Alfabeta - anno IX - n. 102 - novembre 1987

Alfabeta 102 fuori, che «crea la presenza di ciò che è lontano» (O., p. 51), di ciò che è estraneo, altro, differente. Io non sono che il tramite di questo sentire. La condizione del forte sentire è la rinunzia alla soggettività, il farsi nulla e nessuno, il farsi «la vita nel deserto» (O., p. 407). Il farsi cosa e il farsi fiamma, la corporeità più carnale e l'amore più intenso coincidono nel forte sentire: l'amour fou sorge a partire dal momento in cui sento il mio e l'altrui corpo tanto esterno ed estraniato quanto una cosa. Il forte sentire apre perciò un orizzonte emotivo completamente differente tanto da quello della contestazione quanto da quello del post-modernismo. L'alto profilo intellettuale Il secondo punto sul quale la nuova tendenza si differenzia radicalmente sia dal post-modernismo, sia dalla contestazione riguarda lo statuto dell'intellettuale. La figura di Michelstaedter è lontanissima vuoi dal basso profilo dell'intellettuale post-moderno vuoi dal ruolo direttivo del contestatore. Anche su questo piano bisogna avere il coraggio <liriconoscere che l'omologazione verso il basso di tutte le attività intellettuali, che dura dalla seconda metà degli anni settanta, ha esaurito i propri effetti positivi. La perdita di aura, la demitizzazione, la secolarizzazione delle attività intellettuali rispondeva ad una esigenza più che legittima: evitare che la cultura restasse separata, isolata, estranea all'impetuosa e tumultuosa crescita della società dell'informazione. Il duplice processo di socializzazione della cultura e di culturalizzazione della società, che la strategia del basso profilo ha messo in moto, ha consentito all'intellettuale di passare dal ruolo negativo della trasgressione tipico di tanto pensiero negativo degli anni settanta ad un ruolo positivo, manageriale, performativo. L'intellettuale post-moderno è privo di determinazioni, perché il suo lavoro non consiste nel creare un'opera duratura, né nel proporre o sostenere una qualche teoria o concezione del mondo, bensì nel far circolare quello che è dato. Questa strategia è stata fin troppo vincente: l'intellettuale postmoderno soccombe al suo successo. L'identificazione tra cultura ed intrattenimento, perseguita fino alla trivialità, fa sorgere proprio all'interno della civiltà del loisir la richiesta di una figura intellettuale e di un'opera creativa . ad alta definizione che faccia con- ' trasto con l'indeterminazione performativa post-moderna. È a partire da questa esigenza che la figura e l'opera di Michelstaedter possono essere riscattate dalla marginalità metastorica in cui sono state mantenute per tre quarti di secolo ed acquistare un rilievo ed una importanza centrali nel pensiero europeo e nella letteratura del Novecento. Questa esemplarità non ha nulla che fare con il ruolo direttivo che la contestazione attribuiva all'intellettuale: la società attuale non cerca dei maftres à penser. Né Michelstaedter ha mai voluto esserlo: alla persuasione non si arriva in massa, «la via della salute non è una corsa da omnibus, non ha segni, indicazioni, che si possano comunicare, studiare, ripetere» (O., p. 65); «ogni valore messo come valore assoluto è un arbitrio e chiunque a quel valore si affida e lo incarica di ciò che pesa a lui resta invalido per sempre. Ma ognuno deve fare da sé la rivoluzione, deve ricrearsi da sé se vuole giungere alla vita» (O., p. 700). Questa estrema rivendicazione della singolarità e dell'autonomia delle esperienze è compendiata dalla frase: «si duo faciunt idem, non est idem» (O., p. 65). In fondo tanto l'intellettuale della contestazione quanto l'intellettuale post-moderno nasce dalla frustrazione di sentirsi proprio in quanto intellettuale tagliato fuori dal mondo, dalla storia, dalle cose: il primo cerca di superare questa estraneità ponendosi come padrone della storia, il secondo come servitore di essa. Si tratta di due strategie che· mi sembrano superate, perché oggi l'intellettuale è già mondo, storia, cosa. La formazione di un gruppo di accoliti oppure l'essere sempre in viaggio intessendo incessantemente reti culturali, ormai non aggiungono nulla al potere intellettuale, semmai lo appiattiscono su una dimensione medio-bassa, i cui arcana sono noti a tutti, come i principi della ragion di Stato erano nel Seicento noti perfino ai carrettieri. Mai come ora vale l'aforisma di Baltasar Gracian: «Non abbiamo altra cosa di nostr<;>che il tempo [... ] Uguale