GiovanniGiudici Premio Librex-Guggenheim <Eugenio Montale per la poesia> 1987 NellacollezioneLoSpecchio: La vita in versi Autobiologia O beatrice Il ristorante dei morti Lume dei tuoi misteri Il male dei creditori nuova edizione .. NellacollezioneS· aggi e testi: La dama non cercata Arnoldo Mondadori Editore pagina 40 Saggi Alfabeta 101 e, dunque, in potenza, col tutto. Ogni frammento oggettuale non solo può agganciarsi ad ogni altro frammento, ma si colloca sempre avendo come sfondo, ombra ed intuizione la totalità. La frequente apparizione, sui silks screens dell'americano, di un parallelepipedo prospettico, che è per tradizione il simbolo stesso della prospettiva, non può equivalere che ad una liquidazione culturale. Ma in definitiva è poi l'immagine artificiale che, libera di disporsi in tutte le direzioni, dà la misura esatta di questa nuova spazialità mobile ed ubiquitaria. Nell'attuale periodo di ripiegamento difensivo che vive l'arte visiva, la pittura sembra aver recuperato tutto; e tuttavia non è arrivata a recuperare né le oggettive categorie dell'orientamento nello spazio e neppure l'ancoraggio gravitazionale. Le colorate figure che riempiono i quadri odierni appaiono situate al di fuori di qualsiasi riferimento spaziale; di preferenza, esse fluttuano sospese fino a rimbalzare nell'aria, con effetti umoristici o onirici, come altrettanti palloni rigonfi di aria. I n un rapporto mutato con la Terra, quale è il nostro, la sensazione psicofisica che prima di tutto viene coinvolta è la vertigine; solo in via secondaria, lo spavento contenuto nell'affermazione di Heidegger. La vertigine sopraggiunge ogni volta che è modificato il nostro rapporto con la solidità e con l'equilibrio del suolo; allorquando abbiamo smarrito il nostro fermo punto di appoggio. Essa agisce come un campanello d'allarme e come un richiamo brutale alla nostra condizione di animali terrestri. Esiste una figura mitica che illumina il fenomeno della vertigine e la sua stretta subordinazione alla Terra e, attraverso di essa, la sua sudditanza alla madre: è la figu'- ra di Anteo. La forza di questo gigante primordiale discende direttamente dalla Madre Terra, di cui è figlio. Anteo è sconfitto da Eracle, proprio da colui che si pone in rapporto di dominio, e non più di dipendenza, con la Terra e la madre. Possiamo concludere che è la vertigine a fiaccare Anteo, conducendolo alla morte, mentre è la vittoria riportata sulla vertigine ad assegnare ad Eracle il trionfo. Nonostante la dislocazione nell'aria e Io sradicamento ecumenico, non credo che sia aumentato il volume di vertigine nel mondo. I cosmonauti che hanno realizzato di fatto simile mutamento planetario, non hanno provato alcuna vertigine; non vi hanno mai fatto cenno. Nello scenario tecnologicamente soft a loro predisposto, non • c'è posto per nessun malessere. Eppure nel gioco di equilibrio che unisce la realtà e l'immaginario, dove quest'ultimo interviene a compensare le deficienze e le sfrangiature della realtà, l'immaginario sembra impegnato, nel suo rovescio profondo, a diffondere attorno a sé un acuto senso di vertigine. Una pagina di Michaux, scritta sotto l'effetto della mescalina, sembra ondeggiare proprio sotto la spinta della vertigine. «Un pomeriggio in casa mia, stavo contemplando tranquillamente in uno dei grandi rotocalchi a colori una grande stazione interplanetaria, quando improvvisamente mi ci trovai. Incredibile meraviglia. Scagliato in un istante a qualche centinaia di chilometri, se non a mille chilometri di altezza, vedevo sotto di me la rotondità della terra lontana, già estremamente rimpicciolita, su cui ora non potevo più tornare. Preso da un panico indicibile, la spaventosa distanza attraverso lo spazio irrespirabile e ostile, a cui mi trovavo dalla terra, quante volte a torto disprezzata, a me così necessaria, e ora perduta, fuori portata. Le gambe mi venivano meno. E la vertigine, come lottare con la vertigine? [. ..] Quella maledetta ruota rossa interplanetaria mi tratteneva. Delle vertigini da esalare l'anima rendevano inutili tutti i miei sforzi. Finalmente mi ritrovai sulla terra, vergognoso, ma quasi con dispiacere. Le vertigini non mi avevano abbandonato del tutto.» Tuttavia