Alfabeta - anno IX - n. 102 - novembre 1987

Alfabeta 102 Modernità e politica Eleonora Fiorani D avvero è mutato nel tono, nello stile, il clima culturale di questi ultimi, pochi anni. Gli interventi di Ludovico Geymonat del decennio 1976-1986 parlano un linguaggio che è stato cancellato e quindi appare contrassegnato dall'estraneazione. Eppure è il linguaggio che tutti parlavamo, un linguaggio che proviene da lontano e dal presente insieme e che ancora, ai margini, sottovoce, resiste alla cancellazione. Geymonat ancora una volta ci provoca o meglio provoca la cultura recente nella sua presunzione innovativa, di cesura senza conti con il passato, di liquidazione facile della modernità, della razionalità, del progresso. Gioca ancora una volta il suo prestigio di grande vecchio e di padre dell'epistemologia italiana a fianco della marginalità dei devianti. E il suo discorso suona fresco e vivo nella parola esemplare lucida, chiara, accessibile, che è il suo segno peculiare e il suo insegnamento più prezioso, che lo rende maestro di stile di vita oltre che di pensiero. La questione della modernità è in effetti il grande tema che tesse la trama dei diversi interventi. Geymonat solleva il dubbio che ci sia un'arretratezza antica ancora presente nella sofisticata modernità del dibattito culturale attuale. È avvenuto infatti uno spostamento critico dell'attenzione dal capitalismo all'industrialismo, che ha fatto scomparire la questione del potere e della proprietà e con essa la questione di classe. Geymonat avverte dunque nei nuovi teorici della metafisica, del liberalismo, del contrattualismo, la presenza di vecchi fantasmi, di vizi antichi, come un tempo si diceva. Da testimone, non ha dimenticato le speranze e le delusioni della Resistenza, della ricostruzione, e poi del Sessantotto e del maoismo; da attivo sempre sul campo, contesta la perdita di memoria storica e lo fa in un punto esemplare e delicatissimo, quello del terrorismo, sostenendo il nesso guerra-amnistia. E, mi sembra, è per lui un modo della ragione perché il paese non diventi un paese di ombre e si evidenzi che c'è anche l'atrocità e la violenza della cancellazione che alla morte fisica aggiunge un destino di «non essenti». È la ragione contro la tentazione punitiva o gli assoluti della giustizia che non sa riparare alle ferite che sono di tutti. Troviamo qui il riferimento al testo coraggioso di A. Santosuosso e F. Colao, Politici e amnistia, uscito sempre nelle edizioni Bertani. Per Geymonat dunque la modernità non è né il capitalismo né l'industrialismo, ma è la scienza, una scienza che è rivoluzione del modo di pensare, quindi concezione del mondo perché è tecnica, attiva costruzione e trasformazione. È su ciò la differenza e la contraddizione anche con Giulio Giorello, cioè con gli sviluppi dell'epistemologia inglesi e americani e con i modi e le soluzioni della crisi del Cfr/ neopositivismo. Quella che Geymonat rivendica non è la scienzalogica, la scienza-matematica: non c'è valore di verità della scienza se non attraverso il nesso di teoria e pratica, per dirla con parole antiche. Nella scienza non abbiamo a che fare solo con una struttura razionale, con procedure logiche di scoperta e di verifica. È non solo un modo di pensare il mondo, ma quello di costruirlo. Contrassegna il nostro modo di vivere in tutti i suoi aspetti, nello stesso quotidiano. C'è sempre lo stupore e l'ironia di Geymonat che tutto ciò non sia ovvio. E non sia ovvio che, spostando l'asse sull'industrialismo, si dimentica la questione del potere e della proprietà. L'anonimia ha reso invisibili i centri del potere che sono anche ciò che fa la voracità distruttiva dell'industria verso la natura e l'uomo stesso. È un'industria sempre più di morte e di guerra. E Geymonat non se lo nasconde: anzi, prendono avvio forse da questa