Alfabeta - anno IX - n. 100 - settembre 1987

Cfr. Schede Il primo racconto di Stevenson Federico Vercellone In un affascinante saggio su I fondamenti filosofici del ventesimo secolo, Hans-Georg Gadamer si è soffermato sulla natura contraddittoria del diciannovesimo secolo. È un'epoca nella quale «la struttura tradizionale della chiesa cristiana, la coscienza nazionale dello stato moderno e la morale della coscienza privata» convivono, senza apparenti contraddizioni, con il grande sviluppo tecnicoscientifico e il suo sconvolgente impatto sulla realtà. La letteratura costituisce spesso un eloquente testimone di questa sovrapposizione di piani. Ci si può levare nell'aurora del secolo - come fa, non solo metaforicamente, l'areonauta Giannozzo di Jean Paul con la sua mongolfiera - per scrutare ironici e pervasi dalla vaga ebbrezza delle grandi altezze la mediocrità della vita borghese. O si può cadere vittima delle malie della metropoli, come accade negli ottocenteschi albori del Novecento alla Signora Berta Gartlan di Schnitzler, insoddisfatta della continuità rassicurante e un po' torpida della vita provinciale. Ma può anche accadere che l'orizzonte delle certezze tradizionali s'identifichi con quello della fiction, fornendo una salda architettura narrativa per guardare al di là. Ce lo testimonia A Lodging for the Night, il primo racconto di Stevenson, di recente pubblicato dall'editore Novecento con il titolo Una vicenda di François Villon, insieme al saggio François Villon. Studente, poeta e scassinatore. Qui lo sguardo del narratore sembra sporgersi sulla vicenda che descrive: l'architettura narrativa costituisce un saldo baluardo per guardare alla vita dissoluta di Villon, poeta ammirato da Stevenson ma - al tempo stesso e confessatamente - ladro e malvivente. I luoghi oscuri della Parigi quattrocentesca, i torbidi accadimenti. di una misera vita metropolitana (nella quale già si cela quell'esperienza dello choc che verrà descritta da Benjamin) si susseguono nel breve, intenso lasso di tempo di una notte nervosa. Il poeta fugge, dopo l'ennesima gozzoviglia, da una casupola situata in un cimitero, divenuta il teatro di un inatteso, subitaneo omicidio. Cerca rifugio e conforto nella notte in una Parigi tetra e deserta; perseguitato dai fantasmi della possibile punizione, ossessionato dall'idea di essere prima o poi scoperto e impiccato, s'imbatte inavvertitamente in una tragica presenza notturna: il cadavere di una prostituta morta assiderata. Le sottrae - con un gesto impietoso e granguignolesco - una monetina che questa teneva nascosta in una giarrettiera, e riprende il suo cammino. Gli viene negata ospitalità nella casa paterna, e allora cerca a caso, volgendosi alle rade finestre illuminate. E infine la questua del poeta déraciné può - sia pure temporaneamente - concludersi; una porta gli si apre e, ad aprirla, è un anziano nobiluomo, un maestro d'armi, campione di un codice d'onore e di rettezza sistematicamente infranto dal poeta. E con questo incontro nel quale si profila un vis à vis, talvolta fidente, talvolta ostile e sarcastico tra due mondi del tutto estranei, si conclude la narrazione. Ma nel frattempo è avvenuto qualcosa di decisivo: la cornice narrativa è venuta a contatto con i suoi contenuti. Robert Louis Stevenson Una vicenda di François Villon A cura di E. Chiavetta Palermo, Novecento, 1987 pp. 97, lire 10.000 La parola del silenzio Maria Lenti Interrogarsi sulla parola, sulla scrittura e sulla letteratura, non solo in un dato (perché tale lo si vuole) libro, ma anche a margine: Il libro dei margini di Edmond Jabès potrebbe essere una fitta tramatura, appuntata, sul rapporto - e la relazione - tra scrivere ed essere. Ma è di più. Esso accompagna, dal 1975 al 1984, le opere poetiche