Alfabeta - anno IX - n. 100 - settembre 1987

modo assoluto: infatti essi devono morire. Con le parole di Heidegger: essi sono «per la morte». La loro vita è limitata nel tempo: vita brevis. Per la scelta assoluta la vita umana è troppo breve. In forma del tutto elementare: gli uomini semplicemente non hanno tempo sufficiente per scegliere in modo assoluto o per rifiutare ciò che - in modo casuale - già sono; e per scegliere, o addirittura per scegliere assolutamente, al posto di ciò che sono qualcosa di completamente diverso o di nuovo: la loro morte è costantemente più veloce della loro scelta assoluta. Al programma di assolutizzazione dell'uomo si contrappone dunque la sua realtà effettuale, che reca l'impronta della mortalità. Il mio intento è di rendere nota la possibilità di riconoscere filosoficamente questo fatto per mezzo dell'apologia del casuale. 2. Sull'inevitabilità delle consuetudini. [... ] Il tentativo moderno che rappresenta la messa fra parentesi dell'essere e della realtà effettuale - l'abbandono della realtà umana, nella misura in cui non è assoluta - è costituito dal cosiddetto «dubbio metodico». Descartes, nelle Meditazioni, lo ha sviluppato per quanto riguarda la sfera teoretica. La regola cartesiana del dubbio stabilisce: in dubio contra traditionem, ovvero: tutto ciò che non è assolutamente vero e che quindi potrebbe essere falso (potrebbero esserlo tutti i giudizi presenti nel nostro sapere), deve· essere trattato come se fosse realmente falso, finché, grazie al scientia more certa methodo, venga dimostrato vero e/are et distincte, cioè assolutamente. Finché questo non si verifica, tutti i giudizi devono essere sospesi. Infatti tutti i giudizi non sono consentiti finché non vengono vietati dalla falsificazione, ma sono vietati finché non vengono consentiti dalla verificazione assoluta. Il sapere rimane sospeso finché non è assoluto. Sotto il profilo pratico, il dubbio metodico è stato ripreso dai rappresentanti dell'etica del discorso, per esempio Ape! e Habermas: l'etica del discorso è il dubbio metodico applicato alle norme dell'azione. La sua regola del sospetto stabilisce: in dubio contra traditionem (ossia conventiones), in altri termini: tutto ciò che non è bene in modo assoluto, cioè in modo probante (per mezzo del consenso scaturito dal discorso libero dal dominio) e che dunque potrebbe essere male (potrebbero esserlo tutti gli orientamenti d'azione presenti), deve essere trattato come se fosse realmente male, e precisamente finché, per mezzo del discorso assoluto, non venga giustificato come bene in modo assoluto, c10e consensualmente. Finché ciò non accade, tutto l'agire convenzionale deve essere sospeso, deve essere sussidiariamente sospettato: infatti tutti gli orientamenti della vita pratica non sono consentiti finché non vengono vietati dalla dimostrazione di malignità, ma vengono vietati finché non sono consentiti in forma assoluta grazie alla legittimazione discorsiva. In entrambi i casi - sia in Descartes che nell'etica del discorso - il presente viene accuratamente negato: il consueto - cioè il sapere che vale perché era già valido, le indicazioni relative all'agire che valgono perché erano già valide - viene annullato metodicamente in nome dell'assoluto. [... ] Si può quindi dire: il programma dell'assolutizzazione dell'uomo è per gli uomini la filosofia per la loro vita dopo la morte, che lascia però aperto il problema di una filosofia per la loro vita prima della morte. E proprio per la vita che precede la morte gli uomini hanno bisogno della filosofia. Se dunque la filosofia assoluta non c'è ancora - causa la durata assoluta della sua scelta assoluta - e se le consuetudini non ci sono più - causa la loro negazione metodica assoluta, essendo state messe in dubbio e sospettate - deve chiaramente insorgere un sostituto ad interim in grado di orientare la vita, che sopraggiunga in questo vuoto temporale che è. la nostra vita. In