di una di quelle vendite estemporanee di masserizie che sono tanto tipiche dell'american way of /ife, e della sua mobilità. Ma dalla furia con cui il venditore vuole sbarazzarsi di un letto, di un giradischi, possono ded"urre il suo stato d'animo di masochistica liquidazione di un passato felice. Del resto, ci sono gesti ben più pesanti e massicci attraverso cui si manifesta un amore elementare, inconfessato, distorto, impacciato, che proprio per questo si rifugia in comportamenti provvisti di un enorme spessore inerziale. Si prenda la novella che appunto dà il titolo alla raccolta, novella dominata dalla «chiacchiera» svagata di due coppie, colte nel momento in cui sono ancora unite. La loro attenzione va, sempre in modi casuali, al ricordo di altre relazioni; per esempio, un tale si era innamorato di una delle eroine della nostra storia, secondo un amore intermittente, inabile, disgraziato; ma capace di manifestarsi con tentazioni omicide e suicide; quel goffo e maldestro amante era giunto così a spararsi in bocca, senza morire sul colpo, ma dovendo sopportare una lunga, penosa agonia, oggettivata da un mostruoso gonfiarsi del capo: che è il particolare orrido su cui la donna ritorna con insistenza, sentendosi in qualche modo colpevole, responsabile di quel gesto aberrante d'amore, di quell'omaggio portato alla sua avvenenza. M a se le cose procedono bene, e l'esistenza della coppia si assesta su un piano di normalità, allora scattano vaghe bramosie di soluzioni «altre», impulsi a scatenare un eros-thanatos represso. Ne è straordinario esèmpio il racconto Dì alle donne che usciamo, sempre della prima raccolta (che comprende all'incirca le prove degli anni settanta). Due maschi abbandonano le rispettive compagne per quella che sembra un'innocente passeggiata, ma l'incontro con due ragazze scatena, in uno dei due, follie omicide, che 10· portano a infierire su di loro e a massacrarle con una pietra. Naturalmente, non c'è passaggio analitico di stati d'animo, o almeno, non siamo introdotti a un simile scenario; il compiersi dell'evento oggettuale ci sorprende, come in qualche modo sorprende la parte cosciente del suo autore. Siamo, evidentemente, nel solco dei delitti gratuiti che costellano con le loro luci abbaglianti la migliore narrativa contemporanea, da Pirandello a Camus; solo che, inutile dirlo, nel ricorso «minimale» ad essi procurato da Carver è in atto una «normalizzazione», un abbassamento, un degrado, che li rende, se possibile, ancor più istantanei, fortuiti, e nello stesso tempo frequenti. In fondo, ogni novella di Carver si muove tra un'ossessiva piattezza, in cui trionfa la «chiacchiera», la quotidianità più scostante, «in maniche di camicia», e l'inevitabile scoccare di una catastrofe, o almeno di una crisi. E guai se questa tarda a entrare in scena; il rischio di insuccesso, per i racconti di Carver, sta proprio in un attardarsi nel grigiore, nel «fatto di niente». Aleggia sempre nell'aria un impalpabile senso di minaccia, ma talvolta l'autore decide di differirlo, o addirittura di tenerlo «fuori quadro», rimandandolo ad un'altra novella contigua. Ciascuna di esse; infatti, gode di una indubbia autonomia, ma esiste anche un vincolo che le cuce, in una specie di epopea, ovviamente «minimale» anch'essa. Talora un racconto troppo breve funge appena da abbozzo per una ripresa successiva, come è il caso di Il bagno, posto nella prima raccolta, che poi viene esteso e circostanziato in Una piccola, buona cosa, appartenente alla raccolta successiva, Cattedrale, in cui stanno le prove più recenti. È ancora protagonista la coppia normale, saggiata in una delle sue.componenti centrali, la prole. E anche a questo proposito abbiamo l'alternanza tra un amore «normale», magari un po' soffocante, e dure tenzoni tra i genitori, al momento del divorzio, per assicurarsi ciascuno il possesso dei figli. Ma si tratta di un amore filiale minacciato: nel leggerne le tracce, il decorso, quasi tratte-
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