Alfabeta 102 alfa bis. I pagina XI che, in qualche modo, compensa un'altra caratteristica del linguaggio, quella di separare i segni dalle cose; grazie alla funzione referenziale il linguaggio «riporta all'universo» (come dice Gustave Guillaume) quei segni che la funzione simbolica, all'atto di nascere, aveva separato dalle cose. Ogni discorso viene così ricongiunto al mondo. Se non si parlasse del mondo, infatti, di che cosa si potrebbe parlare? strata dalla parola viva. Il rapporto tra testo e testo, fuori dal mondo della parola, produce il quasi-mondo dei testi o letteratura. che emana dai testi. In questo modo si parla del mondo greco o bizantino. Un tipo di mondo che si può ben dire immaginario, in quanto presentificato dalla scrittura come il mondo stesso era presentato dalla parola; ma quest'immaginario è anch'esso una creazione della letteratura, è un immaginario letterario. Anche il discorso subisce questa trasformazione, quando il movimento dalla referenza all'ostensione viene intercettato dal testo; le parole smettono di affacciarsi sulle cose; le Quando il testo prende il posto della parola accade qualcosa di importante. Durante un dialogo non sono solo gli interlocutori ad essere presenti, c'è anche l'ambiente, la situazione, sono le circostanze del discorso. Ed è proprio in relazione a queste circostanze che il discorso significa pienamente. Il riferimento alla realtà è allora riferimento alla realtà presente «attorno» ai locutori, «attorno», se così si può dire, all'istanza stessa del discorso; il linguaggio è del resto ben equipaggiato per poter realizzare quest'unione: i dimostrativi, gli avverbi di tempo e di luogo, i pronomi personali, i tempi del verbo, in generale tutti gli indicatori «deittici» o «ostensivi» contribuiscono ad unire il discorso alla realtà circostanziale che avvolge l'istanza del discorso. Così, nella parola viva, il senso «ideale» di ciò che vien detto occhieggia al riferimento «reale», per sapere su che cosa si sta parlando. Questo' riferimento reale può, al limite, essere compreso in una definizione ostensiva che attribuisca alla parola la funzione di mostrare, di far vedere. Il senso si esaurisce nella referenza che, a sua volta, muore nell'ostensione. La stessa cosa accade quando il testo prende il posto della parola. Ma il movimento dal riferimento all'atto di mostrare viene intercettato come il dialogo viene interrotto dal testo. Dico intercettato e non soppresso proprio per prendere le distanze da quella che chiamerò l'ideologia del testo assoluto, ipostasi indotta basata, secondo ciò che si è detto, su ipotesi surrettizie. Il testo, come vedremo, non esiste senza referenza. Sarà il compito della lettura, come interpretazione, quella di risvegliare la referenza. Per ora il testo, sospeso e separato dalla referenza, è per così dire «in aria», fuori dal mondo o senza mondo. Spegnendo il contatto col mondo ogni testo è libero di entrare in contatto con tutti questi testi che prendono il posto della realtà circostanziale moparole scritte diventano parole per se stesse. L'occultazione del mondo circostanziale a vantaggio del quasi-mondo dei testi può essere così forte che il mondo stesso, in una civiltà della scrittura, cessa di essere ciò che si può mostrare parlando, identificandosi invece in quètla sorta d' «aura» L'evoluzione del rapporto tra il testo e il suo mondo è la chiave per capire l'altra trasformazione di cui si è parlato, quella riguardante il rapporto tra testo e soggettività dell'autore e del lettore. Ci sembra di conoscere l'autore di un testo perché lo identifichiamo con il locutore della parola; il soggetto della parola, dice Benveniste, è colui che si autodesigna dicendo «io». Quando il testo prende il posto della parola, non si può più propriamente parlare di locutore, nel senso almeno di autodesignazione immediata e diretta di chi parla nell'istanza del discorso; alla vicinanza tra il parlante e la sua parola si sostituisce un rapporto più complesso tra l'autore e il suo testo, grazie al quale l'autore viene istituito dal suo stesso testo restando nello spazio significativo tracciato e iscritto dalla scrittura; il testo è il luogo dove l'autore accade. Ma non accade anche già come primo lettore? L'allontanamento tra il testo e l'autore, fenomeno che riguarda già la prima Jet- -------...