Alfabeta - anno IX - n. 103 - dicembre 1987

collana "Biblioteca di Storia Contemporanea" diretta da Gabriele De Rosa Fey von Hassell Storia incredibile Dai Diari di una "prigioniera speciale" delle SS . Prefazione di Gabriele De Rosa Introduzione di Livio Zeno pp. XXVI + 196, 12 ili. f.t., L. 20.000 della stessa collana presso la Morcelliana: Helmuth James von Moltke Futuro e resistenza Dalle lettere degli anni 1926-1945 pp. 264, L. 20.000 Morcelliana \1d G Rosa ~1 2' 12' t3r, --,c,,i ~ aesthetica edizioni Edmund Burke Inchiesta sul Bello è il Sublime a cura di Giuseppe Sertoli e Goffredo Miglietta Alexander Gottlieb Baumgarten Riflessioni sul testo poetico a cura di Francesco Piselli present. di Rosario Assunto Luigi Russo (a cura di) Orwell 1984 Cesare Brandi Segno e Immagine Lucia Pizzo Russo (a cura di) L'educazione estetica Baltasar Gracian L'Acutezza e l'Arte dell'Ingegno traduzione di Giulia Poggi consulenza scientifica di Bianca Periiian presentazione di Mario Perniola Pseudo Longino Il Sublime a èùra di Giovanni Lombardo postfazione di Harold Bloom Marc-Antoine Laugier Saggio sull'Architettura a cura di Vittorio Ugo Luigi Russo (a cura di) Da Longino a Longino I luoghi del Sublime Guido Morpurgo-Tagliabue Anatomia del Barocco pagina 22 cripto-nazismo (prima del 1933) o di nazismo dispiegato (dopo il 1933), e cioè il «radicamento», la «patria», il Geist, la «comunità», il «destino» e così via, sono tipici della cultura tedesca, o di un suo settore rilevante, tra Otto e Novecento. Penso non soltanto a Spengler, a Tonnies, allo stesso Mano delle Considerazioni di un impolitico, ma anche· all'insospettabile Maw Weber, di cui nessuno ha mai contestato lo spirito anti-totalitario. Pertanto, non credo che abbia senso imputare a Heidegger una terminologia e una problematica che fanno parte integrante della cultura tedesca almeno a partire dal Romanticismo. Allo stesso modo, non avrebbe senso sostenere che terminologia e problematica sono responsabili dell'avvento del nazismo. Sarebbe una ben strana storiografia. E vorrei aggiungere che c'è un altro motivo per cui mi sembra sostanzialmente futile riproporre la responsabilità del filosofo Heidegger, pur riconoscendo i suoi errori e, diciamolo pure, la sua miopia o meschinità politica. Hannah Arendt, allieva di Heidegger, ebrea e autrice di importanti riflessioni sul politico, ha sottolineato che il luogo del pensiero è altrove rispetto agli affari del mondo. Il pensiero è comunque separato dall'agire, nel bene e nel male. È giusto perciò che un filosofo sia chiamato a rispondere per ciò che pensa, non per ciò che fa nell'ambito del suo essere nei' mondo. Galimberti. Non credo a un'influenza diretta di Heidegger sul nazismo; in primo luogo, perché Heidegger era ininfluente quando Hitler è andato al potere - era ininfluente perché non conosceva nessuno in politica. Lo conoscevano all'interno dell'università solo pochi. A sua volta il nazismo non può aver influito su Heidegger perché Heidegger, secondo me, non aveva una sensibilità politica, delle antenne politiche. E allora rispondere a questa domanda vuol dire spostare il livello del discorso e rinunciare alla relazione diretta di tipo causale, e pensare se non esistono dei climi, delle cose che si respirano, che accomunano il filosofo e il movimento politico. 1o' chiamo simbolica questa ricerca - e quando dico simbolo intendo una sorta· di arretramento rispetto ai modelli concettuali; potremmo per esempio parlare di antecedenti simbolici dei modelli concettuali greci, tedeschi, e così via. I concetti nascono da climi simbolici, e allora qui mi viene da pensare ad un'ipotesi: che sarebbe bello ricercare nel nazismo o nella dimensione politica che ci è nota un clima inconscio collettivo, e supporre di rintracciare la presenza di una dimensione esoterica: è tipico dell'esoterico ritenersi in possesso di una verità assoluta, è esoterico fare da guida agli altri perché gli altri non sono guidati dalla verità. La filosofia ha sempre avuto delle parentele con l'eso~erismo, a partire da Platone, e allora qui si potrebbe trovare una sorta di parentela: sia Heidegger sia il nazismo si possono pensare all'interno di una simbologia esoterica. Quando il nazismo sorge, di Heidegger è noto Essere e tempo. Se lo leggiamo al di fuori della filosofia, al di fuori degli sviluppi che ha avuto, al di fuori delle svolte rispetto a cui si è proceduto, si può