Dall'Oriente ·Scrittooriggia Pechino S i alza un sasso e si scopre un brulicare insospettato di vita. Mi è sembrato di alzare questo sasso da quando ho cominciato a frequentare a Pechino i poeti e gli scrittori non ufficiali. Di loro cominciamo a conoscere alcuni nomi, ora che è uscita in Italia una breve antologia, inclusa nella rivista «In forma di parole», a cura di Claudia Pozzana e Alessandro Russo. A Pechino invece se ne sa un po' meno. Non si nascondono per motivi politici, anche se la clandestinità è funzionale al loro esistere come scrittori. Molti di loro infatti hanno cominciato a scrivere agli inizi degli anni settanta, quando già il fatto di tenere la penna in mano equivaleva ad una pericolosa presa di posizione politica. Hanno quindi imparato a nascondere la loro scrittura e a passarsene di mano in mano i frutti ghiotti e proibiti. E questa abitudine al contatto fisico tra loro, per riconoscersi da misteriosi segnali, come animali selvatici braccati, li costringe ancora ad andare avanti in branco, a comunicare attraverso una rete di collegamenti nascosti, che permette a ciascuno di conoscere sempre le più sottili variazioni che si registrano nel mondo creativo di tutti gli altri. Ma si tratta veramente di un gruppo, di un movimento organizzato? All'inizio sì. Nel 1978 avevano provato a mettersi insieme per voltare pagina. La loro idea comune aveva un nome, Menglong (confusione, stato di sopore, nebbia), una _rivista, «Jindian» (Oggi) e un programma nel quale esprimevano la volontà di ripartire dal presente, di entrare nelle confuse proliferazioni dell'io, dopo il tragico decennio che aveva cancellato l'individuo, di ritrovare le tonalità inquietanti, le tinte smorzate, i passaggi incerti, i contorni delle cose umane sfumati come nella nebbia, dopo tanto rosso violento, tanti spigoli taglienti, tanto manicheismo imperante. Pensavano che ormai ci sarebbe stato posto anche per quello che volevano dire: qualcosa di pericoloso, a quanto pare, se, dopo i primi numeri, la rivista venne soppressa e se ancora oggi, nella maggiore libertà fittizia che ii partito accorda allo scrittore, la loro presenza è ignorata o, peggio ancora, temuta. Da allora - si era agli inizi degli anni ottanta - è cominciata la loro diaspora. Hanno smesso di discutere, ciascuno è tornato al suo lavoro non statale, al suo «privato», un privato che è spesso faticoso, frustrante, pieno di problemi tra i più disparati, dallo spazio su cui appoggiare materialmente il proprio foglio di carta, alla possibilità di farlo leggere a qualcuno, dal dubbio che li coglie spesso sul significato della propria scrittura nei confronti di un pubblico non preparato a comprenderli, di una cultura ufficiale che li ignora e li teme e dalla quale vogliono orgogliosamente essere ignorati e temuti. Si sono ritrovati recentemente sulle pagine di un'antologia pubblicata nell'ambito di un'associazione universitaria di Pechino, antologia destinata però «ad uso interno», cioè non adatta, come le opere classiche più scabrose, ad arrivare nelle mani del lettore ingenuo e sprovveduto. Ora, l'antologia è introvabile e passa tra le mani degli studenti più sensibili e dei giovani aspiranti poeti come la «Nuova ondata di poesia» (Pechino, 1985). Attraversando Pechino di notte, tra gli scrosci dei temporali estivi e il fango che rende uniformi le strade in terra battuta dei degradati e spettrali quartieri della prima periferia, ho provato a bussare alle loro porte, di solito gelosamente chiuse anche a coloro che una volta vi entravano senza chiedere permesso. Parlare con l'altro, con il «diverso» che viene dal mondo esterno, non vuol dire solo essere interrogati, ma anche interrogarsi e interrogare: una specie di verifica di natura non esclusivamente letteraria, ma anche esistenziale. Perché viviamo così? Perché affrontiamo questo quotidiano e non un altro? Come siamo nei confronti del mondo esterno? Perché scriviamo a/in queste condizioni? Le ore, le parole sono corse a fiumi, senza stanchezza, con una strana esaltazione da entrambe le parti e un'inquietudine che nasceva dalla certezza di non poter rispondere a tutti gli interrogativi, del resto troppo generici, anche se ci giravamo attorno con caparbia, bevendo il tè amaro, mangiando la frutta anemica che il grigiore monsonico dell'estate cinese non insaporisce, nel caldo afoso delle loro stanzette affardellate di oggetti, libri, indumenti, scomodi ammassi quotidiani imposti dal sovraffollamento urbano, dal fatto di essere sempre in tanti, in troppi. Da ognuno di loro, ora che questi nomi hanno smesso di segnalare per me un indefinibile miscuglio di lecito e illecito, ho cercato di Vilma Costantini estrarre singoli frammenti, per tentare di ricomporre un tutto, quello che oggi si autodefinisce il versante non ufficiale ed autentico della letteratura cinese. Se le nuove parole d'ordine non prenderanno la direzione delle vecchie e il rilancio della politica culturale dei «Cento fiori» non diventa, come era successo nel 1957, una trappola per fare uscire allo scoperto le voci del dissenso, ma costituisce invece l'unica via lungo la quale si può mettere in moto qualcosa di nuovo, di creativo, nel senso più ampio del termine, a cui anche gli ambienti più illuminati della cultura ufficiale cominciano a dare il giusto valore, se insomma il miracolo di una rinascita culturale cinese