Alfabeta - anno IX - n. 102 - novembre 1987

pagina VI S embra che Agostino, vescovo di lppona, riferisse con meraviglia il fatto che Ambrogio, vescovo di Milano e suo maestro, usasse leggere in solitudine semplicemente con gli occhi, senza cioè accompagnarsi con la voce, come facevano tutti a quel tempo. Questa annotazione getta una luce particolare sul rapporto tra parola scritta e parola parlata, facendoci riflettere sul fatto che il loro rapporto non è sempre stato quello che intrattengono ora. Fino all'epoca di Ambrogio e Agostino insomma, sembra che la parola scritta dovesse essere letta a voce alta per poter essere compresa; in qualche modo cioè, le lettere sulla carta non formavano parole nel senso pieno del termine: esse, più semplicemente, erano il segno di suoni che, se pronunciati in maniera concatenata, formavano parole. Ma la parola era solo verbale, e la scrittura era un semplice espediente con- \ Omaggio a Paul Morand alfa bis. 1 Alfabeta 102 Parolae scrittura elettronica servativo, un po' come resta ancora oggi la notazione musicale per chi la sa leggere (eccezion fatta per quei pochi - paragonabili al sapiente - che la s.1nno leggere anche senza solfeggiarla o eseguirla). Nonostante questo, probabilmente già all'epoca di Agostino linguaggio scritto e linguaggio parlato differivano in notevole misura, e se è vero che la parola era ancora solo parola pronunciata, certo essa era diversa quando si presentava come parola letta e quando come parola nel discorso. Poiché in seguito questa dicotomia si è divaricata ulteriorment~ in parola scritta e parola parlata, avendo tutti (tutti coloro che sapevano leggere) imparato a leggere senza pronunciare, la lettura in solitudine e silenzio ha probabilmente trasformato il modo di scrivere, allontanandolo forse ancora più dal modo di parlare. rP Daniele Barbieri Un qualsiasi normale parlante di una lingua non ha in generale la minima difficoltà a riconoscere uno stile «colloquiale» anche quando riportato per iscritto, così come di solito si capisce immediatamente quando un oratore improvvisa e quando invece legge, per quanto ispirata sia la sua lettura. A me da ragazzo spiegavano che il linguaggio parlato è più ridondante - e questo è senz'altro vero, ma certo c'è di più. E forse possiamo andare un po' più a fondo nelle motivazioni di questa differenza, tenendo comunque ben presente che si tratta di qualcosa che si tramanda nei secoli, e che di conseguenza queste ipotetiche ragioni devono venir considerate in stretta connessione con una tradizione che col tempo viene a contare assai più di loro. Possiamo dunque figurarci che poiché le parole scritte rimangono, a differenza di quelle orali, che volano, chi le scrive sia portato più a riflettere sul loro contenuto, e a dosarle molto più di un avventato oratore. Ma bisogna anche tener presente il fatto tutt'altro che trascurabile che la scrittura è un investimento economico, e come tale va compiuto con cautela. Si tratta di un investimento economico a molti livelli, dal costo vero e proprio di stampa e diffusione, al più banale, ma non meno significativo, dispendio di energie personalì nell'atto materiale dello scrivere. Se ci figuriamo l'opera dello scrittore tradizionale, che scriveva a mano con penna d'oca spesso con scarsa illuminazione, e doveva poi copiare in bella quello che già aveva scritto una volta, e che rischiava continuamente di dover rifare parte o tutto il lavoro se si accorgeva all'ultimo momento di aver commesso un errore madornale - o anche se gli veniva una nuova idea - e se consideriamo, al di là di questo, il lavoro di tipografi che devono comporre a mano decifrando pagine di calligrafia probabilmente non sempre ideale, eccetera eccetera - se ci figuriamo tutto questo, probabilmente saremo più inclini a pensare alla minore ridondanza del linguaggio scritto anche in termini di vera e propria economia. B ene. Che cosa succede allora quando il progresso della tecnica rende sempre più semplice e sempre meno faticosa la produzione di parola scritta? Tutto sommato, a ben guardare, la vera rivoluzione è avvenuta solo ora. La rivòluzione precedente, quella che ha sostituito la macchina da scrivere alla penna, non ha migliorato gran che la situazione, dallo specifico punto di vista di chi scrive: n0n per tutti, infatti, scrivere a macchina è più agevole che scrivere a mano, e il problema della bella copia rimane comunque immutato (tranne