Alfabeta - anno IX - n. 101 - ottobre 1987

pagina 36 Saggi Alfabeta 1_01 L'irrazionale T ra poco, percorrendo gli stand della Buchmesse, vedremo che, come reazione al crollo delle grandi filosofie razionalistiche della storia, e di fronte a una crisi di sfiducia nei confronti della tecnologia e della scienza, molti tra coloro che nei decenni scorsi pensavano all'azione politica o scientifica come a un progetto razionale di trasformazione del mondo, ora si rivolgono al Sacro e al Mistero. Negli scaffali delle librerie dove venti anni fa appariva La distruzione della ragione di Lukacs, ora sono in vendita opere di Julius Evola, di René Guenon, di Gurdjieff, di Titus Burchkardt e di maestri del pensiero orientale, manuali di alchimia, astrologia, divinazione, magia nera. L'impressione che se ne ricava è che avesse ragione Chesterton quando affermava: «Da quando gli uomini non credono più in Dio non è che non credano più a nulla: credono a tutto». Siamo di fronte a manifestazioni di Irrazionalismo? È difficile definire l'Irrazionalismo senza avere una nozione filosofica di Ragione. Purtroppo tutta la storia della filosofia occidentale sta a dimostrare che questa definizione è mutevole e controversa. Un modo di. pensare è sempre irrazionale rispetto al modello storico di un altro modo di pensare che si presenta come razionale. La logica di Aristotele non è la logica di Hegel, Ratio, Raison e Vernunft non hanno lo stesso significato. Un modo per capire i concetti filosofici è spesso quello di ricorrere al linguaggio comune. Se abbandono i sostantivi astratti, trovo che in tedesco l'aggettivo Irrational significa unsinnig, unlogisch, unvernunftig, sinnlos; in italiano illogico e assurdo; in inglese senseless, absurd, nonsensical, incoherent, delirious, farfetched, inconsequential, disconnetted, illogic, exhorbitant, extravagant, skimble-skamble. Sembra troppo poco per definire delle posizioni filosofiche ed estetiche rispettabili. Tuttavia questi termini indicano tutti qualcosa che va la di là di un limite segnato da una norma. Uno degli antonimi di Unreasonableness (dato dal Roget's Thesaurum) è Moderateness. Essere moderato significa stare nel Modus, e cioè nel limite e nella misura. Questa parola ricorda due regole che abbiamo ricevuto dalla civiltà greco-latina: il principio logicò del modus ponens e il principio etico affermato da Orazio: «Est modus in rebus, sunt certi denique fines quos ultra citraque nequit consistere rectum». 1 Forse, partendo dal modello di razionalità greco-latino, potremo prudentemente definire come irrazionale tutto ciò che appare deviante rispetto ai limiti segnati da quelle norme, che stanno alle origini della nostra cultura. Dobbiamo dunque chiederci che cosa fosse irrazionale «ieri» per capire che cosa sia irrazionale «oggi». Per il razionalismo greco, da Platone ad Aristotele e oltre, conoscere è conoscere attraverso la causa. Anche definire Dio significa definire una causa dopo la quale non ci sia più un'altra causa. Per poter spiegare il mondo attraverso cause occorre elaborare una nozione di catena unilineare: se un movimento va da A verso B, nessuna forza al mondo potrà fare che vada da B verso A. Per fondare l'unilinearità della catena causale occorre avere assunto alcuni principi: il principio di identità (A=A), il principio di non contraddizione (è impossibile che qualcosa sia A e non sia A nello stesso tempo) e il principio del terzo escluso (o A è vero o A è falso e tertium non datur). Da questi principi deriva il modo di ragionamento tipico del razionalismo occidentale, il modus ponens: se p allora q; ma p: allora q. Questi principi prevedono, se non il riconoscimento di un ordine fisso del mondo, almeno un contratto sociale. Il razionalismo latino accetta i principi del razionalismo greco ma li trasforma e arricchisce in senso giuridico e contrattuale. La norma logica è modus, ma il modus è anche limite, e quindi confine. L'ossessione latina del confine spaziale nasce col mito della fondazione: Romolo traccia un confine e uccide il fratello pèrché non lo rispetta. Se non si riconosce un confine non può esserci civitas. • • • Orazio Coclite diventa un eroe perché ha saputo trattenere il nemico sul confine, un ponte gettato tra i Romani e gli Altri. I ponti sono sacrileghi perché varcano il sulcus, il cerchio d'acqua che definisce i limiti della città: per questo la loro costruzione può avvenire solo sotto un rigido controllo rituale del Pontifex. L'ideologia della Pax Romana, e il disegno politico di Augusto, sono basati sulla precisazione dei confini: la forza dell'Impero sta nel sapere su quale vallum, entro quale limen occorre impostare la difesa. Quando non si avrà più una chiara nozione dei confini e i barbari (nomadi, che hanno abbandonato il territorio di origine e si muovono su qualsiasi territorio come se fosse il loro, pronti ad abbandonarlo) avranno imposto la loro visione nomadica, Roma sarà finita e la capitale dell'Impero potrà essere ovunque. Giulio Cesare, nel varcare il Rubicone, non solo sa che sta commettendo un sacrilegio: sa anche che, una volta che lo avrà commesso, non potrà più tornare indietro. Alea iacta est. Infatti ci sono