Descartes ciò costituiva, nella terza parte del Discorso, l'argomento per la cosiddetta «morale provvisoria». La sua immagine era: se si demolisce la propria casa per costruirne una nuova, bisogna occuparsi di trovare una sistemazione provvisoria. A mio parere questo non vale solo, come credeva Descartes, per la morale, ma anche per la conoscenza e per gli orientamenti della vita umana in generale. [... ] La filosofia degli orientamenti provvisori della vita non è altro che la filosofia delle consuetudini presenti, che sostiene: senza queste consuetudini - tradizioni, costumi, usanze del sapere e dell'agire - non possiamo vivere. Esse non sono aggirabili - ~on o senza il programma di assolutizzazione dell'uomo-: inevitabilmente. Grazie ad esse la scelta che noi siamo viene subita come la non-scelta che noi siamo: il futuro esige provenienza, la scelta esige consuetudini. [... ] 3. Noi uomini siamo in ogni momento più i nostri casi che la nostra scelta. [... ] Il concetto della finitezza del casuale (contingente) che deriva dalla teologia cristiana della creazione - «contingens est, quod nec est impossibile nec necessarium», ossia «contingens est, quod potest non esse» - pensa anche ciò che potrebbe non essere, ossia ciò che potrebbe essere altrimenti: ma questo fatto, se non si guarda a partire dalla prospettiva della creazione divina ma, umanamente, dalla prospettiva del mondo-della-vita, a partire cioè dall'uomo, ha una doppia natura. Infatti, o il casuale è «ciò che potrebbe anche essere altrimenti» ed è da noi modificabile (per esempio si può mangiare salsiccia oppure lasciarla da parte e mangiare formaggio; e per voi questo testo potrebbe· essere salsiccia, perché è formaggio, oppure potrebbe anche non essere affatto o essere svolto in modo diverso); questo casuale, in quanto «ciò che potrebbe anche essere altrimenti» e da noi modificabile, è un qualsivoglia che può esse"rescelto o rifiutato a piacimento: lo definirò il casuale del qualsivoglia, il piacimento. Oppure il casuale è «ciò che potrebbe anche essere altrimenti» e non è affatto da noi modificabile (colpi del destino: malattie, nascite ecc.); questo casuale, in quanto «ciò che potrebbe anche essere altrimenti» e non è affatto - o solo in minima misura - da noi modificabile, è destino: estremamente resistente alla negazione e a cui non si può quasi sfuggire: lo definirò il casuale del destino, ciò che ha carattere di fato. In base a questa differenza, per gli uomini non c'è dunque solo un tipo di casualità, ma due: non c'è solo il casuale del qualsivoglia, ma anche il casuale del destino. Ora, a mio avviso, sono in prevalenza casi di questo secondo tipo, come datità ed eventi naturali e storici, che ci colpiscono e costituiscono la nostra vita. Ciò comincia, per partire dall'inizio, con la nostra nascita: noi potremmo anche non essere nati - o esserlo in un'altra epoca, in un'altra parte del mo~do, in un'altra civiltà e condizione di vita. Ma una volta esistenti, non possiamo fare più Etica e caso niente per annullare tutto ciò: soltanto un suicidio ha luogo ex suppositione nativitatis. Che la nascita sia un caso del destino, ce lo illustra Alfred Polgar nel suo commento a Sileno: «Il meglio sarebbe non essere nati: tuttavia, a chi può capitare?» Il casuale del destino è la realtà effettuale della nostra vita, poiché noi uomini siamo costantemente «incastrati nella storia», come dice Wilhelm Schapp; infatti, e questo ce lo ha indicato soprattutto Hermann Liibbe, le azioni diventano storia attraverso il fatto che ad esse qualcosa sopraggiunge, capita, accade. Una storia è una scelta nella quale irrompe qualcosa di casuale - che ha a che fare con la casualità del destino. Perciò non si possono programmare le storie, ma bisogna raccontarle. La nostra vita consiste di questa mescolanza fra azione ed evento casuale: queste sono le storie. Appunto perciò prevale in essa l'elemento casuale del destino. Casuale è anche il fatto