di Jabès che seguono a Le livre des questions: di alcune è l'incunabolo oppure l'annuncio, la prefigurazione; ad altre semplicemente rinvia. Ma, in fin dei conti, è un libro a sé, pieno di annotazioni, pensieri, pensieri di altri autori (da Leiris a Blanchot, da Max Jacob a Kafka, ecc.), interrogazioni continue sulla scrittura e sul proprio sé (come identità) nella scrittura. Con quell'attenzione, specifica ogni volta, al Libro, non per nulla fulcro in ciascun titolo di Jabès. Che cos'è la scrittura, da dove germina, ma anche dove e quando cessa di essere Libro per diventare un altro libro: la parola come intermittenza del silenzio, come evidenza del mistero. Allora, dice Jabès, tutte le domande sono vere perché partono da una necessità: quella del silenzio; ma la risposta si fermerà su un'altra domanda: che cosa io divento. «Je suis ce que je suis», con una doppia valenza nella lingua francese, poiché suis è presente indicativo di essere e di seguire. La risposta, dunque, non è mai appagante. (D'altronde, una conferenza all'Università di Urbino tenuta da Jabès aveva il significativo titolo: Poesia, Filosofia, Critica, con l'intervento di due critici, Gualtiero De Santi e Anna Panicali, e di un filosofo, Italo Mancini.) Giustappunto perché da una parola all'altra nel continuum delle interrogazioni densamente intelaiate, particolari, al fondo dell'essere, l'io si modifica, o tenta una propria determinazione. Non solo in relazione ad un passato (vi sono pagine, nel Libro dei margini, sulla storia tutta interiore - ma anche esteriore là dove il nostro secolo s'è oscurato di umanità ed è stato pervaso da follia omicida - dell'ebreo e della cultura ebraica, con un senso di sofferenza interrogante per l'erranza, riferibile anche a Jabès, nato al Cairo e costretto a trasferirsi in Francia nel 1957), ma puntata anche sul presente sulla scorta di lettere, autori, testi, parole. Il colloquio avviene con questa varietà di materiali, in un fitto dialogo tra scrittura e scrittura. Sebbene vi si possa ravvisare una certa sistematicità critica - dunque, una indiretta traccia della poetica di Edmond Jabès - penso valga quel che afferma lo stesso autore: «I testi qui raccolti sono destinati a restare a margine delle mie opere. Bisogna conservare loro questo carattere marginale, sottolinearlo anche, così che la lettura diventi più libera». In questa direzione si è mossa Anna Panicali nella introduzione: senza forzature né cavilli, ma con una distesa e approfondita disamina a margine (sul cammino, ovviamente, del testo del poeta francese), lasciando ai pensieri dello scrittore, vari e imprendibili, sfuggenti proprio quando si crede di averli afferrati, pieni di desertitudine, la loro magmatica sostanza. Sì che ne esce, dalla lettura, appieno il senso appunto di desertitudine, che per l'autore vale a dire eternità. Nella parola deserto, per Edmond Jabès, c'è quel silenzio delle pietre iniziato prima del mondo stesso; silenzio che permette di udire; silenzio la cui storia è, forse, la storia del mondo. Qui, la radice profonda, diffusa e finissima, della cultura ebraica e della riflessione del poeta appare essere - ancora una volta - il Libro. La circolarità «essere e scrittura» sembra chiudersi per di nuovo riaprirsi su altre e diverse interrogazioni. Edmond Jabès Il libro dei margini tr. di Laura De Biagi e Anna Panicali Introduzione di Anna Panicali Firenze, Sansoni, 1986 pp. XXI - 212, lire 28.000 Tommaso Di Francesco Piero Del Giudice Tommaso Di Francesco viene, con questo libro-antologia di altro edito ed inedito lavoro poetico, alla sua proposta più rappresentativa: Cliniche, il titolo. Ed appaiono cliniche, luoghi più o meno banali, più o meno sinistri di asilo, di contenzione, di impossibili guarigioni. Nell'approssimare