I pagina8 G entile signor ministro, Franco Carraro, siamo in molti ad augurarci che la sua nomina segni l'inizio di una nuova era nella politica dello spettacolo italiano. Lei non è un parlamentare e giunge a questa responsabilità con l'esperienza maturata al vertice del Coni (Comitato olimpico nazionale italiano), Lei è uno sportivo e il mondo del teatro (ma io credo la cultura tutta) ha un grande bisogno di ritrovare le sue regole del gioco. Lei sa che il teatro alle sue origini, in Grecia, era vicino allo sport, era anzi considerato una disciplina sportiva, con tanto di premi, giurie, tifoserie e ambiziosi produttori privati. Col tempo le cose sono molto cambiate, davvero molto: i costi di produzione del teatro possono essere coperti solo da un pubblico molto numeroso e disposto a pagare salatissimi biglietti, da ciò la conseguenza che il teatro «commerciale» può essere di una sola specie. Dato che in Italia lo Stato (e i Comuni e le Regioni) non distingue tra teatro commerciale e non, e dato che il sistema delle sovvenzioni premia più l'abilità politica che il livello artistico, la Sua nomina al dicastero dello spettacolo è vissuta da molti come una incognita e una minaccia. Cosa faremo - pensano - se il ministro venuto dallo sport ripristina le regole del gioco? Che succederà se anziché riconfermare il nostro status il nuovo ministro proporrà dei criteri di selezione più sportivi? Come vede, signor ministro, Lei ha diviso, ancora prima di prendere qualche decisione, il mondo teatrale in due partiti. Due partiti che possono competere anche nel cuore di una stessa persona: perché, si sa, uno Stato che non sovvenziona favorisce una sola specie di teatro, e d'altra parte si vorrebbe vedere la qualità tornare a essere un criterio di selezione. Perciò, immagino, Lei è circondato ora da tante persone che le offrono ponderati consigli. Le ascolti con attenzione ma, se mi consente, cerchi di comprendere anche le ragioni che non giungono al suo orecchio. Tenga presente che i numeri non sono tutto e che ci sono sfumature e zone d'esperienza molto importanti anche se non primeggiano nelle liste ministeriali. Un solo esempio, signor ministro: in un convegno della Columbia University di New York (che non si può certo sospettare di faziosità avanguardista) dedicato ai Recent Trends in Italian Theatre si parla delle personalità italiane più significative del presente; ebbene signor ministro i venti-trenta soggetti che gli studiosi dei due paesi considerano come «campioni» del teatro italiano non ricevono, messi insieme, l'ammontare delle sovvenzioni di un mepiocre teatro stabile garantito dal nostro sistema dei partiti. A Taormina, in occasione della festa per il «Biglietto d'oro» (che in Tv è risultata solo una fiacca sfilata di luoghi comuni), Lei è stato circondato, a quanto riferiscono i giornali, da alcune personalità del teatro italiano e messo in guardia dal procedere a un'elargizione «a pioggia» dei contributi. Le hanno detto che più di trecento compagnie e teatri ricevono sovvenzioni dallo Stato e che un numero così elevato è segno di uno scandalo che deve cessare, poiché un alto livello artistico e professionale non può essere talmente diffuso. Questa, signor ministro, è una mossa antisportiva se significa, come pare, l'intenzione di confermare A più voci Antonio Attisani il sostegno finanziario dello Stato ai campioni delle classifiche ministeriali e di toglierlo ad altri: intendo non solo ai campioni di altre specie in gara, ma anche a coloro che muovono i primi passi nel tentativo di creare un teatro del mondo d'oggi. Se sono troppi trecento soggetti sovvenzionati dallo Stato, sono troppi anche duecento, anche cento, forse anche cinquanta se guardiamo a un'alta qualità artistica. (Io Le auguro, signor ministro, di non riuscire mai a mettere insieme una commissione di esperti talmente omogenea da determinare la specie teatrale vincente.) A dire il vero di teatri in Italia non ce n'è neanche uno, se per teatro intendiamo un luogo di cultura teatrale, un luogo cioè dove esistano degli ensembles arfr,tici •e tecnici stabili, dove il vaglio critico del repertorio e delle tecniche teatrali si accompagni a una sperimentazione profonda sia nel linguaggio che nei modi produttivi, e un luogo in cui possano interagire diverse generazioni, l'anziano con il più giovane ma anche il professionista con il «dilettante» (colui che ha bisogno di verificare una vocazione, che porta gratuitamente idee nuove). Di teatri in Italia non ce n'è, dunque, e allora che facciamo? Sospendiamo ogni forma di aiuto pubblico e stiamo a vedere cosa succede? Teoricamente la soluzione è semplice. Non esistono dei luoghi di cultUJ;ateatrale perché, essendo il denaro pubblico indispensabile, chi fa teatro deve plasmarsi, per ottenerlo, attraverso determinati meccanismi. Nonostante i loro limiti questi meccanismi fino a oggi hanno consentito una certa pluralità delle specie teatrali (più a causa della litigiosità e della indeterminatezza della politica italiana che per merito di autorità lungimiranti). Ma oggi si vuole mettere ordine, e le regole di quest'ordine nuovo vogliono dettarle i più forti (nelle classifiche delle sovvenzioni). Così non va. Non bisogna cedere. Bisogna valorizzare la pluralità delle specie e accettare la diversità delle regole con cui giocano, per esempio, un grande teatro stabile e una piccola compagnia di ricerca; e soprattutto occorre badare che la differenziazione non crei tanti piccoli ghetti incomunicanti. Se l'interazione tra sapere tradizionale e nuove istanze non può avvenire negli stessi luoghi, avvenga almeno sulla vasta scena nazionale e internazionale. E si ristabilisca una competizione basata sulle idee e sulla qualità, non sulle dimensioni, sul numero dei biglietti Il nascondiglio dell'iniquità Alfabeta 102 venduti o sull'ambiguissimo criterio di «professionalità». In pratica la soluzione è più difficile._ Lei, signor ministro, non ha certo una visione idealistica dello sport, Lei sa che la competizione di forti interessi materiali si sovrappone a quella sportiva vera e propria; Lei sa che persino nella mitica Ellade poteva capitare al grande Sofocle di essere scartato agli agoni drammatici in favore di un mediocre sconosciuto, e che già durante il governo di Pericle si cominciò a sovvenzionare il teatro. Lei sa che Platone J ( }
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==