Alf abeta I 02 U mberto Eco si è recentemente interrogato con qualche apprensione sulla vague irrazionalistica del nostro presente (vedi «Alfabeta», n. 101). Girando per gli stand della fiera del libro di Francoforte (ma poteva bastare il metrò di piazza San Babila a Milano), osserva che da ogni parte spuntano alchimia, astrologia, divinazione e magia nera. Ci invita a scavare sotto la superficie del fenomeno e a fare con lui una rapida ricognizione «per identificarne le radici». Eco si sofferma sull'ermetismo del II secolo e sulle sue riapparizioni storiche e tenta poi di combinarne gli effetti con quelli dello gnosticismo in una sorta di modello «ermetico-gnostico» che si riaffaccerebbe nel nostro secolo e che oggi conoscerebbe un revival particolarmente sensibile. Si tratterebbe, fin dall'inizio, di una «deviazione dalla norma», intendendo per norma la normale razionalità che caratterizza la nostra cultura e che si può riconoscere nella logica del modus ponens ( se p allora q) e della non contraddizione (a = a), codificata una volta per tutte da Aristotele. Questa deviazione produrrebbe, infine, alcuni effetti perversi che Eco chiama «sindromi», la sindrome del segreto e la sindrome del complotto. L'idea che la verità resti avvolta nel segreto rinviando via via a un ignoto sempre più ignoto (e dunque incontrollabile) e l'idea che il .male è già avvenuto prima e sopra di noi alimenterebbero le sue sindromi che risultano così aristocratiche e paralizzanti. Il quadro - che adesso ho cercato di riassumere nei suoi punti essenziali - è costruito con grande acume, invidiabile chiarezza e stringente consequenzialità. Però non è convincente. O, almeno, non mi convince per una serie di motivi che mi provo ad accennare. La vague irrazionalistica (prendendo per buona l'ipotesi di Eco che di «irrazionalismo» si tratti) è comunque un'onda di ritorno. Identificarne le radici è importante ma con questo non è detto perché il fenomeno dovrebbe ripresentarsi come sindrome e proprio oggi. L'ipotesi implicita sembrerebbe quella più consueta e automatica: la «decadenza» dei tempi. Ma allora il «modello razionale» dovrebbe a propria volta essere riguardato come soggetto a cedimenti e dovremmo se non altro interrogarci sul perché di questa sua scarsa tenuta: chiederci se tra le domande di sapere attuali e le risposte vi sia congruità e, verificando che uno scarto esiste, sospettare che le incongruità non stiano solo dalla parte delle domande ma pongano anche problemi non irrilevanti alla «limitatezza» di tale modello. L'argomento di Eco potrebbe infatti es~ere rovesciato. Tralascio le questioni di stretta pertinenza storica (se cioè la ricostruzione del modello ermetico-gnostico, così come ci S cegliendo di svolgere un seminario sull'Etica nel settimo anno del suo insegnamento, Lacan lo contrassegna con un numero simbolicamente pregnante. Preceduto, nel 1958-1959 dal seminario su Le désir e seguito, nel 1960-1961, da quello su Le transfert (ambedue inediti), L'etica della psicoanalisi abbandona apparentemente il terreno della clinica e, in una certa misura anche quello della teoria analitica, per scendere su quello della filosofia. Il confronto con la disciplina che, da Aristotele a Kant, referenti privilegiati, ha affrontato il problema morale, è imprescindibile. Forse l'intento è di contrapporre, a quella di tradizione filosofica, una nuova visione del mondo? Si rischierebbe di dire sì, a patto di intendere per etica lo stile con cui il soggetto assume l'essere gettato nel mondo, e il suo essere per la morte. Un'etica dell'essere piuttosto che del dover essere. Non si tratta però di una riduzione a una posizione esistenziale rovesciata rispetto, ad esempio, alla normatività kantiana, in quanto la necessità del ribaltamento non viene da un esercizio di pensiero, ma da un'evidenza della clinica. Era stata la clinica, infatti, a rivelare a Freud (Al di là de/principio di piacere, 1920) che la pulsione di morte lavora, silenziosa e instancabile, l'essere umano; che A più voci Temi. L'irrazionale ieri e oggi viene offerta dalla sua sintesi, sia completamente accettabile), sulle quali immagino che altri possano più opportunamente di me prendere la parola. E mi chiedo: il gioco tra modellò razionale e altre spinte (che Eco definisce appunto irrazionalistiche) si può ridurre al rapporto tra norma e deviazione? Non credo; e porto a suffragio del mio scetticismo in proposito il fatto che è possibile (e mi pare anche più produttivo) vedere il medesimo fenomeno da una angolatura del tutto diversa. Proviamo allora a considerare il lato non autoritario di queste spinte e a tenere al tempo stesso ben presente il lato autoritario del modello razionale ritenuto normale. D Erik Satie Rispetto al primo punto, possiamo affermare che per tutto il corso della cosiddetta «modernità» (Hegel non escluso, come insistono a dire numerosi studi contemporanei), con evidenza nel caso di Nietzsche ma anche di Freud, e poi palesemente in Heidegger, insomma fino all'ermeneutica contemporanea, la scena filosofica è percorsa non marginalmente dalla esigenza di far «esplodere» il tradizionale modello di ragione aprendo il discorso del filosofo a un territorio più vasto, meno rassicurante, e comunque più ricco. Un esempio banale può essere