__,~--- tura, solleva, in un sol - colpo, l'insieme dei problemi riguardanti il rapporto esplicativo e interpretativo; problemi che nascono in occasione della lettura. Tratto da Qu'est-ce qu'un texte? Expliquer et comprendre, (1970), ora in Du texte à l'action, Paris, Seui!, 1986, pp. 137-159. Il brano tradotto è alle pp. 137-142. - ·- . ,_ --------.. Traduzione dal francese di Pietro Raboni Memorie di Toulon: bagnanti Scrittura secondol'ermeneutica S e dovessimo caratterizzare in breve la peculiarità del- !' ermeneutica del Novecento rispetto alla sua storia precedente, dovremmo probabilmente rifarci al ruolo che vi gioca la scrittura. Non che nella tradizione dell'ermeneutica il testo scritto abbia ricoperto una funzione secondaria: anzi, le esperienze su cui' si modellano le ermeneutiche «regionali», le tecniche dell'interpretazione in cui si radica la protostoria della ermeneutica filosofica, sono connesse alla interpretazione di testi scritti, nella filologia come nella ermeneutica religiosa e in quella giuridica. Testi letterari, libri sacri e codici giuridici, in cui si solidificano e stilizzano le credenze e le norme di una comunità, devono essere di volta in volta restituiti alla attualità, e quest'opera di mediazione è appunto il compito dell'ermeneutica. La stessa natura, entro certi limiti, è intesa come un testo, e persino all'alba della scienza moderna, con Bacone per esempio, la metafora del libro della natura garantisce una complementarità, imper1sabile più tardi, tra indagine naturalistica e strumenti storico-filologici (Bacone è infatti consapevole di quanto la logica della scienza positivistica sembrerà dimenticare, e cioè che la natura come tale, nella sua im-· mediatezza, è muta, e prènde a parlare solo in risposta a domande che gli sian poste da una interrogazione esperta - proprio come i libri, che parlano solo a chi disponga di una preparazione letteraria). L'ironia è però che proprio l'ermeneutica del Romanticismo, che per un verso porrà le basi per una Maurizio Ferraris rifondazione universale e filosofica dell'ermeneutica, di là dalla sua precedente dimensione tecnico-disciplinare, per un altro avvierà un processo di subordinazione del testo e della scrittura di fronte alla parola e alla vita. Il caso di Schleiermacher è esemplare: nella prospettiva schleiermacheriana, l'ermeneutica non si restringe più alla «solitaria considerazione di uno scritto isolato», ma il suo compito diviene comprendere qualsiasi manifestazione significativa del discorso umano, scritto e soprattutto orale, perché ogni discorso, nella misura in cui viene da un altro uomo o persino dall'altro in noi, soggiace alla possibilità di un fondamentale fraintendimento, e dunque richiede una chiarificazione ermeneutica. L'imporsi di una filosofia moderna della soggettivjtà, che Scheleiermacher elabora in consonanza con Humboldt, generalizza l'esigenza dell'ermeneutica: l'individuo è ineffabile, nella sua profondità è deposto un segreto infinito; di fronte a questa oscurità, la possibilità dei rapporti interumani è assicurata da un continuo interpretariato, che del resto non si esaurirà mai proprio perché non si potrà mai chiarire sino in fondo l'oscurità del «tu». Se nell'ermeneutica precedente vigeva il principio secondo cui in claris non fit interpretatio, e cioè che generalmente l'intesa viene da sé, e solo in certi passi particolarmente impervi diviene necessaria una attività interpretativa - qui si muove dal presupposto antitetico secondo cui anzitutto non ci si intende, perché siamo soggetti diversi, e solo attraverso una lunga mediazione si potrà c'onseguire una comprensione reciproca, del resto sempre minacciata dall'equivoco. Ma ciò che più conta è che, qui, l'imporsi della problematièa della soggettività pone in secondo piano la dimensione della scrittura. Quest'ultima non è che uno strumento di mediazione finita tra spiriti infiniti, una traccia mnemonica· che svanisce quando sia veramente compresa, e cioè superata da un atto di intelligenza che si rivolge verso un altro soggetto. Così la stessa interpretazione dei testi letterari (di quei testi, cioè, a cui la modernità allega enfaticamente il maggiore spessore di scrittura) mira a oltrepassare la· lettera per giungere allo spirito. Conformemente a una estetica della genialità che, da Kant in avanti, non ces-
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