Settembre 1987 ALICE MILLER LAPERSECUZIONE DEL BAMBINO Le radici della violenza L'educazione considerata come fonte delle nevrosi e come repressione della vitalità. Saggi scientifici 268 PP· L. 26 000 RAY CURl',O\\, SUSA!', CURRA"1 ILPRIMOLIBRODI INFORMATICA Un'introduzione generale ai fondamenti trorici e tecnici drlla seicnza informatica. Con un glossario a doppia entrata, inglese e italiano. Superunivnsale 490 pp. L. 35 000 Riprese e successi PIETRO BARCELLOI\A L'I DIVIDUALISMO PROPRIETARIO "Qut'sto lihro lo sento 1·om1· u11a ll'ltura drammatit'a della l'011dizio11e attuale: un lihro aspro, violento." Pietro ln~rao Saggi 153 pp. L. IIJ000 MARIE-LO ISE VOI\ FRAI\Z L'I DIVIDUAZIONE ELLAFIABA La proiezione dt'lle von <lell'irl<'onst'io attraverso simholi dl'llc fialw. Saggi 215 pp. I.. 26 000 C. E.R. I.LO) O SCIE ZAFOLCLORE IDEOLOGIA Le scienze della vita nella Grecia antica (;i,wl'ologia, hotanil'a, farmal'Ologia: razionalità t· ned1·11z1· i11 una immagint· nuova t• 11011"apologt'til'a" dt'lla s1·11·11zgaret'a. So1·il'tà a11ti1·h1· 225 pp. I.. .35 000 Ai\ A FREUD L'AIUTOAL BAMBINOMALATO a t'Ura di Ruth S. Eissler, Anna Freud, Marianne Kris e Albrrt J. Solnit Presentazione di Massimo Ammaniti Come influisce la malattia del 1·orpo sullo stile della nostra esistenza? Programma di Psicologia 286 pp. L. 37 000 MORITZ SCHLICK FORMAE CONTENUTO L'organizzatore del "Circolo di Vienna" espone organicamente la propria teoria della conoscenza. Lectio 182 pp. L. 28 000 Bollati Boringhieri I pagina 8 tolineato il momento del piacere, della sensualità e di quanto sia importante, per esempio, che D'Annunzio non trovi più un suo referente, alla Frabotta, a Giuliani, a Bigongiari. Ecco, si trattava di collocare D'Annunzio nella situazione nostra. A Yale, l'argomento del convegno sembrava invece invitare a una storicizzazione del problema D'Annunzio. Ecco, io mi sono trovata, invece, di fronte a un convegno che, più che storicizzare, ha portato soprattutto i giovani critici americani a confrontare la loro interpretazione, il loro presente, con il presente di D'Annunzio. E questo è stato già un motivo di interesse, perché ne emergeva l'importanza del problema, secondo me, ermeneutico, di come interpretare D'Annunzio e perché scegliere D'Annunzio. Mi ha poi incuriosito un altro aspetto: che - fatta eccezione per le grosse relazioni di sintesi di Paolo Valesio e di Franco Ferrucci, che hanno attraversato un po' tutta l'opera dannunziana - la maggior parte dei giovani critici americani si è soffermata sul problema del romanzo dannunziano e, nel romanzo, sembrava attratta da certi grossi nuclei simbolici e tematici, come il problema del labirinto, il problema del rapporto tra parola ed enigma che si cela dietro la parola. Anche questo mi porta a chiedere a Valesio se c'è nella critica americana che si confronta con D'Annunzio una linea ben definita di ricerca ermeneutica, appunto. Paolo Valesio. Mi sono battuto a lungo col proto, a cominciare almeno dal proto, perché il titolo fosse appunto come appare, cioè con una virgola, o un trattino divisorio, e non una congiunzione copulativa. Voglio dire: Gabriele D'Annunzio. I suoi scritti - virgola - i suoi tempi; cioè l'idea, o la speranza, che venisse fuori non tanto una sistemazione continuativa o pacifica, irenica, vorrei dire, quanto una giustapposizione, se necessario, brutale. La domanda, in fondo, era: esiste un nesso tra gli scritti di Gabriele D'Annunzio e i suoi tempi? E la risposta è venuta fuori parzialmente, direi, anche per ragioni accidentali. Ci sono state delle assenze, giustificatissime - Raimondi, Anceschi, De Felice, per dire - con la conseguenza che alcune voci si siano sentite e altre no, senza che ciò fosse l'effetto di un lungo calcolo machiavellico. Questo il lato occasionale. L'altro, più profondo, che Niva ha messo in luce, direi: l'anima ontologica della critica letteraria americana - e qui andrei al di là perfino di etichette specifiche, come decostruzionismo, o di nomi specifici, Bloom ecc. - direi che c'è un'anima ontologica nel lettore americano, forse per la sua storicità limitata; il fatto che la storia per loro comincia tardi. Per questo fatto, in apparenza banale, trovo che l'americano - quando dico americano penso già a Emerson, non penso solo ai nostri giovani studiosi - affronta le cose come se fossero nate ieri, e lo dico senza ironia. Quando Emerson dice: «Non mi interessa la storia, voglio guardare le rose sotto il mio terrazzo», fa una dichiarazione ontologica. C'è un altro fatto molto importante che vorrei sottolineare qui, chiedendo anche soccorso - al congresso è venuto fuori indirettamente, ·ma, a mio parere, è decisivo - ed è la politica della letteratuA più voci ra. Io non intendo dire che da noi si è seguita una cospirazione specifica, però certamente è accaduto uno scandalo internazionale. Lo scandalo internazionale è che scrittori a mio parere minori - qualunque sia poi l'atteggiamento che si voglia discutere - tipo Svevo, sono oggi alla portata di tutti i lettori americani in ottime traduzioni inglesi: e scrittori giganteschi, secondo me - come D'Annunzio e Pascoli, e mettiamo anche Carducci - sono assolutamente libri chiusi, perché non tradotti. Ora, quel po' di traduzione che si è fatto, ancora vivente D'Annunzio, in inglese, riguarda appunto i romanzi. Quel po' di traduzione che sto incoraggiando con alcuni collaboratori e collaboratrici è cominciato per ragioni casuali, comunque è cominciato, de facto, dai romanzi. Dunque il problema, direi drammatico, della traduzione delle poesie di D'Annunzio, è completamente aperto. Comunque ho già deciso che il corso del prossimo semestre sarà la poesia di D'Annunzio e non i romanzi, perché dobbiamo riempire questa lacuna. Però il fatto decisivo sarà una buona traduzione, almeno un'antologia, di poesie di D' Annunzio. Il problema della traduzione è essenziale. Antonio Porta. Mi pare giustamente definito drammatico questo problema. I grandi poeti del Novecento italiano, Pascoli e D' Annunzio, utilizzano forme metriche e poetiche che hanno una tradizione fondissima, cioè vanno indietro per secoli, recuperando linguaggi frusti, invecchiati, e li rifanno, li ri-generano ... E restituire in inglese è sicuramente complicato, mentre è chiaro che per tradurre Svevo ci vuole molto meno. Volevo cercare di mettere a fuoco un ultimo punto. Conoscendo Niva Lorenzini e Annamaria Andreoli e il lavoro che hanno fatto per l'opera omnia di D'Annunzio per i «Meridiani» della Mondadori, il lavoro proprio di ricostruzione del tempo di D'Annunzio - mi permetto di ricordare anche Mimita Lamberti, che a Viareggio ha dato una bellissima dimostrazione di quali siano stati i rapporti tra D'Annunzio e le arti figurative del suo tempo, quali erano le fonti della conoscenza di certi dipinti: per esempio, D'Annunzio probabilmente non ha mai visto i preraffaelliti nella realtà, ma li ha visti solo nelle riproduzioni, per dirne, una; ecco, da questo punto di vista, probabilmente a Yale sarà nato qualche scontro tra una interpretazione che si fonda sulla filologia e una interpretazione invece più selvaggia, libera, o no? Niva Lorenzini. Premetto che questa domanda