si avyera, nonostante le nubi che si sono addensate di recente su tutto il settore della cultura, queste serate dal sapore vagamente goliardico costituiranno i germogli di un linguaggio comune. e on Bei Dao, il più noto non solo in Cina ed anche il più anziano del gruppo, che è anagraficamente omogeneo (30-40 anni), abbiamo cominciato a distinguere gli scrittori cinesi contemporanei in due categorie, stendendo un elenco dei veri e dei falsi. «La confusione - dice Bei Dao - nasce prima di tutto nella nostra critica letteraria, ancora troppo ingenua e semplicistica, che non sa o non vuole allontanarsi da un'analisi rigidamente contenutistica. Si guarda alla emblematicità dei personaggi, dei fatti narrati. Se da una parte la scrittura continua a servire per esemplificare casi tipici, la critica dall'altra non si preoccupa minimamente di mettere in luce il vuoto che si nasconde dietro una scrittura così concepita.» Gli chiedo che fine ha fatto da loro la ricerca formale, che tanto ci ha tenuto occupati nelle nostre latitudini. «È un processo naturale con cui alla lunga bisogna fare i conti. I giovani da noi stanno vivendo in simultanea le esperienze letterarie del Novecento. Dal simbolismo alla trash-literature. » Ci addentriamo poi nelle sue esperienze di poeta e romanziere più conosciuto all'estero che in patria, che non percepisce stipendio dall'Associazione degli scrittori, ma si arrangia come può, che ha pubblicato a sue spese o su riviste underground, oppure in quel rifugium peccatorum che è costituito dall'editoria di Hong Kong. E Bei Dao, che nel look personale, nel modo asciutto e controllato di porre le domande e di rispondere ha già qualcosa del cinese d'oltre oceano, evita di cadere nei soliti stereotipi. «Se dovessi parlare della mia poesia lo farei scrivendo altre poesie. I miei maestri? Sì, certo, ognuno, dichiaratamente o no, ha avuto dei maestri. La nostra generazione è stata accusata di occidentalismo. La letteratura occidentale rappresenta certamente una boccata di ossigeno salutare, ma per quanto mi riguarda i nostri classici hanno ancora qualcosa da dire.» «Il problema è fare i conti con i lettori» - dice Meng Ke, che rappresenta bene, con schiettezza, il ruolo del poeta puro, indifferente a vecchi e nuovi conformismi, consapevole dell'isolamento ma anche della irrinunciabilità del fare poesia. «All'inizio, nel 1972-1973 eravamo noi stessi i nostri lettori. Oggi c'è un vero pubblico della poesia ed è in continuo aumento. Sta a noi poeti non deluderlo. Certo che in questo secolo gli abbiamo dato poco.»· Lui è paradossale, butta tutto al macero, sembra non accettare del tutto neppure il mito di Lu Xun, che è considerato il maggiore scrittore cinese del Novecento. «Sono convinto che l'assenza di grandi talenti letterari in Cina non sia da attribuire a fatti di natura economica o politica. Lu Xun stesso, del resto, è il prodotto di un'epoca ben più difficile di quella attuale.» «Quale sarà il vostro peso specifico nella letteratura del vostro paese?» Giro la domanda ad un poeta e romanziere, che insegna economia in una delle zone aperte agli investimenti stranieri nel sud della Cina. È tornato a Pechino per le vacanze. Attraverso misteriosi canali ha sentito parlare dei nostri incontri e vuole parteciparvi. «Dalla nostra generazione probabilmente non emergerà nessuna personalità di rilievo, ma il lavoro che stiamo facendo preparerà il terreno per le nuove generazioni. Uno scrittore del resto non ha alcun peso tra i suoi contemporanei. Se lo avrà, sarà più tardi.» «E gli scrittori più anziani, quelli che oggi sono molto popolari?» «Da loro non esce più niente ormai. Tuttavia è quello che loro scrivono che continua a condizionare il gusto del pubblico e a trovare spazio nell'editoria.» «Quali sono le opere di successo?» «A parte una letteratura di consumo vera e propria (arti marziali, biografie romanzate) il pubblico medio chiede 'storie vere', con largo spazio al sentimentalismo e all'umanitarismo. I miei racconti, dove i fatti sono in secondo piano e i sentimenti dei personaggi non sono espressi direttamente, dove non accade niente di particolarmente drammatico o commovente, non hanno le carte in regola per il successo.» Con Duo Duo, poeta e scrittore dalla personalità vivace, curiosissimo del nuovo, che filtra secondo lui troppo lentamente e non nell'ampiezza voluta, le chiacchiere ci hanno portato lontano. «Da noi l'arte è stata vista sempre come uno strumento. Oggi invece alcuni vogliono recuperare la vostra vecchia concezione del- !' 'arte per l'arte'. Io credo che in questo campo non ci si possa ripetere. Occorre trovare nuovi sentieri e ripensare la tradizione da angolature diverse.» «Quello che voi indicate come tradizione, all'esterno appare come un magnifico tessuto pieno di buchi.» o0 «Sì, i nostri ritmi sono stati di- c:::s .s versi: grandi periodi di stasi e poi ~ tentativi di recupero in fretta. Ho I::).. t--._ letto le ultime traduzioni di poesia ~ italiana contemporanea: Montale, ......, Sereni, Porta. Si può seguire un J; percorso ideale ininterrotto che ~ parte da Dante e arriva ai giorni ~ "' nostri, senza interruzioni. Da noi e:, non è così. Occorre ritrovare i no- 2: stri passi perduti. Solo così potre- t: mo misurare la nostra letteratura .:! ~ con un metro universale.» -e ~ c:::s
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