drammaticissima consapevolezza quelle che appaiono le sue scelte più problematiche nel suo stesso percorso e nelle sue ragioni teoriche: la scelta dell'URSS e lo schieramento di campo che è autenticamente neomarxista solo in Geymonat e in pochi altri forse. L'attenzione maggiore va posta invece sui temi dello storicismo scientifico. C'è una frase preziosa nell'intervista di Mario Quaranta del 1986: «la scienza lavora nella storia» (p. 206): dunque in essa si verifica. È questo nesso che lo storicismo coglie, e coglie così la modernità. A ragione siamo ossessionati dalla storia: conosciamo la fragilità della memoria, quella stessa che riguarda il nostro vissuto; ne temiamo la manipolazione, consapevoli che chi controlla la storia, decide del nostro destino. Ludovico Geymonat La ragione e la politica A cura di Mario Quaranta Verona, Bertani Editore, 1987 pp. 249, lire 20.000 Abitazione e progetto Maria Biasia L ' architettura è certamente connessa con l'esigenza dell'uomo di costruire la propria dimora e lo spazio delle sue possibili attività. Casa, villaggio, c_ittàsono i luoghi deputati dell'abitare e sono anche, almeno intenzionalmente, opere di architettura. Per questa considerazione il termine «Housing», che dà il titolo a una nuova rivista uscita di recente, trascende il significato più restrittivo che afferisce allo spazio domestico elementare e alle sue aggregazioni, per designare il processo incessante di conformazione dello spazio vissuto dall'uomo. In esso interagiscono fattori molteplici, economici, funzionali, tecnologici, che tendono a definire, ciascuno secondo logiche proprie, gli spazi e i manufatti del vivere. Di fronte a queste forze come si legittima la pretesa dell'architettuCfr trilibri ra di disciplinare le espressioni concrete e tangibili sia esercitando un'azione regolatrice, generale e sintetica, sulla città sia esigdido coerenza alla sua costituzione additiva per singoli manufatti? Con questa domanda coincide, a mio avviso, il nucleo degli interessi che la rivista «Housing» assume nel proprio orizzonte e ciò comporta di porre nel fuoco della riflessione il tema dell'esperienza estetica. «Housing» non si propone tuttavia la costruzione a priori di un sistema teorico. Il programma culturale della rivista appare piuttosto rivolto a instaurare una metodologia interpretativa dei fatti architettonici che consenta di decifrare l'intreccio ambiguo fra la La spia soggettività del progettista-architetto e la dimensione oggettiva e complessa in cui gli spazi e gli oggetti dell'architettura si definiscono e vengono agiti. In questo taglio· critico l'architettura è attività operativa che assume le situazioni naturali, storiche, sociali per reinterpretarle e restituirle a nuovi significati, quando le soluzioni consolidate, che hanno conferito stabilità e ordine all'esistente, diventano inadeguate al mutamento della vita e si fissano in meri meccanismi ripetitivi. Perciò negli interventi architettonici e spaziali, che attualmente sembrano offrire indicazioni incerte e contraddittorie, l'analisi testuale, comparata e contestualizzata del progetto potrà svelare gli elementi di un processo costruttivo, di una trama di formazione. «Housing», che si preannuncia a cadenza annuale, proporrà alla discussione, di volta in volta, argomenti monografici, con riscontro a un'ampia base documentaria tratta dall'attuale pubblicistica specializzata. La formula editoriale adottata per questo programma è evidenziata dal primo numero della rivista, che è costituito da un corpo di saggi, variamente orientati su un medesimo oggetto (nel caso specifico il progetto della residenza negli anni ottanta), supportati da un ampio corredo di schede illustrative delle opere esaminate. Quale sarà dunque la natura peculiare del contributo di «Housing» al dibattito attorno alla