POESIA ~~ NOVITA' RAINER MARIA RILKE Poesie francesi a cura di P. Bigongiari e G. Zampa ANTONIO PORTA Melusina, una ballata seguito da Rosa che ride con un saggio di Niva Lorenzini JEAN JOSIPOVICI Sotto l'azzurro del tuo cielo poesie d'ispirazione Sufi JOLANDA INSANA La clausura FRANCO BUFFONI Quaranta a quindici MAURIZIO MESCHIA Il geometra nel deserto RISTAMPE GIOVANNI RABONI Canzonette mortali 2· ed. PATRIZIA VALDUGA La tentazione 2' ed. COSTANTINO KAVAFIS Poesie segrete 2' ed. Poesie erotiche 3' ed. GHIANNIS RITSOS Il Funambolo e la luna 2' ed. Erotica 3' ed. CROCETTI EDITORE Via E. Falck, 53 - 20I51 Milano Telefono (02) 35.38.277 LONGO EDITORE Ravenna c.p. 431 - tel. 0544 I 27026 Fiora Bellini XILOGRAFIE ITALIANE DEL '400 da Ravenna e altri luoghi pp. 200, 70 taw. col., L. 60.000 Maria Grazia Di Paolo BEPPE SENOGLIO FRA TEMA E SIMBOLO pp. 136, L 18.000 Luciana Giovannetti DANTE IN AMERICA BIBLIOGRAFIA (1965-80) pp. 200, L. 20.000 a cura di M. Picone DANTE E LE FORME DELL'ALLEGORESI pp. 184; ili., L 30.000 Contributi di: G.C. Alessio, Z. Baranski, G. Caravaggi, M. Corti, E. Costa, A. D'Andrea, J.I. Friedman, A. lannucci, M. Picone Maria Antonietta Grignani PROLOGHI ED EPILOGHI SULLA POESIA DI EUGENIO MONTALE con una prosa inedita pp. 108, L. 22.000 Gianfranco Casadio IMMAGINI DI GUERRA IN EMILIA ROMAGNA I SERVIZI CINEMATOGRAFICI DEL'WAR OFFICE pp. 208, 90 ili., L. 25.000 a cura di F. Gnerre IL TESTO RITROVATO FORME POETICHE E CLASSICI A SCUOLA pp. 128, L. 18.000 Contributi di F. Gnerre, F. Mariani, R. Mordenti, C. Sibona troppo conosciuto, in quanto coestensivo con l'idea di Moderno - e che comunque non impressiona più nessuno. Come in tutta la prospettiva della critica della ideologia, che viene qui assunta nelle sue implicazioni più radicalmente antitradizionalistiche, Habermas contrappone all'archeologia radicaleggiante dell'oltrepassamento della metafisica una teleologia che non vuol più porsi il problema - verosimilmente insensato e in ogni caso paralizzante - della Ueberwindung der Metaphysik. Tra ermeneutica e critica della ideologia (ma anche tra critica della ideologia e dialettica negativa) viene, alla fine, tagliato ogni ponte. Il problema è però vedere se l'archeologia della tradizione sia una scelta (come ritiene Habermas) o una necessità. Come Rorty, Habermas pensa che si possa fare filosofia senza ripiegarsi su una interminabile dialisi della tradizione; ciò che è vivo di Hegel e del moderno, è chiamato a far valere la propria attualità - diversamente può scivolare nel magazzino delle analisi erudite. Ma è davvero così facile disfarsi della tradizione? e l'idea di attualità non acquisisce valore solo nel suo misurarsi con il passato (così nella querelle des anciens et des modernes, per esempio)? e ancora, c'è davvero una grande differenza tra il criticare il presente e oltrepassare il passato? Il libro di Habermas ha il merito di evidenziare quanta stilizzazione retorica si nasconda nel radicalismo dell'oltrepassamento della metafisica diventato tema planetario di copversazione filosofica, ma in fondo sembra non differenziare la vague dalle sue ragioni, che verosimilmente non hanno perso cogenza per il solo fatto di essere massificate. Maurizio Ferraris Stanley Kubrick Propongo di considerare Kubrick uno dei più grandi sociologi visivi del nostro tempo. Nei suoi film c'è sempre una morale (o una cifra) interna, che si fa beffe dello schema estetico apparente, e delle attese che tale schema suscita negli spettatori. Prendiamo ad esempio Barry Lindon, che qualcuno considera un'esercitazione estetizzante sul Settecento. Non c'è nulla di meno realistico dei suoi ammiccamenti ai paesaggi rococò o alla ritrattistica satmca, a Watteau, Constable o Hogarth. E lo stesso vale per le battaglie, con i fanti che cadono come soldatini di piombo. E per la colonna sonora; che include una sonata per flauto_ di Federico II, ovvero dello stesso re che comanda quelle truppe così eleganti. Ora, tutta questa ironia, questa crosta di citazioni, questa bella galleria di damine, cicisbei e duellanti, questo sontuoso concerto di musiche popolari e sonate barocche precipita verso una verità