pagina IV Susan Petrilli. Dalla semiotica del sociale umano c'è stato uno sviluppo nella direzione della zoosemiotica: che ruolo svolge la zoosemiotica oggi nel campo delle scienze umane? Thomas A. Sebeok. È chiaro che la semiotica ha due aspetti: lo studio del verbale (vale a dire la linguistica) e lo studio del nonverbale. Tuttavia, ciò che gran parte dei semiotici non addestrati in biologia non capisce è che la semiotica del nonverbale è un campo enormemente vasto che include non soltanto il comportamento umano nonverbale - costituito di circa il 99% di ciò che gli esseri umani fanno - ma anche un intero vasto mondo di milioni di animali. Inoltre, include la semiosi delle piante e altri tipi di semiosi come quelle che avvengono all'interno del corpo, per esempio, il codice genetico, il codice immunologico, e altri tipi di meccanismi interni. Perciò, in termini di pura quantità, è la semiosi nonverbale che sommerge quella verbale. Tuttavia, il verbale è naturalmente di grande importanza per questo angoletto del globo che gli esseri umani occupano e in cui operano. Così è in questo senso che, secondo me, un semiologo completo dovrebbe studiare sia la semiosi verbale che la semiosi nonverbale. Non è possibile semplicemente restringere i propri interessi-semiotici agli esseri umani senza dover trascurare circa il 99% del mondo. La natura, io credo, consiste per circa il 99% di cose diverse dagli esseri umani. Petrilli. Nel suo libro I Think I Ama Verb, come del resto nell'intera sua produzione scientifica, lei parla di continuità fra il mondo animale e il mondo umano ... Sebeok. Certamente c'è continuità nel senso che c'è evoluzione. Gli esseri umani sono un prodotto dell'evoluzione e il genere homo ha inventato questo interessantissimo codice che è il verbale, ma quest'ultimo esiste soltanto nel genere homo e nelle poche specie che il genere homo occupa. È chiaro che c'è continuità, perché tutto il mondo è interconnesso. Petrilli. Al livello della comunicazione interpersonale si direbbe che l'uso del verbale caratterizza gli Ominidi, laddove invece il non verbale... Sebeok. Direi che il nonverbale è il criterio della vita. Tutta la vita funziona con segni nonverbali. La vita umana funziona con due tipi di segni - quelli nonverbali e quelli verbali. Petrilli. Credo si possa rilevare uno sviluppo della informatica sul piano tecnologico e invece un ristagno sul piano dell'intelligenza artificiale che riguarda il linguaggio (apprendimento e insegnamento linguistico, traduzione ecc.). Lei che ne pensa? Sebeok. È una questione di opinione! C'è un libro sull'argomento alfa bis. 1 comumcazione Intervista di Susan Petrilli a Thomas A. Sebeok di un certo Beninger che descrive ciò che egli chiama la «società di informazione». Vengono presi in considerazione Peirce e la sua semiotica fino ad arrivare alla informatica moderna, l'intelligenza artificiale, il computer e così via. Si tratta di un libro autorevole e assai interessante sull'argomento che senz'altro consiglio. Tuttavia, vorrei aggiungere qualcosa. Io credo che possiamo aspettarci nel futuro un numero sempre più alto di conversioni fra esseri umani da una parte e le macchine dall'altra. Esiste un intero nuovo campo che produce organismi denominati cyborg, vale a dire, animali completati da parti meccaniche. Per esempio, l'ingegneria genetica è in gran parte fondata sulla combinazione di congegni meccanici e essere viventi. Io sono certo che possiamo anticipare una nuova forma eventuale di evoluzione che produrrà questi organismi per metà organici e per metà creati meccanicamente. Ciò sembra utopico, ma credo stia per realizzarsi. Basta considerare, per esempio, il cuore artificiale, gli arti artificiali, ecc., questo tipo di produzione continuerà e si svilupperà. Così io credo esisteranno queste cose curiose per metà organiche, per metà inorganiche. L'intelligenza umana in generale è già enormemente accresciuta dai computer. Voglio