infelicità è sciupare la preziosa vita in faccende meccaniche che negli eccessi di quelle elevate. Non bisogna sovraccaricarsi di occupazioni, né di invidia: è un calpestare la vita e un soffocare l'animo» (Oracolo manuale, § 247). Ciò che la società del loisir chiede oggi all'intellettuale è proprio ciò che Michelstaedter definisce persuasione, il possesso attuale di se stesso. Lo stile contestativo e lo stile postmoderno non aggiungono più niente allo statuto dell'intellettuale: egli non ha più bisogno di riaffermare se stesso con un'autopromozione diretta o indiretta che ha ritmi frenetici, Saggi perché proprio questa autopromozione frenetica gli toglie credito: attraverso di essa infatti egli dà la sua persona «come non per se stessa reale» (O., p. 59), mentre egli ha da essere la cosa che è. La figura dell'intellettuale ad alta definizione evocata da Michelstaedter, ripropone l'annoso problema del soggetto della letteratura, dell'autore. L'intellettuale della contestazione fondava la sua legittimità sul gruppo in nome del quale parlava; l'intellettuale post-moderno tendeva a dissolversi nella trama delle relazioni culturali che intesseva; sembra perciò opportuno chiedersi se l'intellettuale ad alta definizione rappresenti il ritorno di un soggetto autorale forte. Non lo credo: la nuova tendenza non è un ritorno, ma un fenomeno nuovo. L'intellettuale ad alta definizione non è un soggetto, è una cosa; è intorno a questa cosa che si organizzano le tracce. Queste tracce sono solo in parte autorali (le opere vere e proprie e gli scritti occasionali), molte di esse· sono extra-autorali (per esempio, la documentazione iconografica, la sua biblioteca, la sua tomba ... ) Ed anche quelle autorali, anche quelle apparentemente più soggettive come le autobiografie, le lettere, o i diari non devono essere considerate come l'espressione di un soggetto, ma come cose che determinano una cosa più complessiva che le accoglie. Del resto è implicito nell'essenza stessa della scrittura l'essere cosa, l'essere qualcosa di irriducibile alla trascrizione della voce, al soffio dello spirito. Nel post-modernismo questa dimensione essenziale della scrittura veniva cancellata dall'intrattenimento effimero di scriventi e di leggenti; nella nuova tendenza che si annunzia, la dimensione essenziale della scrittura, il suo essere traccia si estende a tutto ed inaugura una nuova categoria di scrittori e lettori ad alta definizione. La legittimità sociale di questa nuova società di scrittori e lettori di alto profilo non deriva dalla pretesa di costituire una specie di aristocrazia dello spirito in un mondo che scivolerebbe verso la barbarie e l'ignoranza, ma semmai al contrario dalla sensazione di essere in presa diretta con l'emergere di una civiltà della cosa, che succede alla civiltà dell'immagine. Michelstaedter coglie con grande efficacia la differenza tra uno scrittore debole (che sarebbe meglio chiamare uno «scrivente») e uno scrittore forte (cioè uno scrittore in senso proprio): il primo «non giunge mai a dire la cosa» pur dicendo infinite cose, «ma trascina la sua vita accomodandosi via via alla necessità di continuare», il secondo sente di dover dire la cosa «sempre in ogni punto tutta» (O., p. 707). La filosofia del presente Il terzo punto che caratterizza la nuova tendenza nei confronti del post-modernismo e della contestazione riguarda il privilegiamento del presente rispetto al passato e al futuro. All'utopismo della contestazione degli anni sessanta e settanta, che vedeva l'essenziale nella prefigurazione di un tempo a venire, è succeduta l'ermeneutica degli anni ottanta, che vede l'essenziale in una gestione accademico-burocratica del passato. Ora rifarsi a Michelstaedter vuol dire porsi in una terza prospettiva che vuole «tenere raccolta nel presente la propria vita» (O., p. 878). La contestazione viveva di fede e di speranza; il risultato è stato delusione e frustrazione. Michelstaedter è il critico implacabile di quepagina25 I sto atteggiamento tutto proiettato verso l'avvenire. La sua opinione su questo argomento è molto efficacemente racchiusa in una filastrocca veneta che suona: «Se spera che i sassi I deventa paneti, / perché i povareti / li possa magnar. Se spera che l'acqua / deventa sciampagna, / perché no i se lagna / de sto giubilar. / Se spera sperando / che vegnerà l'ora / de andar in malora I per più no sperar» (O., pp. 367). Il post-modernismo al contrario viveva di disinganno e di divertimento; il