elementare e violenta. Nel duello finale, Barry Lindon (che è rimasto un popolano sanguigno e arrogante, sotto la sua parrucca) commette l'imperdonabile sciocchezza di essere generoso col figliastro nobile, e lo risparmia. E l'altro gli spara, rovinandolo. La morale del film (non c'è alcuna morale, o stile, o giustizia comune ai ceti in lotta) è tanto più feroce, quanto più è rappresentata come esito di un balletto. Se c'è qualcosa di costante e di ossessivo nei film di Kubrick è l'idea che non si dà soluzione di continuità tra pace e guerra, tra forma Cfr/evidenziatore e sostanza della vita, tra quotidianità rassicurante e stato d'eccezione. La clava dell'ominide lanciata in alto diventa l'astronave asettica. La piccola ossessione dello scrittore diventa psicosi omicida. Il delirio politologico dei Dr. Stranamore-Henry Kissinger-Hermann Kahn diventa guerra nucleare. La violenza post-moderna del teppista inglese diventa violenza pedagogica scatenata (e viceversa). E così; in questo ultimo film, Full metal jacket, la meticok:>sa violenza formativa del campo d'addestramento si traduce in meticolosa macchina da guerra. Non fraintendiamo però il carattere emblematico dell'apologo di Kubrick. Non sta denunciando la ferocia dell'addestramento dei marines o la ferocia della guerra nel Vietnam. Sta raccontando il funzionamento di una macchina. Non ci vuol far sapere - perché lo sappiamo già - che in un campo, un collegio, o un ospedale psichiatrico ci sono i capri espiatori: ci sta raccontando che una macchina da addestramento o da guerra esige che il suo meccanismo espella o distrugga il debole e il disturbatore. La scena più atroce e emblematica del film è quella in cui anche gli amici del povero grassone decidono di punirlo (scientificamente, sofficemente, con le saponette avvolte negli asciugamani), perché le sue sciocchezze ricadono sulle loro teste. Ha poca importanza che alla fine dell'addestramento il sergente istruttore sia ucciso dalla vittima_sacrificale. Quel che importa è che la macchina funzioni: i marines muoiono, come aveva fatto notare lo stesso sergente, ma il Corpo resta. Full metal jacket non è nemmeno un film sull'iniziazione alla guerra, come è stato detto. L'iniziazione avviene il primo giorno di addestramento, nel rito della spoliazione e della tonsura. Come non notare che le teste pelate dei marines, i loro corpi giovani e affusolati assomigliano già a pallottole corazzate? (E infatti, il grassone è fuori misura, non funziona, non può che essere eliminato.) Gettate le premesse nella fusione dello stampo, tutto quello che segue non è che funzionamento, riproduzione, messaggio seriale. I marines di Kubrick non sono che giovanotti seriali, con tutte le insegne della loro serialità: i loro volti poco espressivi, ma non del tutto ottusi, la loro moralità media (che lascia spazio al pacifismo), la loro musiça media (quella stupida dei Beach Boys, ma anche quella «arrabbiata» dei Rolling Stones), le. loro ossessioni medie e sane (la scopata). Kubrick non mette in scena dei fantocci, delle storie edificanti, emblematiche o dei miti letterari (come in quasi tutti i film sul Vietnam, compresi quelli di Coppola, Cimino, o Stone) ma gente che sembra capace di «pensare» comunemente: non odiano i nemici, e anzi li rispettano molto di più dei loro alleati sudvietnamiti, hanno un certo senso dell'ironia, qualcuno è capace perfino di citazioni colte («il dualismo junghiano, Sir», così il marine intelligente spiega il suo distintivo pacifista al generale di tipo reaganiano). Ma perché mai la macchina non dovrebbe consentire questi modesti spasmi di umanità? E una macchina articolata, complessa e concreta: parafrasando una volta di più Cla~sewitz, diremo che è una continuazione della vita quo'tidiana con altri mezzi. Ed eccoli i nostri marines in combattimento. Il nemico non lo vedono quasi mai, oppure lo intravvedono come ombra in movimento, bersaglio astratto come in un videogame. Appena sono colpiti, un'organizzazione più o meno efficiente si incarica di rimuovere i cadaveri. Nelle pause degli scontri, i reporter loro commilitoni (che alternano macchina da presa e mitragliatore) si