disciplina architettonica? Gran parte delle riviste che si occupano dell'architettura come problema culturale svolgono una funzione eminentemente selezionatrice nei confronti della produzione dell'edilizia, attraverso un'azione critica che è implicita alla selezione stessa. L'approccio di «Housing», invece, sottrae le opere al giudizio spesso parziale o imperfetto del primo impatto, proponendone una rilettura differita, in un quadro di riferimenti sufficientemente compiuto per esplicitarne le ragioni che le muovono e le prospettive che esse introducono. Questo tipo di critica denuncia una intenzionalità didattica che ha radice nel legame di «Housing» con l'istituzione universitaria. I curatori sono infatti architetti che insegnano e lavorano nella facoltà di architettura del Politecnico di Milano. Ne deriva l'impegno a sviluppare, da un lato, una consapevolezza del processo progettuale trasferibile nell'esercizio della professione; dall'altro a promuovere un'attitudine di studio dei fatti architettonici che ne consenta l'esperienza, oltre i circoli chiusi degli addetti ai lavori, da parte dei loro naturali destinatari, cioè, come ricordavo all'inizio, dagli uomini nella società. .Housing 1 Jl progetto della residenza nei primi anni '80 Milano, Clup, 1987 pp. 250, lire 41.000 pagina 15 Luciano De Giovanni Stefano Verdino D e Gi~vanni, sanremasco non e un nuovo poeta; un suo vecchio libro fu apprezzato da Betocchi, Barile e Caproni, ma ebbe circolazione ristretta (come fatalmente capiterà a questa. breve raccolta), per cui egli è sconosciuto; e lo è in quanto è un «signore» (così lo definì Calvino, senza nominarlo, in Sessanta posizioni di Arbasino), sbarbarianamente refrattario al minimo commercio di sé. La sua poesia deriva da quella di Barile, sia per la motivazione religiosa, sia per la ricerca di trasparenza del linguaggio; e può con quella condividerne qualche rischio, come - si direbbe oggi - il «poetese», ma vale proprio la pena di leggerlo e considerare gli scheletri di poesia che sono i suoi verbi (e qui sta il suo personale lavoro nella matrice bariliana) alla cui essenzialità a volte si deve quella sensazione di cosmo, come capita leggendo Penna, naturalmente qui in tutt'al~ro clima di volontà sentenziosa, ma espressa nella più delicata discrezione: «Agitare le acque, suscitare allarme I sgomento nei vicini/ questo ci siamo prefissi / il tessuto I si rimargina dietro i nostri strappi/ ne sorridono / le voci che non ci raggiungono / i colori che non percepiamo». Luciano De Giovanni Cautamente presente Bordighera, Managò, 1987 pp. 60, lire 8.000. Giovanni Abbo Stefano Verdino I n questo suo terzo volume, Abbo (alto prelato Vaticano), distribuisce i testi schematicamente in sezioni: «Il gusto della vita», di occasionalità esistenziale; «Oblò», secchi epigrammi e «Non batterò la roccia», di tema religioso. Una serena ironia circola comunque in tutto il volume e rappresenta la principale molla per uno stile piano e pungente, tra l'ultimo Montale e Caproni. Solo che l'interesse di Abbo è spostato dalle arguzie filosofiche degli altri liguri (egli è nato nell'imperiese nel 1911) all'osservazione della distrazione umana, soprattutto nei confronti della propria leggibilità in qualcosa di diverso dal tritume della dispersione. Scatta così spesso una felice vena dispettosa (tanto più singolare quanto più congiunta con un semplice e schietto dialogo religioso nell'imminenza di Dio) che conosce varie azzeccate puntualizzazioni, sull'impiccagione di Benjamin Moloise: come in questo Sottofondo: «A volte non è facile discernere / bene da male. Forse la canzone / che ci rallegra fa da sottofondo I a una esecuzione capitale». Giovanni Abbo Motivi per una sinfonia Roma, Storia e letteratura, 1987 pp. 94, lire 12.000

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