mi trova, in questo momento, intricatissima nel problema dannunziano, perché se è stato un lavoro di grande ampiezza dover indagare le fonti della poesia, lo è altrettanto, se non più grave - mancando poi dei commenti globali ai romanzi - qnello che abbiamo condotto adesso e che nel 1988, appunto, approderà alla pubblicazione di altri due «Meridiani». Ecco la mia impressione, di fronte ad alcuni interventi alla Yale, è che proprio mancando, certe volte, la conoscenza di un sostrato culturale, storico, che è indispensabile per rapportare D'Annunzio ai problemi del decadentismo europeo - non so quanto, ad esempio, la situazione francese sia nota in America, e D'Annunzio è legatissimo alla situazione francese - a volte c'era l'impressione che quegli interventi mirassero più a un auto-riconoscimento di sé, del critico che interpretava, piuttosto che a un vedere l'«altro» nel testo, che a confrontarsi con l'esperienza dell' «altro» che il testo rappresenta. Questo si collega anche a un'esagerata accentuazione della libertà del momento creativo della critica. L'ultimo giorno del convegno ci ha fatto assistere a un dibattito vivacissimo sulle posizioni a volte diversificate tra critica italiana, o forse europea, e critica statunitense, su questo aspetto: la critica - sosteneva qualcuno tra i giovani critici americani - dev'essere soprattutto vitale, creativa, mai operazione fredda, e dicendo questo si arrivava quasi a sostenere che è lo scrittore che deve fare il critico della scrittura, degli scrittori. Ma questo atteggiamento è in qualche modo condizionato dal fatto che è molto difficile per uno studioso americano collocarsi nella situazione storica che il testo di D' Annunzio, con tutte le sue numerosissime interferenze, obbliga a ricostruire. Chiedo a Valesio se questo è un .problema reale o invece è solo una mia impressione. Antonio Porta. Lascio subito la parola a Paolo Valesio, ma prima desidero aggiungere questa domanda: non pensi che se si vuole tradurre la poesia di D'Annunzio l'apparato critico, preparato da Niva Lorenzini e Annamaria Andreoli per l'edizione «Meridiani» di Mondadori, sia assolutamente indispensabile proprio per evitare clamorosi fraintendimenti? Paolo Valesio. Comincio da quest'ultima osservazione. Senz'altro - ormai è un fatto diffuso. L'edizione Lorenzini-Andreoli, come si dice, fa testo, cioè è un punto di riferimento citazionale ormai classico, quindi su questo non c'è dubbio. Direi che anche Niva ha azzeccato la questione, a cui io aggiungerò qualcosa riconoscendo che ha posto l'accento su un grosso problema. Una piccola dichiarazione, che non è autobiografica ma simbolica: il mio stato negli U.S.A. è di «residente alieno» - traduco dall'inglese; la mia Carta verde porta esattamente questa scritta «residente alieno», «residente straniero». Mi sembra simbolico della situazione della maggior parte di noi italianisti, cioè, che abbiamo in fondo due realtà: ci identifichiamo, fondamentalmente, con la tradizione italiana, non ci sogneremmo di dimenticarcela nemmeno per un minuto: ma abbiamo anche un forte senso di simpatia, proprio nel senso etimologico, col contesto americano. Dunque la mia risposta sarà di chi sta in mezzo. È inevitabile: se io in Italia prendessi le parti degli Italiani, in America le parti degli Americani, come spesso abbiamo tentato di fare, sarebbe fondamentalmente disonesto. Niva Lorenzini ha descritto un momento del convegno di cui c'era stato molto desiderio durante la tre giorni congressuale. Dato il ritmo serrato delle relazioni, non c'è stato spazio per la discussione. La