pensare ad un autore che sta scrivendo da un luogo che non è un luogo mediamente condiviso: la categoria di autentico e inautentico divide praticamente gli uomini in coloro che sono massificati, coloro che non sanno quello che fanno, che non sanno quello che dicono, che si muovono nell'uso delle cose, e coloro invece che sanno. Coloro che sanno sono gli autentici, sono coloro che sono fuori dalla massa, sono coloro che sono fuori dal Sinn personale, e Heidegger parla di questo luogo, come colui che sa, colui che oltrepassa il livello medio della discorsività, colui che sta al di fuori da dove mediamente gli uomini si conducono. Allora, penso che solo a questo livello si possa parlare di influenza, di parentela tra Heidegger e il nazismo, nel senso che entrambi partecipano a un clima sim- • bolico di questo tipo. Rovatti. Qual è il quadro dei fatti nuovi davanti al quale ci troviamo? Il libro di Victor Farias ci mostra, costruendo una complessiva biografia intellettuale ad hoc, che il rapporto tra Heidegger e il nazismo non è stato un flirt passeggero, e lo fa con una serie cospicua di documentazioni: ne risulta che Heidegger è rimasto fino al 1945 iscritto al partito di Hitler zione», e non riuscendo più a trovarla si trova decisamente spiazzata. Quale rassicurazione? Nel più grande pensiero del nostro secolo noi pretendiamo di trovare gli strumenti teoretici che ci mettano in grado di difenderci dalla realtà storica e politica, e quindi anche da quel fantasma terrorizzante che per ciascuno di noi è il nazismo. lo credo invece che nell'ipotesi che Heidegger sia il più grande pensatore della contemporaneità dobbiamo far rientrare anche questa non-rassicurazione. Siamo di fronte a un pensiero che non solo è contraddittorio ma in cui la contraddizione relativa alla funzione e al ruolo del filosofo è un elemento massimamente caratterizzante. Cosa voglio dire? Che nel pensiero di Heidegger noi vediamo riprodursi continuamente una questione riguardante l'originario (prima Galimberti faceva riferimento all'autentico). Nella questione dell'originario possiamo far rientrare tutti i temi che sono stati poi evidenziati e portati a prova per far vedere la prossimità teorica tra Heidegger e il nazismo: la terra, il popolo tedesco, la patria, il Mulino ~ Herbert Lindenberger L'opera lirica Musa bizzarra e altera Musica, teatro, letteratura? Un ritratto della più ibrida e stravagante, e insieme della più popolare fra le arti Wolfgang lser L'atto della lettura Che cosa succede quando leggiamo? Una teoria della risposta estetica e che la sua, in realtà, è da considerarsi una vera e propria «militanza» fatta di interventi e di disponibilità nei confronti del regime. Inoltre, alcuni di questi dati mandano ombre ulteriori sull'uomo Heidegger, e sembrerebbero, per esempio, accertare che nell'intervista pubblicata nel 1976 da «Der Spiegel» (ma rilasciata dieci anni prima) e ora tradotta anche in italiano, Heidegger avesse detto alcune cose inesatte, di modo che la sua autodifesa risulterebbe perlomeno dubbia. Tutto ciò ha sconvolto non poco la sensibilità culturale, soprattutto quella francese. Su «Libération» del 16 ottobre Robert Maggiori ha fatto uscire un suo articolo intitolato Heil Heidegger che si conclude con la seguente domanda: come possiamo conciliare il fatto che da una parte abbiamo il più grosso pensiero filosofico di questo secolo, e <dall'altra parte che Heidegger non solo non dice una parola ma si rifiuta di prendere una posizione, sia durante sia dopo, contro il genocidio degli ebrei? Ecco, se questo è all'ingrosso il quadro dell'attuale discussione, io non credo che esso possa essere completamente sottovalutato. Farei questa osservazione: la sinistra, uscita dalle secche lukacsiane, ha sempre cercato e cerca ancora nella filosofia di Heidegger qualche cosa come una «rassicuraEmma Giammattei Retorica e idealismo Croce nel primo Novecento Un itinerario nella scrittura crociana, dal lavorio delle varianti alle grandi metafore che la innervano Erving Goffmann Forme del parlare Il parlare e il gesticolare da soli, le esclamazioni di sorpresa, paura, piacere, la conferenza: una brillante analisi degli aspetti linguistici dell'interazione quotidiana la lingua (il privilegio della lingua tedesca), il tema del Geist (che risuona appunto nel discorso di rettorato del 1933 e sul quale recentemente Derrida ha scritto un saggio ricchissimo di