dire che con i computer possiamo fare ciò che prima era impossibile fare, se non dal punto di vista della qualità certamente per ciò che riguarda la velocità, anche se ritengo che pure la qualità sarà perfezionata. Mancano solo pochi anni perché i computer, i satelliti e altri robot, la robotica insomma, non siano più cose separate bensì parti integrali di processi organici. È questa, secondo me, la direzione in cui si svilupperà il futuro. Petrilli. Che cosa ne pensa dell'origine del linguaggio verbale spiegata presupponendo un linguaggio gestuale? Sebeok. Proprio su questo argomento ho scritto un articolo intitolato The Origin of Language [ v. I Think I Am a Verb, cit.]. Il nocciolo della questione, e credo che questa sia anche la spiegazione del perché la ricerca in questo campo si sia bloccata, sta nel fatto che bisogna fare una netta distinzione fra il linguaggio (language) da una parte e il discorso (speech) dall'altra. Fino a quando il linguaggio e il discorso verrano confusi non ci potrà essere progresso. Io sostengo che il linguaggio è apparso circa 2 milioni di anni fa nella sequenza indicata dai paleontologi come: homo-homo habilis-homo erec~ tus, ecc. Si trattava di un adattamento evolutivo. Ma è un errore fatale considerare il linguaggio come un congegno comunicativo. Il linguaggio è un congegno di modell~zione. Tutti gli animali hanno modelli mentali o rappresentazioni mentali del mondo. Anche il linguaggio è un congegno di modellazione, una rappresentazione mentale del mondo che, tuttavia, si differenzia da tutti i modelli animali nella misura in cui ha una caratteristica che questi non hanno e che i linguisti chiamano sintassi. Ora, éon la sintassi gli esseri umani sono in grado di smantellare il modello come se fosse fatto di pezzi di costruzione e rimetterlo insieme in un numero infinito di modi. Con la sintassi si possono smontare le frasi e riagganciarle in modi diversi. È precisamente in virtù di questa capacità che gli esseri umani possono non soltanto produrre mondi alla stessa maniera degli animali ma possono produrre mondi possibili, come diceva Leibniz. Leibniz diceva che esiste un numero infinito di mondi possibili, e infatti con questo tipo di modello sintattico si possono produrre un numero infinito di gegno accrebbe a sua volta le capacità nonverbali che gli esseri umani già possedevano. Siamo tutti in grado di esprimerci nonverbalmente mediante le espressioni del volto, degli occhi, con le mani, le posture del corpo e in molti altri modi. Siamo in grado di operare su due livelli: il verbale e il nonverbale. Ma ciò è stato possibile soltanto quando il linguaggio si trasformò in discorso e questo, io credo, è uno sviluppo assai recente di circa 500.000 anni fa. Questa è la tesi che io sostengo nel mio articolo cui prima ho accennato. Petrilli. Così, potremmo dire che il linguaggio è semmai la capacità potenziale del discorso... Sebeok. Diciamo piuttosto che il discorso presuppone il linguaggio, ma il linguaggio non implica necessariamente il discorso. Esistono molte creature che pur avendo il linguaggio sono prive di discorso. Il mondovissutoe narratodalledonne G. Paley PICCOLCIONTRATTEMPI DELVIVERE A. Wimschneider LATTED'AUTUNNO J. Rhys VIAGGIONELBUIO M. Atwood LADYORACOLO F.Enchi ONNAZAKA E.Joubert ILLUNGOVIAGGIO DIPOPPINEONGENA E.Burgos . MlCHIAMORIGOBERTMAENCHU M. Rodoreda ALOMA BuchiEmecheta CITTADINDAISECONDCALASSE parti: ogni storiograf9 costruisce un passato, che è soltanto un modello; si può immaginare un futuro, come fa la fantascienza, e si possono immaginare tanti tipi di fantascienza; si possono costruire teorie scientifiche, creare poesie liriche, si può immaginare la morte, si può parlare di unicorni: cose che soltanto gli esseri umani possono fare. Ora avendo sviluppato questo interessante meccanismo di m~dellazione, quando due milioni di anni più tardi (vale a dire molto recentemente, circa 400.000 anni fa) apparve lo