discussione è esplosa tutta in una volta, la domenica mattina. Come sempre accade in circostanze del genere, abbiamo avuto una polarizzazione di campi che, se fosse stata dosata da intervento a intervento, sarebbe stata meno drammatica. Ma forse è stato utile anche così, perché è emerso quello che Niva ha contestato. Alfabeta 101 I Il problema, il pericolo di un certo atteggiamento americano, è sì il pericolo di una sottovalutazione degli effettivi filamenti che connettono un testo alle sue radici. Il pericolo dell'atteggiamento chiamiamolo, per un momento, «italiano» è però la freddezza, per cui alla fine non si capisce perché si è parlato di D'Annunzio, invece che di Pascoli o di Carducci. Dobbiamo, secondo me, combattere su due fronti. Non voglio con questo dire che bisogna fare una mediazione, perché ognuno risponderà poi liberamente secondo i suoi atteggiamenti di critico, ma certamen.te bisogna fare una mediazione. Quello che per esempio ricordava Porta prima, informalmente, sul fatto che la scalata libera di una montagna non implica che uno faccia assolutamente quel cavolo che gli pare, ma deve prima prepararsi, è fondamentale. Io penso che gli ammonimenti filologici che sono stati fatti al congresso siano stati ascoltati con attenzione. Niva Lorenzini. Parli di Gibellini? Paolo Valesio. Appunto, ci arrivo, Gibellini è uno degli elementi fondamentali, perché Gibellini - che fra l'altro ha dovuto parlare in condizioni un po' difficili, nel senso che per ragioni di tempo ha dovuto abbreviare un po' il suo intervento e quindi ha potuto riesprimersi bene, meglio, direi, nel dibattito finale - ha portato una parola molto importante. Debbo anche ricordare, però, che ha sollevato grossi problemi filosofici. Io, se permetti, sono d'accordo con Seneca - se posso trascinare questo nome in questa sede - quando a un certo punto dice che, ahimè, quella che era filosofia è diventata filologia. Cioè, non bisogna dimenticare che la filologia ha un nesso filosofico. Posso dire - sottoponendolo al vostro giudizio, al giudizio dei lettori - la questione è aperta e va al di là del caso specifico di D'Annunzio. Gibellini osserva - e le sue osservazioni sono fondamentali, nel senso che d'ora in poi non posso non riferirmi a certe conclusioni - per esempio le discrepanze in datazioni delle poesie di D'Annunzio. Spesso D' Annunzio, diciamo così, «misdata» alcune sue poesie, e questo è molto importante. Prima di tutto però va osservato che soltanto adesso si arriva a un'edizione critica di D'Annunzio, cioè è un problema anche italiano, probabilmente causato dalla fagocitazione che D'Annunzio ha fatto del suo stesso testo. Cioè, D'Annunzio, occupandosi delle sue edizioni, forse non ha reso loro il maggior servizio. Ma a un certo punto emerge un problema filosofico, con grande forza. Se noi notiamo, ad esempio, che D'Annunzio data 1901 una poesia che noi stabiliamo essere stata scritta nel 1903, non possiamo usare, secondo me, come è stato pur detto, la parola «menzogna». Non la possiamo usare perché non possiamo sottovalutare l'ansietà con cui un poeta contempla se stesso. Certo che abbiamo bisogno della filologia, e però anche della filosofia - non so se questa è la parola giusta, forse sarebbe meglio psicologia, o forse, di nuovo, simpatia - per capire ... Direi che un poeta non mente mai per imbrogliare le carte, un poeta, rispetto al suo testo, cerca di darsene una ragione senza avere a volte la possibilità di rendersi conto di quella cosa abbagliante che è stato il suo testo. E allora a volte
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