che noi soggiaciamo alle leggi di natura scoperte dalle scienze naturali: noi potremmo anche essere sottomessi ad altre determinazioni, tuttavia ubbidiamo - casualmente - a queste. Però non potremmo mutare proprio questa particolare casualità: per l'uomo è un caso che ha carattere di fato. Il caso che ci colpisce nel modo più fatale e - qualora non lo si consil'epoca della veloce estraneità del mondo, in cui non si crescerà più in modo sempre maggiore - domina la visione giovanile della casualità. La paura del qualsiasi è un 'illusione ottica della gioventù, che persiste solo perché è valido il detto «che non c'è uomo che sia cresciuto». L'esperienza del carattere prevalente e dell'importanza vitale dei casi che ci lasciano la loro impronta, sebbene non si trovi nella nostra discrezione, è un'esperienza dell'età, che si può fare anche molto precocemente nella vita, poiché è altrettanto valida l'affermazione secondo cui ogni uomo - anche il più giovane - è già vecchio, cioè così prossimo alla morte da non aver in nessun modo tempo di cancellare in senso apprezzabile la casualità dei casi da cui la nostra vita è composta. È soprattutto questa esperienza dell'età che rivela la dominanza del casuale del destino, che deve essere fatta valere - di fronte al programma di assolutizzazione dell'uomo. Non soltanto - grazie alla scelta - noi non diamo mai alla nostra vita la prevalenza della necessità assoluta, in modo che rimanga casuale nel senso della casualità del qualsivoglia; ma non siamo neanche mai in grado di scegliere, né tanto meno di scegliere in senso assoluto, in modo essenziale la nostra vita e la sua realtà, tanto da farla restare casuale anNuova serie Mensile del cibo e delle tecniche di 1·itamateriale 84 pagine a colori, Lire 7.000 In questo numero Il tempo e la pancia De Chirico e le sue cuoche Indonesia In bocca a Cremona Abbonamento per un anno ( 11 numeri) Lire 70.000 Inviare l'importo a Cooperativa Intrapresa Via Caposile 2, 20137 Milano Conto Corrente Postale 15431208 Edizioni Intrapresa deri come la delizia di non dover continuare a girare senza posa - più duro, è la nostra morte: noi siamo, per caso fatale, condannati a causa della nostra nascita alla morte, cioè a quella brevità della vita che non ci lascia il tempo di scappare in misura corrispondente all'estro da ciò che per caso già siamo. La nostra mortalità ci costringe ad «essere» il caso del destino che per noi è il nostro passato, cioè di rimanere tali. Al passato appartengono, in forma decisiva ed essenziale, quei casi che costituiscono le consuetudini, che noi non scegliamo, ma nelle quali siamo conficcati. [... ] A mio avviso, nella filosofia si è dimenticato, oltre al casuale del qualsivoglia, anche il casuale del destino, per poter così rapidamente farla finita con il casuale e poterlo facilmente «allontanare». Ciò è evidente se si mantiene nel caso soltanto la visione assoluta o esterna - invece di insistere fenomenologicamente sulla visione interna, propria del mondo-della-vita, anche del casuale. Per esempio, nella discussione teologica sulla creazione, in quella stocastica o di teoria dei giochi compare di rado la prospettiva di ciò a cui qui si partecipa grazie alla creazione e ad altri casi. C'è anche una modificazione dello sguardo verso il casuale, che è in relazione con l'età. Nel mondo moderno - nelche e soprattutto nel senso del destino. Noi perveniamo alla vita e a noi stessi più attraverso casi che attraverso scelte o piani. E questo non è - come vorrebbe farci intendere la filosofia della scelta assoluta e dell'assolutizzazione dell'uomo - un motivo di infelicità, poiché il caso non è un'assolutezza " mal riuscita, bensì - condizionata dalla mortalità - è la nostra normalità storica. Noi uomini siamo in ogni momento più i nostri casi che la nostra scelta. Ma attenzione, non dico: noi uomini siamo soltanto i nostri casi; dico solo: noi uomini siamo non soltanto la nostra scelta. E più che mai noi uomini siamo costantemente più i nostri casi che la nostra scelta assoluta, e dobbiamo accettarlo, perché non siamo assoluti, ma finiti. Una filosofia che - scetticamente - valorizza l'ineliminabilità del casuale è, pertanto, una apologia del casuale. 