fanno dire quello che pensano sulla guerra e sul- !' esercito. È ironico che in una guerra così vera il nemico vero compaia solo alla fine, come se fosse un'appendice, anche se necessaria, della macchina. Bersagliati da un cecchino, nell'ultima scena del film, lo localizzano e riescono ad abbatterlo, per scoprire che è una donna. Che in questa agnizione, come in qualche altra scena del film, il tocco di Kubrick non sia proprio leggero, è possibile (il fucile-fallo, concetto ribadito ossessivamente dal sergente istruttore, ha trovato la sua naturale destinazione). Ma questo non è il punto. Guardate le facce dei guerrieri davanti alla donna morente. Sono più imbarazzati, e moderatamente curiosi, che fieri. Forse un po' delusi. O forse un po' eccitati. E alla fine, sarà proprio il più problematico di loro, il pacifista-reporter, a finire la guerrigliera. Un atto di pietà? Macché. È il suo battesimo del fuoco, non aveva ancora ucciso nessuno. E sicuramente sollevato, anche se non proprio contento, si allontana con gli altri, sullo sfondo, così improbabile per il Vietnam, ma così idealtipicamente vero, della periferia industriale in fiamme. E tutti cantano l'inno di Topolino, non perché siano regrediti, ma semplicemente perché questo è uno dei modi che la loro cultura offre per scaricare un po' di tensione. Con un'ironia tutta dissimulata nell'apparente documentarismo del film, Kubrick ha montato la rappresentazione di una macchina da uccisioni. Una macchina sciatta, casuale, e quindi umana. Tutto è spudoratamente finto in questo film, già visto, già stratificato nella memoria. E per questo assolutamente vero. La Killing machine è l'addestramento delle reclute, il combattimento urbano - e insieme, e dentro, il film girato dal corrispondente di guerra, gli articoli fasulli su Stars and Stripes, le interviste ai soldati - e perché no? - anche questo film sul Vietnam girato alla periferia di Londra, e anche noi che andiamo a vederlo, magari in lingua originale, per non perderne il vero sapore. Facendo un film parodistico e un finto cinema-verità, una sintesi di luoghi comuni del nostro tempo (il pacifismo alla buona, la musica rock, il cinema-verità, la guerra del Vietnam), Kubrick non ha raccontato affatto un episodio epico della guerra del Vietnam (come stolidamente, o con inconsapevole genialità, recita la locandina del film), e neppure della guerra in generale o di una guerra qualsiasi: ha messo in scena un piccolo squarcio della vita quotidiana nel nostro tempo. Qui il bello e il brutto, la realtà e la rappresentazione, i principi morali e la ripetizione tecnica fanno parte allo stes- _ so titolo della normalità della macchina. E soprattutto ha messo in scena uno squarcio della nostra cultura. Se al presidente degli Stati Uniti è lecito citare gli slogan di Guerre Stellari (l'«impero del male»), è giusto che i suoi diletti marines cantino l'inno di Topolino. Alessandro Dal Lago ISTITUTO ITALIANO PER GLI STUDI FILOSOFICI Convegno di studi LA POESIA A NAPOLI dal 1940 ad oggi Alberto Abruzzese Matteo D'Ambrosia Dante Della Terza Luigi Fontanella Enzo Colino Sergio Lambiase Francesco Leonetti Mario Lunetta Armando Maglione Enrico Malato Giuliano Manacorda Giancarlo Mazzacurati Filiberto Menna Antonio Palermo Lamberto Pignotti Vittorio Russo Gianni Scalia Arturo Schwarz Napoli, 26-28 novembre 1987 Palazzo Serra di Cassano Via Monte di Dio 14 Collana di poesia I Campi Magnetici IGINO CREATI "Via Donatello 23" L. 15.000 FABIO GALLI "Impura" L. 8.000 Collana Narrativa ALFONSO LENTINI "Trappole delicate" L. 10.000 Collana Azioni Parallele di saggistica LINA FERRANTE "La verità che scotta" postfazione di Umberto Piersanti L. 12.000 Collana Universi paralleli C. PAGETTI - B. D'EGIDIO F. MARRONI "Il nostro cammino tortuoso" (Conrad tra autobiografia e fiction) L. 15.000 Collana L'Albero cavo OSVALDO SALAROLI "Puzzle" L. 12.000 PASQUALINO DEL CIMMUTO "La lezione di Glde" L. 8.000 Per acquisti di copie richiedere la spedizione contrassegno oppure inviare vaglia postale o assegnò presso le Edizioni Tracce Via Vittorio Veneto, 47 65100 PESCARA
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