la vertigine può trapassare, da uno stato psico-fisico, suscitato da una circostanza materiale, ad uno stato astrattamente interno, immaginario. Tutto ciò che spalanca in noi una profondità, provoca un squilibrio o un vortice, può accompagnarsi ad una immagine di vertigine: diciamo che si presenta a noi in forma vertiginosa. Soprattutto questa accade quando è il familiare a scindersi, svelando un inatteso abi.sso celato nei suoi strati interni. La vertigine contiene quindi in sé una positività, la condizione di aprire e di conservare un arco di prospettive molteplici, che lo spavento invece tende immediatamente a chiudere e a bloccare. Mi chiedo dunque allora se non sia possibile preservare, nella vertigine, una tensione aperta nei confronti proprio di questa Terra per la prima volta interamente rischiarata. Ciò significa, su un altro piano, conservare lo statuto medesimo del1' objet trouvé, la vastissima apertura che possiede, sia il ready made di Duchamp o i busti di gesso, le sfere e i giocattoli disposti da De Chirico nel primo piano delle sue piazze, che Io stesso mega ready made Terra. Poiché con Io spaesamento, l'oggetto che di proposito è stato piazzato di fronte ai nostri occhi, che si tratti di un utensile quotidiano o dell'oggetto planetario, sembra orientarsi, con nostro grande turbamento, verso due opposti significati. Il primo è la sua insignificanza o il suo puro senso strumentale, operativo, pratico, tipo «usa e getta». Il secondo è il suo valore di interrogativo, di presenza inquietante, di geroglifico affascinante e affascinato, di enigma, di incognita che abita all'interno di una equazione, di cui ignoriamo qualsiasi coefficiente, dal momento che si presentano tutti spostati. Questa incognita e questo enigma, che sono scivolati fuori dal linguaggio per attestarsi ormai nella realtà, investendo un ambito che si allarga sull'intera Terra, mi sembra che configurino infine di fronte a noi quella sfinge, che tuttavia noi ci ostiniamo ancora a non riconoscere come tale. È tempo, questo, in cui ognuno di noi compie dei percorsi sopra il globo, di conoscenza e di verifica. Il mio percorso, io l'ho compiuto allo scopo di cogliere il significato del viaggio di esplorazione intrapreso dall'uomo, prima, sulla Terra e, ora, fuori dalla Terra, da cui siamo usciti. Esso ha allacciato due punti collocati geograficamente quasi agli antipodi e che sono stati da me individuati come a tastoni: uno, a Gozo, un polveroso isolotto al centro del Mediterraneo; l'altro, a Nazca, nel Perù meridionale, quasi sulla sponda dell'oceano Pacifico. A Gozo, il tempio megalitico consacrato alla Grande Madre, di cui la planimetria dell'edificio cultuale ricalca la figura obesa, mi ha indicato la sponda di partenza del viaggio: l'esplorazione sistematica della Terra i'n quanto corpo della madre. A Nazca, nella pianura peruviana, la colossale figurazione composta di forme geometriche e di animali, tracciata sopra il terreno dall'uomo precolombiano, mi ha indicato sensibilmente il punto di arrivo di un viaggio che si è portato fuori dal corpo della Madre Terra. Unicamente la navigazione aerea ha reso accessibile all'uomo la visione unitaria di questo antichissimo lavoro di land art, costruito per restare vietato all'occhio dell'uomo e, all'opposto, visibile all'occhio invisibile degli dei. Ma oggi, lo sguardo degli dei che si posava, decifrandone l'enigma, sopra queste gigantesche immagini, risulta sdoppiato e sorpassato dallo sguardo tecnologico. A causa di questo superamento, il punto di vista degli dei è diventato il punto di vista molto ordinario dell'uomo. Sporgençlomi dal finestrino del biplano, sotto il quale scorreva la pianura figurata di Nazca, sentivo che anch'io stavo compiendo un gesto di distacco e di ingresso; violavo qualcosa e penetravo in una nuova dimensione, di cui mi rimane difficile, allora come oggi, segnare anche solo i contorni. La vertigine che allora mi ha raggiunto non era provocata dall'altezza materiale o dalle acrobazie del piccolo aereo, ma dal familiare che, aprendosi per la prima volta sotto di me in tutta la sua interezza, mi disvelava l'abisso nascosto al suo interno.
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