risultato è stato melanconia e noia. In un articolo dedicato a Tolstoi, Michelstaedter scrive parole che descrivono benissimo la condizione post-moderna: «Guardiamo intorno a noi: noi viviamo in un mondo di cadaveri; cadaveri che mangiano, bevono, dormono, parlano, ma non perciò cessano di essere cadaveri» (O., p. 651). Se i contestatori avevano l'anima dei fanatici, i post-moderni hanno l'anima dei «fakiri». Una filosofia del presente è anche una filosofia della presenza. Come tale essa sta al polo opposto del pensiero negativo e delle varie forme che esso ha assunto recentemente (pensiero della crisi, nichilismo, pensiero debole ... ). «Chi vuole fortemente la sua vita ... chiede il possesso attuale» (O., p. 36). Non lamenta l'assenza di qualcosa, non rimpiange la mancanza di alcunché, non è in lutto per la perdita di qualche valore, né di qualche entità positiva. In primo luogo perché i valori e gli ideali sono già da sempre stati troppo irreali e astratti: «chi non ha più bisogni, non ha più valori» (O., p. 358). In secondo luogo, perché egli si appropria, assume su di sé, fa vivere nel presente quanto di positivo il passato trasmette: «in ogni punto nell'attualità della sua affermazione c'è la vicinanza delle cose più lontane» (O., p. 50). Un pensiero che s'ispira a Michelstaedter non considera il mondo come vuoto, non vede la società sotto il segno di una kénosis; la salute di cui parla Michelstaedter presuppone l'immagine di un mondo pieno, di un pléroma, in cui tutto ciò che è importante è a disposizione: «niente da aspettare/ niente da temere / niente chiedere» (O., p. 365). La salute è infatti sottrarsi al bisogno, consistere in mezzo alle cose, «andare attraverso l'attività verso la pace» (O., p. 52). Questa pace tuttavia non è qualcosa di immobile e di eterno. Il punto di arrivo di Michelstaedter non è la metafisica: il suo pensiero è essenzialmente orientato verso la realtà storica, il fenomeno, la cosa. L'orizzonte che in esso si muove è quello aperto dal mondo storico. A differenza però di quanti rincorrono la storia considerandola (probabilmente a ragione) qualcosa di esterno a loro, un pensiero del presente è esso stesso storia nella forma più forte. La sua militanza non nasce dalla volontà soggettiva del pensatore, dal suo «impegno», ma è per così dire insita nel rapporto di presa diretta tra il pensiero e il mondo storico. Il presente è più che l'oggetto del filosofare: esso pensa se stesso attraverso la filosofia. Il pensatore è appunto colui che si fa nulla e nessuno per poter ascoltare il presente in tutta la sua paradossalità e differenza, è colui che fa tacere i propri desideri, le proprie affezioni disordinate, le proprie opinioni per non frapporre ostacoli e schemi fuorvianti alla comprensione delle manifestazioni della storia, è colui che si fa puro tramite, luogo di transito, gateway, di fenomeni che ci sorprendono, ci turbano, ci stupiscono, perché si presentano sempre in modo inatteso e imprevedibile. Ma in che modo il pensatore diventa questo puro tramite del presente? Tanto la contestazione quanto il post-modernismo hanno ignorato che ciò avviene nella lettura e nella scrittura, che il pensatore è essenzialmente un lettore e uno scrittore. Anche su questo piano la figura di Michelstaedter, nel quale filosofia e letteratura sono legate da un rapporto di coappartenenza essenziale, mi sembra esemplare. «L'immoralità di un uomo che parla senza persuasione - scrive Michelstaedter - si manifesta in ogni parola che gli esce dalla penna, per il contenuto arbitrario, vago, limitato, per il nesso sconnesso e facilmente, volgarmente contento» (O., p. 708). Ora l'incontro tra filosofia e letteratura cui la nuova tendenza che s'ispira a Michelstaedter conduce, è proprio il contrario di questa vaghezza: esso aspira alla determinazione del!~ cosa, alla sua perfezione. È su questo punto che la cultura militante deve «rompere i ponti per la ritirata» e allargarsi ad intendere l'essenziale: il forte sentire, l'alto profilo intellettuale e il rapporto di presa diretta col presente sono i tre aspetti in cui si manifesta la centralità storica del leggere e dello scrivere. Questo testo è stato letto dall'Autore al Convegno internazionale di studi Michelstaedter «il coraggio dell'impossibile», organizzato dalla Provincia di Gorizia e dall'lstituto per gli Incontri Culturali Mitteleuropei, svoltosi a Gorizia dal 1° al 3 ottobre 1987.

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