homo sapiens, intorno a quel periodo divenne possibile esternare il linguaggio ed organizzarlo nel modo lineare da noi chiamato discorso. A questo punto, e non si tratta di ad-attamento (adaptation) bens1 di ex-attamento (exaptation), quando il linguaggio fu esternato in quanto discorso esso divenne anche un congegno per la· comunicazione, e tale conGIUNTI Petrilli. Nelle teorie dell'apprendimento linguistico spesso, credo, che si sia trascurato il ruolo dell'icona. Quale importanza ha l'icona non soltanto nelle teorie del- /' apprendimento linguistico, ma nei modelli di automi e quindi nelle intelligenze artificiali che si vogliono costruire sulla base delle teorie dell'apprendimento linguistico? Se si pensa a Chomsky, non c'è nessun riferimento nella sua teoria del!'apprendimento linguistico al ruolo della similarità, dell'immagine, insomma dell'icona. Sebeok. Ciò non è del tutto vero. Si tenne una conferenza sui modelli all'Università di Stafford negli anni sessanta. Chomsky era uno dei relatori principali. Tutto diventa chiaro quando si considera che cos'è un modello: un modello è una analogia. È, per così dire, una miniatura, una rappresentazione mentale di qualcosa. Un modello, qualunque esso sia, è Alfabeta 102 presumibilmente collegato alla cosa che rappresenta mediante l'analogia, la similarità. Di conseguenza un modello può essere definito come un segno con un fortissimo valore iconico. Per poter funzionare il modello deve avere una qualche rassomiglianza all'oggetto che rappresenta. Quanto sia questa rassomiglianza è un'altra questione. È possibile anche un livello basso di similarità, per esempio, la formula matematica A+B=C è l'icona di un rapporto e A B e C possono rappresentare quasi qualsiasi cosa. Non vi è necessariamente la similarità, ma vi dev'essere un'analogia fra la formula e ciò per cui la formula sta. Analogamente il linguaggio in qualche modo modella l'universo e deve avere quindi un rapporto iconico con l'universo. Ora, come scrisse Jakobson in un famoso articolo intitolato Quest for the Essence of Language, apparso originariamente nella rivista «Diogenes» [ trad. it. in , I problemi attuali della linguistica, Bompiani, 1969], esistono casi in cui il linguaggio è altamente iconico. Per prendere l'esempio di Jakobson: Giulio Cesare disse «veni, vidi, vici», Jakobson chiede perché pronunciare «veni, vidi, vici» e non «vici, vidi, veni», e risponde che Cesare ovviamente pronunciò quelle parole nell'ordine che conosciamo perché si trattava di una rappresentazione iconica di ciò che egli realmente fece. Prima venne, poi vide ciò che doveva vedere e quindi conquistò, non poteva far ricorso all'ordine opposto perché esso sarebbe stato senza senso. Perciò questa frase è fortemente iconica. Per dare un altro esempio, se le chiedo come si arriva da Urbino a Bari, ovviamente mi dirà che si va qui, poi lì ecc., e se io faccio una mappa di ciò che lei descrive, essa sarà una rappresentazione iconica del rapporto fra Urbino e Bari. Sarebbe completamente assurdo se mi si descrivesse tutto alla rovescia: la descrizione dev'essere iconica, altrimenti creerebbe confusione, oppure si tratterà di uno scherzo. Quindi alcune situazioni linguistiche sono fortemente iconiche. Paolo Valesio ci offre degli esempi al livello del suono, cioè al livello fonologico [v. Icone eschemi nella struttura della lingua, in A. Ponzio La semiotica in Italia, Dedalo, 1976]. Altre rappresentazioni linguistiche sono iconiche ma non in maniera cosi ovvia. L'altro esempio di Jakobson si riferisce all'uso del comparativo, come nel caso di big, bigger, biggest. Jakobson sostiene che a mano a mano che si passa da big al comparato bigger e al superlativo biggest (e in italiano da grande a più-grande e grandissimo), le parole diventano più lunghe o, per lo meno, non più corte. Così l'intensità del confronto è riflesso nel numero dei fonemi.
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