una definizione dei suoi versi, l'Autore scrive: «I miei versi sono occasioni di viaggi per riaccompagnare, in uno stato personale, quello della poesia, febbrile, quasi di malattia. Eppure unica ed inalienabile ragione e serenità». Dunque la poesia è uno stato, è altro che interviene, è altro da sé che possiede. Questo altro da sé si manifesta con un conflitto, con una collutazione ed un turbamento. Di Francesco ha lavorato molto su questo rapporto ed ha volta a volta identificato questo rapporto con altri segni, altre lingue della realtà, altri ora chiari ora davvero oscuri manifestarsi. Protraendo il discorso: il manifestarsi poetico, il balenare di senso della parola; irrompe in stasi e rigidità, fiammeggia dentro condizioni di atonia. Il «viaggio per riaccompagnare» - a parte gli espliciti, fisici e netti riferimenti di alcune poesie del 1967 - 1968 - è, detto in prosa, quanto può accadere all'accompagnatore «sano» del «folle», vale a dire confondersi drammaticamente l'uno all'altro. Nel poemetto con questo titolo un passaggio tanto fitto e inestricabile quanto una fotografia di gemelli di Diane Arbus: «[... ] la pazzia nostra d'età! che se ne esce, / ma più spesso rimane se stessa / quando riaccompagni / secondo vie segnate, disegnate/ dalle precedenti parole, tutta/ l'impossibile volontà». La metafora dello stato di possedimento si dilata nella poesia di questi testi investendo il campo: quello della condizione politica di una generazione che nell'urlo pubblico delle proprie ragioni collettive trovò il suo medium e la condizione ipotetica e alternativa ai media; quello di una condizione più che sociale urbana - Roma - con una ripresa densa, storica, molto colta, della questione-marginalità in quell'urbe. Per ritornare queste storiche e quotidiane azioni, nel più vasto conflittuare, nel nodo e nella materia dei limiti naturali e della impossibile individuazione di confine tra ciò che storicamente - Stato, condizione sociale ecc. - si oppone e determina, mercifica, e ciò che in visceri, predeterminazioni, ed anche destini, ci segna. Di Francesco affronta esplicitamente queste densità, traendone - nella prima parte e più antica della raccolta - poesie di fisiche apparizioni dentro gordiani viluppi di contesti materici e verbosi, appassionate ed anche furenti contrapposizioni tra i tempi ed i dilemmi del soggetto e le ipotesi collettive lineari, demidiate e insofferenti delle differenze. «[.. ] modcdla sull'incoscienza, modelli sporco / t'appoggi sereno nella carne,/ l'atto per l'atto per riscatdare per muovere I la mano in perdono a se stessa, / l'inesistenza forza delle parole, per la fine/ della fine possibile [... ]» e meglio più avanti: «[... ] di sapere la morte come forma artigiana / sapere ridere dei morti ieri I senza paura alzare la fiaccolata dei cervelli, / la strada l'hanno presa le vie, l'hanno I aperta alla voce.» L'Autore è coscienza critica, di fatto, delle totalità generazionali e delle totalità-mito della generazione precedente, quella misuratasi sul secondo conflitto mondiale e sulla fondazione della democrazia. Nato nel '48, ingaggia un conflitto aspro, con ostacoli di grande rilevanza, con ambizioni smodate di generazione sua e con l'utopia ed il fallimento dei padri. I padri-capitani di Tom Gunn, il padre proprio immobilizzato e declinato nella crisi. La poesia di Di Francesco appartiene da subito alla letteratura critica, al rapporto intenso e sempre non soddisfatto con la realtà e la sua rappresentazione. A tal punto che vengono quasi naturali, sviluppo di presenza, maturità personale e storica alcuni passaggi: del percorso e del conflitto. Dalle migliori poesie d'esordio (Ventrale) ai poemetti finali. Ma prima di affrontare la parte finale del libro che dà testi