Alfabeta - anno IX - n. 102 - novembre 1987

Alfabeta 102 O gni tanto mi capita di incontrare qualcuno (giornalista, operatore culturale, addetto di qualche Ente) che mi domanda che cosa sia cambiato da quando uso il computer per scrivere, prendere appunti, giocare, memorizzare dati. Inevitabilmente, sono imbarazzato. I casi infatti sono due: o il tale non sa assolutamente nulla di calcolatori elettronici, e non sa nemmeno di cosa stia parlando; o invece possiede l'ordinatore da più tempo di me, e quindi potrebbe benissimo risparmiarsi domande a cui sa rispondere da solo e su cui io non ho nulla di intelligente da dire (e nemmeno di normale). Lo sapete come vanno le cose, no? L'incompetente finge di saperla lunga, e chiede per esempio: «che ne sarà di questo passo della creatività?»; oppure: «l'intelligenza artificiale minaccerà la Libertà dell'Uomo?». E di solito il primo è un exsettantasettino e il secondo è di Comunione e Liberazione. Il saputo, invece, ti inonda di domande tecniche, del tipo: «secondo lei che cosa accadrà quando disporremo di un framework collegato a un videodisco che sia capace çli analizzare digitalmente le fotografie?». Imbecilli, l'uno e l'altro. Più o meno ripetono le questioni poste ai tempi dei nostri antenati dopo l'invenzione dell'automobile o della radio. Dirò subito, infatti, che per me il computer è come l'automobile. È uno strumento. È un oggetto più moderno rispetto alla macchina da scrivere, alla lavagna magnetica e allo schedario di cartone, e in più li unifica tutti. Anche l'automobile aveva la stessa funzione rispetto alla bicicletta, al tram e al carretto portabagagli. È più veloce, è più rapida, e unifica tante qualità di una intera serie di oggetti. Detto questo, io non so veramente esporre nulla di più. Anche perché, francamente, io il computer lo adopero solo da un paio d'anni. Fra tutti i miei amici e colleghi di Bologna, per esempio, credo di essere stato l'ultimo e il più resistente. Forse per snobismo. Forse perché se c'è una cosa che odio nella gente è il fatto di cominciare a parlare in gergo il giorno dopo l'acquisto, e atteggiarsi a ingegneri elettronici quando al massimo si è imparato a scrivere due righe di seguito correggendo gli errori sullo schermo. Fatto sta che io solo questo so fare, anche se mi sono ovviamente provvisto dei programmi più sofisticati e dei giochi più arditi. So solamente scrivere ben.e dei testi. E penso che non sia neppure tanto poco. Ritorniamo allora all'imbecille che mi domanda pareri su cose che o lui o io non sappiamo. Il vero problema non è piuttosto quello di che cosa non cambia affatto nel possedere un computer? Io sono stanco dei discorsi sulla «vita rivoluzionata» dalla meravigliosa macchina. Non è vero. O meglio, è vero, ma nella stessa misura in cui rivoluziona la vita un frullatore o la macchina impastatrice o il televisore piatto o la segreteria telefonica. Semplificano la vita. Contribuiscono al comfort. Diciamoci la verità: che cosa ci fa uno come me, uno cioè che scrive, con un computer? Ci scrive meglio. Fine del film. E insisto che non è affatto poco. Ma restiamo alla domanda: che cosa non cambia possedendo il computer? Consentitemi, per giocare un po', di dilungarmi sulla faccenda. Ho già detto che la scrittura, in verità, non subisce grandi mutamenti. Capisco la tesi di quelli che sostengono che prima dell'ordinatore non riuscivano a scrivere e che dopo invece sì. Ma queMemorie del balletto russo: Serge Diaghilev/LéonBakst sto non è un «merito» della macchina. La macchina consente di risolvere un problema di quei signori, che poteva essere psicologico (horror scripti, o ipercorrezione) o tecnico (ignoranza, desuetudine). Insomma: il computer in quel caso vale non perché sia dotato, ma perché funge da sostituto. E costa anche meno di uno psicoanalista o di un aio. Ma prendiamo un signore normale, uno che già scriveva direttamente alla macchina da scrivere senza troppi intoppi mentali. Ebbene, costui lavora esattamente come prima. Solo, un pochino più rapido, perché le eventuali correzioni non costringono a riscrivere una pagina. Ma, a pensarci bene, è proprio vero? Io non la riscrivevo la pagina correggendo. La sporcavo un po'. Dunque l'eventuale differenza non è di guadagno di tempo, perché anzi adesso correggendo ne perdo di più, e addirittura correggo per il gusto di giocare con le correzioni. La differenza è estetica. Oggi è «bello» consegnare a qualcuno alfa bis. l una pagina perfettamente a posto, senza ortogrammi sbagliati, giustificata a sinistra, già perfettamente calcolata nel numero delle battute, e archiviata senza bisogno di conservare carta inutile e voluminosa. Ma allora: è soprattutto questo surplus estetico (e peraltro: di un'estetica del dattilografo) che ci compriamo con l'ordinatore. Acquistiamo la patinatura cartacea di coloro che hanno delle segretarie. Inoltre, c'è il comfort, naturalmente. Devo ammettere che il piacere del silenzio della macchina è grande. E che l'idea di poter «battere» anche di notte, senza che la mia vicina possa protestare come ambirebbe, mi delizia. E che posso ritrovare questo mio scritto senza scartabellare fra pacchi di carta ammuffita o ingiallita in cantina, mi piace. Però, diciamocelo, in un caso come il mio, la carta resta. Il computer non