problemi). Dall'altra parte, però - in se stesso e per noi - Heidegger è il filosofo dello spaesamento, della distanza e - io insisto particolarmente su questo punto - del pudore. Come può il filosofo della distanza e dello spaesamento essere anche il filosofo della Heimat e della prossimità originaria? Credo che l'operazione critica che ci preme e che ci può distogliere da una falsa esigenza di rassicurazione sia proprio quella attraverso la quale noi riusciamo a riguardare la filosofia come qualcosa che, per la sua essenza, noi non possiamo mai utilizzare come un possesso che ci permetta di aprire porte o di affrontare fatti storici. Questa operazione critica ci porta a dire che la filosofia è un luogo duplice, ambivalente. Per quanto sottolinei e pensi la distanza, il filosofo (e non solo il professore tedesco) tenderà a riportare sempre alla superficie una sua funzione-guida, o semplicemente il suo idealismo. È la storia della filosofia, perlomeno della filosofia dell'Occidente. In fondo è proprio quello che Heidegger crede nel 1933, quando si illude da filosofo di potere in qualche modo «cavaiAlfabeta 103 care» i fatti politici, di essere lui quello che sta più in alto, al di sopra dei fatti storici. Ed è in fondo anche la tesi del libro di Farias che vede in Heidegger un critico del «deviazionismo» hitleriano. Ecco, se nella filosofia c'è sempre da qualche parte questa sindrome di potenza (anche e forse ancor più nelle filosofie «razionalistiche»), non è che cancellando o censurando questo lato noi irrobustiamo la filosofia. Nella sùa rischiosità, il pensiero resta sempre - in fondo - contraddittoria volontà di potenza e tentativo critico di corrosione; quell'interna .edessenziale autoerosione che nel caso di Heidegger è appunto riconoscibile nel tema chiave della distanza. Marini. Alla domanda se Heidegger abbia avuto un effetto sulla cultura di destra, risponderei senz'altro di no. La «cultura di destra» (anche se l'espressione è discutibile) in effetti, c'era, esisteva: i suoi rapporti anche di amicizia con Jiinger, per esempio, sono veri e le somiglianze o consonanze che sono state trovate con Schmitt, anche se discutibili - esistono dei libri in proposito - sono probabilmente dovute ad un'atmosfera pre-concettuale, ad una situazione storica comune. Il che spiega anche le consonanze con la cosiddetta «cultura di sinistra» (si vedano le tesi di Goldmann su Heidegger e Lukacs). Però, se noi guardiamo all'opera complessiva di Heidegger, ma anche soltanto fino agli anni trenta, queste consonanze sono assolutamente insignificanti rispetto a quelle esistenti tra il pensiero di Heidegger e la fenomenologia husserliana, la tradizione accademica della filosofia e, in particolare, le scuole neokantiane. Soprattutto una certa sensibilità ad un'atmosfera generale di crisi morale lo accomuna ad alcuni rappresentanti del mondo accademico che sapevano forse esprimere in maniera più efficace la loro specifica crisi, quella della coscienza e della funzione «intellettuale». Che poi ci siano stati degli influssi su Heidegger da ques(o punto di vista, io lo escluderei, o almeno: questi non sono facilmente visibili. Le grosse determinazioni del pensiero di Heidegger sono piuttosto il retroterra cattolico e l'esercizio assolutamente accanito della ricerca e dell'insegnamento universitario, la moralità coltivata proprio all'interno delle proposizioni teoretiche che esprimono l'attività e il rapporto sociale più autentico di Heidegger, che era quello con i suoi maestri, con i suoi allievi. Direi che questi sono già in lui due fattori di isolamento: il cattolico è già automaticamente emarginato in gran parte della cultura tedesca specialmente accademica (da sempre appannaggio dei figli di pastore protestante) e lo era in quel tempo forse ancor più di oggi («cattolico» all'interno della cultura tedesca fa certo rima con «popolare», ma anche con «romantico» e «reazionario» se non con «idolatra» e «corrotto»). Il grande lavoro compiuto da Heidegger con Husserl dal 1918 al 1928 non ne ha certo favorito la popolarità, né messo in circolazione il pensiero nel mondo accademico (Husserl dovette lottare contro vecchi pregiudizi per fargli avere borse di studio e incarico d'insegnamento). Ma Husserl era poi, per la sua parte, un personaggio il cui isolamento era proverbiale. Quando nel 1930 tenne quella famosa con-

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