che vanno dal 1978 al 1985, almeno un cenno al lavoro parallelo di prosatore e critico. Si tratta di esili libretti, l'uno - prefatto da Volponi - di racconti a titolo Doppio deserto (Pellicanolibri, 1985), l'altro per una breve antologizzazione di testi di vari poeti - da Eliot ad Antonio Veneziani - a titolo Elenca (Valore d'uso edizioni, 1982). Nelle sue prose Di Francesco conferma le complesse culture che gli fanno da riferimenti, sino al rischio. Da Pasolini a Pagliarani, così quest'ultimo anche in poesia, dall'insistenza di una letteratura simboleggiante (quasi debiti verso la più rarefatta letteratura latino-americana, mescolati a innesti veristi), sino all'originalità della sua alchimia, del suo rapporto con la metafora. Nel suo sforzo/divertimento di antologizzatore, in Elenca, Di Francesco propone una poesia di annuncio e di arrivo, di elencazione e rivelazione di oggetti, movimenti, persone dentro spazi dati. Si apre il libro in tu!ti i sensi con Marcia trionfale di Eliot. Davvero in queste predilezioni quanto all'esordio indicato: la poesia è nunzio, è arrivo, è movimento tanto più fisico quanto meglio, di sé al reale e viceversa, ed in questo l'irrompere del magico, il rivelarsi, la parola - infine - quella di Abelardo rispetto alla Logica, non flatus vocis, ma parole con una intenzione, volte a significare cose, o meglio qualità, date nell'esperienza. Ha fatto bene l'Autore a coprire con questo libro (Cliniche) un arco d'anni tanto drammatico per lui quanto per tutti, che vanno dal 1967 al 1985. L'arco delle passioni della parte di un secolo di inesausto dramma, squilibrio e passione, là misurandosi tutto questo con scansioni collettive, riconoscibili orizzonti per tutti fitti di vicende individuali. Dall'eloquenza subito guadagnata con Ultimo assedio - che è del 1978- declinati gli anni settanta nel loro senso, alla melanconia di Nostòi, ritorni (1985), prima passando attraverso la mimesi ed il filtro della lingua letteraria colta in Trobar (1981), poiché, come egli stesso afferma, questo fare poesia lavora «nell'assenza di un linguaggio attuale». - PIEROMANNI NOVITÀ Palazzeschi - Belleli Sotto il magico orologio Carteggio 1935-74 Presentazione di Emerico Ciachery lettura e vita in 40 anni di epistolario Vittorio Bodlni Corriere Spagnolo (1947-1954) a cura di Lucio Giannone 20 reportage e prose di vita e costume spagnolo Mario Lunetta Guerriero Cheyenne presentazione di Francesco Muzzioli. Un romanzo in cui l'improbabile è più certo del possibile. Roberto DI Marco L'Orto di Ulisse presentazione di Romano Luperini. Pseudo racconti politici, allegorie di un percorso interrotto. RIPROPOSTE Edoardo Cacciatore Graduali premio "Arcangeli libro dell'anno" 1987 pagine 112 lire 14.000 Segni di Poesia I Lingua di pace libro di poeti per la pace a cura di Filippo Bettini testi di Cacciatore, Caproni, Frabotta, Giuliani, Leonetti, Lunetta, Lusi, Malerba, Malfaiera, Niccolai, Ottonieri, Pagliarani, Porta, Rosselli, Salasca, Sanguineti, Talenti, Volponi, Zanzotto. pagine 104 lire 10.000 L'immaginazione, mensile di letteratura, si riceve solo per abbonamento - n. 40-42 aprile-giugno contiene 70 schede delle nuove riviste di letteratura e 35 schede di riviste stampate nel Salento. Le commissioni dirette con pagamento anticipato saranno evase senza alcun addebito di spese. Piero Manni v.le Leopardi 66 Lecce CCP 11383734 RIPOSTES ESTATE'87 ,.. ·- "ì [ Dante:e M,Jster Eckhart i r Letture per il t~po della fine l I ' ' r di Rubitp Giorgi ~ I • 1 ( I Ripqstes .; Pagine 120, lire 10.000 LACULTURADELGIARDINO ATIRAVERSOLASTORIA Pagine 120, 16 tavole nel testo, lire 28.000 EDIZIONIRIPOSTES çaselle Postale 135 84100SALERNO TEL. (089) 323896 C.C.P. 12548848

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