confini anche nel tempo. Non si può cancellare quello che è stato fatto. Il tempo non è reversibile. Questo principio regolerà la sintassi latina. La direzione e l'ordine del.tempo, che è linearità cosmologica, si fa sistema di subordinazioni logiche nella consecutio temporum. Il pensiero può riconoscere, allineare e «guardare» i fatti solo se ha prima trovato un ordine che li colleghi. E si pensi infine a quel capolavoro di realismo fattuale che è l'ablativo assoluto. Esso stabilisce che qualcosa, una volta fatto, o presupposto, non può essere più messo in questione. C'è una quaestio quodlibetalis di San Tommaso (V, 2, 3) che si chiede «utrum Deus possit virginem reparare» - e cioè se Dio possa fare sì che una donna che ha perso la verginità possa essere reintegrata nella propria condizione originaria. La risposta di Tommaso è decisa. Dio può perdonare e quindi restaurare la vergine nello stato di grazia, e può ridonare alla vergine la propria integrità corporale, attraverso un miracolo. Ma neppure Dio può fare che quello che è stato non sia stato, perché questa violazione delle leggi temporali ripugnerebbe alla sua natura. Dio non può violare il principio logico per cui «p è avvenuto» e «p non è avvenuto» apparirebbero come contraddittori. Alea iacta est. Questo modello di razionalismo è quello che domina ancora le matematiche, la logica, la scienza e la programmazione dei computer. Ma esso non esaurisce quella che chiamiamo eredità greca. È greco Aristotele ma sono greci i misteri eleusini. Il mondo greco è continuamente attirato dall'apeiron (l'infinito). L'infinito è ciò che non ha modus. Sfugge alla norma-. Affascinata dall'infinito la civiltà greca elabora, accanto al concetto di identità e non contraddizione, l'idea della metamorfosi continua, simbolizzata da Hermes. Hermes è volatile, ambiguo, padre di tutte le arti ma dio dei ladri, iuvenis et senex a un tempo. Nel mito di Hermes vengono negati i principi di identità, di non contraddizione e di terzo escluso, le catene causali si riavvolgono su se stesse a spirale, il dopo precede il prima, il dio non conosce confini spaziali e può essere, in forme diverse, in luoghi diversi nello stesso momento. H ermes trionfa nel corso del secondo secolo d.C. Il secondo secolo è un'epoca di ordine politico e di pace, e tutti i popoli dell'Impero sembrano uniti da una lingua e da una cultura comune. L'ordine è tale che nessuno può più sperare di alterarlo con alcuna operazione militare o politica. È l'epoca in cui si definisce il concetto di enkyklios paideia, di educazione globale che mira a produrre una figura di uomo completo e versato in tutte le discipline. Ma questo sapere descrive un mondo perfetto e coerente, mentre il mondo del secondo secolo è un crogiuolo di razze e di lingue, un càrrefour di popoli e di idee, dove vengono tollerati tutti gli dèi. Queste divinità avevano avuto per ciascun popolo un significato profondo, ma nel momento in cui l'Impero dissolve le patrie locali esso dissolve anche la loro identità: non ci sono più differenze tra Iside, Astarte, Demetra, Cibele, Anaitis e Maia. L'universo culturale del secondo secolo assomiglia alla Buchmesse, dove sono democraticamente accettati tutti i libri e tutte le descrizioni di tutti gli universi possibili, tutti in contraddizione tra loro. Conosciamo la leggenda del califfo che ordina la distruzione della biblioteca di Alessandria argomentando: o questi libri dicono le stesse cose del Corano, e sono inutili, o dicono cose diverse, e sono falsi e dannosi. Il califfo conosceva e possedeva una Verità e sulla base della sua verità giudicava i libri. L'ermetismo del secondo secolo invece cerca una verità ch·e non conosce, e possiede solo dei libri. Pertanto immagina o spera che ogni libro contenga una scintilla di verità, e che tutte si riconfermino tra loro. In questa dimensione sincretistica, entra in crisi uno dei principi del modello razionale greco, quello del terzo escluso. Molte cose possono essere vere nello stesso momento, anche se si contraddicono tra loro. Ma se i libri dicono la verità anche quando si contraddicono, allora ogni loro parola è una allusione, una allegoria. Essi dicono Altro da quello che sembrano dire. Ciascuno di essi contiene un messaggio che nessuno di essi, da solo, potrà mai rivelare. Per capire il messaggio misterioso contenuto nei libri, occorreva cercare una rivelazione al di là dei discorsi umani, che pervenisse per annuncio della divinità stessa, attraverso i modi della visione, del sogno o dell'oracolo. Ma una rivelazione inedita, mai udita prima, dovrà parlare di un dio ancora ignoto e di una verità ancora segreta. Una sapienza segreta è una sapienza profonda (perché solo ciò che giace sotto la superficie può rimanere ignoto a lungo). Così si identifica la verità con ciò che non viene detto, o che viene detto in modo oscuro e deve venire capito al di là dell'apparenza e della lettera. Gli dèi parlano (oggi diremmo: l'Essere parla) attraverso messaggi geroglifici ed enigmatici. Ma se la ricerca di una verità diversa nasce da una sfiducia nel sapere contemporaneo, questa sapienza dovrà essere

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