l'idea di «inconscio». Non è un oggetto tradizionale di sapere e certo rifugge al modus • Temi. Antigone e Lacan essa regola, ostacolando la tendenza al piacere, l'apparato psichico dell'uomo per accompagnarlo al naturale compimento del suo ciclo vitale. La proposta di Lacan non è una visione del mondo nel senso filosofico del termine perché si giustifica altrove. Le sue pezze d'appoggio sono il sintomo, l'atto mancato, il motto di spirito, il sogno: in queste, che si definiscono come formazioni dell'inconscio, si rivela il carattere aporetico del desiderio. Aporetico, vale a dire senza mezzi, incapace di servire il principio di piacere. Il desiderio, lo stesso che regola il sogno freudiano della Traumdeutung, quello incistato nell'ombelico del sogno, nella teoria di Lacan fa parte del registro del reale. Reale e desiderio si congiungono nel nuovo campo da dissodare; sarebbe più opportuno definirlo un campo da recingere, da contornare. Intorno a questa forma del desiderio, che non è soddisfazione di un desiderio (rivalsa per un desiderio diurno inappagato, ad esempio) ma desiderio al secondo grado, desiderio di desiderio, ruota il seminario di Lacan. Affondando nel registro dell'impossibile, il reale, può procedere o affrontando il suo soggetto a contrario - con la traversata filosofica che compie nella prima parte del seminario - o pagina5 I ponens: eppure la filosofia e la nostra cultura non possono farne a meno. Ma è il secondo punto il più delicato. Proprio in quanto definito dai suoi limiti rigorosi, il modello razionale si è rivelato stretto e di conseguenza restrittivo, al punto di dover codificare il rapporto con il fuori nei termini autoritari della norma e della deviazione. Quali sindromi - potremmo chiederci - sono scaturite da questo? Scrive Jung (in un suo saggio divulgativo della fine anni cinquanta): «L'uomo moderno non si rende conto di quanto il suo 'razionalismo' lo abbia posto alla mercé del mondo sotterraneo della psiche». E in ogni caso questo modello, che noi continuiamo a pensare e ad usare come universale, nella sua limitatezza può solo illudersi di disporre di ponti per diventare globale. Scrive Serres: «Siamo lucidi: non abbiamo un operatore che ci permetta di passare dal locale al globale [... ] mentre viviamo su quest'idea classica così particolare che esista una ragione comune al locale e al globale» (Passaggio a nordovest, 1980). La «lucidità» invocata da Serres è qualcosa di evidentemente diverso dal modus ponens e dalle sue catene logiche. Inoltre, contiene un nucleo etico che al'pare in netto contrasto con le sindromi enunciate da Eco. E lo stesso nucleo che possiamo ritrovare anche in Jung o in Heidegger, insomma in tutta la linea di pensiero che Eco non esita a penalizzare come irrazionalistica. A mio parere, la chiave filosoficamente importante di questo «ritorno» consiste proprio nella proposta di un atteggiamento pudico, «debole» se si vuole, e comunque di distanza discreta rispetto a ogni verità che pretenda di essere globale, abbagliante, o comunque già istituita. È curi~so: noi associamo quasi meccanicamente la ragione illuminata alla tolleranza (e alla democrazia), ma se· guardiamo le cose dall'angolo che ho cercato di suggerire il modello razionale ci appare insieme tollerante e intollerante, democratico e autoritario, al punto che le due caratterizzazioni sembrano talora confondersi. Mentre dal cosiddetto «irrazionalismo» ci proviene un sospetto su ogni modello, un invito al dubbio e alla cautela, un'etica del pudore; e questo proprio mentre esso si sforza di mantenere una qualche comunicazione con il territorio che tradizionalmente abbiamo chiamato «il sacro», cioè evitando un taglio netto, un'evocazione in massa degli «dèi» (di tutto ciò che questo simbolo ha tentato di indicare). È perlomeno sintomatico che proprio da qui noi possiamo ricavare una più adeguata consapevolezza della sindrome autoritaria che sembra affliggere il modello razionale . circoscrivendolo con qualche trucco che serva a segnalare che è «lì» il luogo da scandagliare. Il trucco che Lacan impiega consiste nel ricorrere alla lettura della tragedia classica. Un'abitudine certo non estranea neanche a Freud che fonda la sua costruzione teorica sul mito edipico. Lacan lo segue accostando agli eroi della tragedia classica quelli del moderno dramma shakespeariano (Amleto, re Lear). La tragedia racchiude, nel suo cuore più segreto, il peso insopportabile del reale. Questa volta è l'Antigone di Sofocle che funge da segnale per indicare il sito. Viene assunta come portabandiera ideale dell'agire umano, dell'agire analitico, soprattutto, che deve sapersi regolare sul tono più alto e rigoroso di umanità. Antigone funge da modello esemplare di radicalità nel difendere un'etica che risponde solo del desiderio che la abita. L'Antigone di Lacan, va precisato, non è l'eroina cui comunemente si fa appello in occasione di conflitti fra il singolo e la legge che regola la vita della comunità. Pur costituendo ormai un luogo comune della riflessione filosofico-politica, ha ancora da rivelare la potenza di un messaggio finora mai fatto risaltare. Esso si rivela proprio. quando la tragedia adempie la sua funzione, quella messa in eviden-
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==