per i fortunati che scrivono senza bisogno di fare poi correzioni, o per chi si può permettere una dattilografa - ma per loro anche scrivere a mano non significava dover poi ricopiare). Inoltre, la macchina da scrivere è rumorosa, e non tutti sopportano che il ticchettio si mescoli ai pensieri, preferendo alla fine ancora la silenziosa penna. Con la scrittura elettronica molte cose cambiano. Il calcolatore è silenzioso, permette di correggere il testo tutte le volte che si vuole prima di stamparlo, permette di stamparlo e poi di correggerlo e di stamparlo di nuovo. Permette di • spostare blocchi di testo da una zona all'altra dello scritto. Permette di utilizzare frammenti di testi già scritti per assemblarli in uno scritto nuovo. Permette insomma qualsiasi tipo di operazione economica, fornendo inoltre in ogni momento l'immagine del testo perfettamente impaginata, pronta per la stampa. Il concetto di bella copia di conseguenza tramonta per sempre, perché ogni copia è in sé brutta o bella copia, a seconda di quello che decidiamo di farne; e produrre dieci copie, che differiscono tra loro di una virgola o di un punto e virgola costa talmente poca fatica che a volte ci capita di farlo. Non è escluso insomma che, essendo più facile produrre parola scritta, sia anche più facile produrre parola scritta scadente, buttata lì, prodotta in velocità. Non è escluso che l'altro argine, quello del verba manent, possa venire più o meno parzialmente sfondato da questa liberazione dalla fatica. Un'altra rivoluzion_e, probabilmente ancora più decisiva, è comunque sul punto di esplodere. Coloro che pensano che stiamo esagerando provino a riflettere su quello che potrà accadere quando i sistemi di dettatura elettronica oggi in corso di perfezionamento saranno buttati sul mercato, e diventeranno tanto comuni quanto lo sono oggi i sistemi di word processing. Allora davvero la fatica dello scrivere sarà ridotta a talmente poco da invitare la parola scritta a venire a somigliare quanto non mai alla parola parlata. L'argine più grosso, certo, e più grosso ancora del verba manent, è quello della tradizione. Chi legge non si aspetta di leggere parole nello stile del discorso verbale, e può restarne urtato, sfavorevolmente colpito. Chi •scrive certo non può non considerare attentamente questo fatto: il superamento della fatica di scrivere non implica il superamento della fatica di leggere. Poiché un discorso scritto può venire facilmente riletto, non richiede lo stesso tipo di insistenza di un discorso verbale. È vero che potremmo avere in pochi anni anche dei lettori automatici, che trasformino in parola verbale qualsiasi testo scritto, compiendo definitivamente per noi quel salto che ancora ci rimane. Ma in realtà abbiamo ben poco bisogno di simili strumenti. Radio, televisione e strumenti di registrazione permettono di trasmettere la parola verbale senza nessun bisogno di passare attraverso il pesante supporto della scrittura. Se usiamo ancora la scrittura, e se ·continueremo ad usarla, non è solo perché la nostra storia l'ha usata - e dobbiamo conoscerla per leggere quei testi, così come dobbiamo conoscere il greco per leggere davvero Platone - ma perché la parola scritta (anzi, letta) offre davvero dei vantaggi rispetto a quella parlata, oltre a quello della permanenza (il quale, come abbiamo visto, non è più di sua esclusiva pertinenza). Vantaggi di comprensibilità, di chiarezza, tutti i vantaggi insomma che ha quello che è statico rispetto a quello che è coinvolto dallo sviluppo temporale. Questa è la ragione di fondo per cui le modifiche nella scrittura che le nuove tecnologie possono portare entreranno in gioco nonostante tutto molto lentamente, interessando soprattutto i testi di facile e veloce lettura, come i testi giornalistici - quelli insomma che potrebbero facilmente venire sostituiti da analoghi testi discorsivi della televisione o della radio. L'aspetto suggestivo di tutta la faccenda - o almeno un aspetto che a noi pare suggestivo - si ricollega alla storia di Ambrogio che legge. Prima di lui ogni lettore leggeva ad alta voce, declamando anche nella solitudine per sé, perché le proprie orecchie potessero capire. Presto o tardi avremo uno scrittore che scriverà ad alta voce, magari in solitudine, perché possano capire le orecchie di un apparato elettronico che le traduca per gli occhi - muti - dei lettori.

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