mi toglierà mai quel sottile piacere della metamorfosi che avviene, come aveva notato Lotman, quando vedi il tuo dattiloscritto trasformato in stampa. Un piacere che si realizza raccogliendo in album e in estratti e in fascicoli e in libri quel che hai scritto. e 'è un'altra cosa che non cambia, ed è ancora più marginale. Si tratta del gioco solitario. Non so voi, ma io molto spesso amo fare cose solipsistiche. Tipo: giocare a scacchi o a bridge o a qualche altro esercizio mentale da solo. Anche ·qui, il computer migliora la situazione. Psicologicamente, tu sai bene di essere solo. Però compi quel grande esperimento mentale che è lo sdoppiamento di te stesso. Fingi di essere anche un altro, però bravo, dotato, capace (o l'inverso) quanto te. Il computer lo fa meglio. È il tuo perfetto schizoide. Molto divertente. Soprattutto quando poi ti permette di giocare a flipper o a un videogame senza dover frequentare i bar affollati di ragazzini, cosa che dopo una certa età diventa sgradevole nonché un po' umiliante (il ragazzino è più agile percettivamente, ammettiamolo), e ti fa fare delle figuracce. Terza cosa immutata e immutabile: la meraviglia. Ancora, e per qualche tempo residuo, mostrare il computer e certe sue· capacità agli amici fa qualche effetto. Innanzitutto agli amici che non ne conoscono nulla. perché certi automatismi soprattutto grafici stupiscono non poco. Aci esempio: col mio Olivetti M 2-+ rnn hard disk io posso far comparirL' sullo schermo il diSL'~nn lki L'PSililktti «frattali». una partiL·11LlrL!,''.L'l1111L'- tria molt11hL•ll;i ;1, c,kr,i. :\111~1L'rve da\\cn1 a lllL'lllL'. \Lt Lt un cfpagina VII Ma la cosa funziona anche con gli amici «esperti». Quante volte vi sarà capitato di incontrarvi con persone le più varie per uno «scambio programmi» (come nelle serate al bar con gli amici e in libera uscita da mogli e fidanzate). Io ti dò questo data base superperfezionato, e tu mi dai il nuovo programma di scrittura. Hai visto questo piccolo «sistema esperto»? Un capolavoro, ti assicuro! E il «pcfile»? È più veloce! Nulla di questi programmi viene effettivamente usato dalla maggior parte degli utenti individuali. Però è molto bello averli, scambiarli, discuterne. Ci si sente quasi quasi un po' della Olivetti o della lbm o della Appie (non per nulla aziende in cui lavorare è oggi un segno di prestigio sociale). Il mio sogno è un giorno inserire nel mio hard disk tutta la lista delle mie diapositive di quadri, poi darne delle descrizioni, e poi permettermi di domandare al computer cose come: «rnglio la lista di tutti i dipinti fra il 1-+78e il 1513 in cui siano state raffigurate foglie d'albero tonde e rosse». Io so effettivamente come fare. Però, occorrerebbero tre anni di lavoro per infilare nella macchina tutti i dati di base necessari. So quindi che non lo farò mai. Ma il programma, intanto, ce l'ho. L'ultima cosa che segnalo come invariata è il litigio. Mettiamo che avete un solo pc in famiglia, e che più d'uno lo sa usare. O avete ben chiarito chi è il padrone, o accadrà come per l'uso della macchina e per la scelta del canale televisivo la sera. Sono guai. Altro tipo di litigio è quello sentimentale. Accade sovente, infatti, che il mafettaccio straordinario. Ancora: possiedo un programma che fa l'oroscopo, anzi addirittura la carta del cielo; e le signore vanno in visibilio. Per i più razionalisti, ho un programma che invece disegna il cielo quello vero, astronomico, in qualunque momento della storia umana, e in qualunque parte del mondo. Per i ragazzi, posso mostrare giochi automatici di scacchi, bridge, dama, monopoli, strip poker, e praticamente tutti i videogames conosciuti. Insomma: un luna park dom~stico, la cui inutilità è palese ma il cui piacere è estremo. Ebbene: ma non accadeva lo stesso con altri oggetti nel passato? Non facevamo vedere agli amici altre piccole meraviglie acquistate per ogni dove? Insomma, siamo alla variazione, non alla novità. Con il comodo che tutto sta lì, in quell'oggetto tutto sommato non troppo ingombrante. ~ schio sciovinista si appassioni della sua nuova macchina (uno schermo nuovo a colori, una nuova stampante, un problema di programmi) oltre il lecito, e tratti con indifferenza o distrazione la sua compagna (il suo compagno). Disastro. Nessuno sopporterà di essere trascurato in favore di un oggetto. Niente è diverso da un tempo. Ricordate la canzone? «Perché perché/la domenica mi lasci sempre sola/per andare a vedere la partita / di pallone ... ». Solo è tutto molto più tecnologico. Ha un aspetto più intelligente. Dà meno sensi di colpa. È più calvinista e neocapitalista: giocare col computer non solo diverte, ma sembra di lavorare. Ho un po' scherzato, ma neanche troppo. Quello che volevo dire è che la domanda «cosa non cambia col computer?» fa scoprire delle straordinarie risposte. Forse non sono immense e siderali come i Grandi Interrogativi. Ma sono più interessanti. Ci fa scoprire ad esempio che il computer, lungi dall'essere la straordinaria novità da molti preconizzata, è soprattutto un «trasformatore» di gusti e comportamenti. Da quando c'è lui pensiamo al nostro piacere e al nostro quotidiano non in modo differente, ma soltanto in una «forma» confortevolmente differente.

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