4. La libertà umana vive della divisione dei poteri. [... ] La realtà dell'uomo è in prevalenza il casuale. Casuale è ciò che può essere anche altrimenti. Ma se può essere altrimenti, allora - anche se casualmente - è anche molto spesso altrimenti. La realtà casuale - casualmente - è spesso così e anche altrimenti, essa abbraccia la diversità: è polimorfica, variopinta. Questa policromia - e proprio essa - è la chance della libertà umana: è la possibilità di libertà che convalida la teoria della divisione dei poteri, poiché l'effetto della libertà politica dato dalla divisione politica dei poteri è solo un caso speciale dell'effe.tto di libertà scaturito dalla policromia universale della realtà. I casi che capitano all'uomo come destini, non sono uniformi e monolitici, ma - casua'lmente - si incrociano reciprocamente e così reciprocamente in certa misura si neutralizzano. [... ] Affermo quindi - e questa è la mia tesi, una tesi scettico-moralistica della divisione generalizzata dei poteri - l'effetto di libertà della sovradeterminazione e, di conseguenza, l'effetto di libertà della policromia universale della realtà umana naturale e storica. La circostanza che il casuale che colpisce l'uomo non sia un unico e indivisibile caso, ma consista di casi al plurale, questa circostanza, anch'essa casuale, fa sì che, nella forma di libertà al plurale, agli uomini la libertà capiti per caso. Quindi l'uomo non dovrebbe temere la determinazione, ma l'indivisibilità del suo potere. Perciò la sua libertà può lavorare alla realtà costruendo su ciò che - in virtù della policromia - compensa le costrizioni verso l'unità. Per esempio - accanto alle universalizzazioni assolute, alle uniformazioni e alle sincronizzazioni moderne - anche la dura costrizione all'unicità alla quale noi tutti siamo soggetti, perché abbiamo solo un'unica vita. Infatti possiamo sfuggire a questa costrizione grazie alla comunicazione con i nostri simili, grazie alla possibilità di vivere insieme le loro vite - poiché di molte si tratta - e di pluralizzare così la nostra stessa vita. Del resto è in generale importante che nella nostra vita entri il maggior numero possibile di determinanti: dunque anche le grandezze reali che determinano per mezzo dell'essere-osservato. È quindi conveniente per gli uomini, se i confini del loro osservare collassano. Le forme più umane, o addirittura troppo umane, di queste «reazioni-limite» - che appartengono a quelle che, come le reazioni di constatazione, formano la ragione umana: la rinuncia agli sforzi di rimanere stupidi - sono, come hanno mostrato Helmut Plessner e Joacbim Ritter, riso e pianto: dunque le forme sommesse del riconoscimento di casi del destino in precedenza non osservati e rimossi, i quali - bilanciando altre determinanti - condeterminano l'umano. Ridendo o piangendo accettiamo ciò che, ufficialmente, rimane escluso, ma che, ufficiosamente, è in gioco: cioè l'elemento casuale che giunge traversalmente - casualmente - all'ufficialmente accettato: grazie ad esso noi ridiamo o piangiamo liberamente. La disposizione al riso e quella al pianto - humour e melancolia - sono concrezioni di tolleranza e di compassione: atteggiamenti di rispetto, non solo umani ma anche troppo umani, della libertà e della dignità del1'uomo. Libero - e questo appartiene alle implicazioni e agli esiti delle mie riflessioni - libero è colui che può ridere e piangere; e ha dignità colui che ride e piange, e - tra gli uomini - soprattutto colui ~ che molto ha riso e molto ha pian- ~ to. Quindi anche queste reazioni- -~ limite, il riso e il pianto, sono for- e:.., I'-. me di ciò su cui volevo richiamare ~ l'attenzione: forme dell'apologia ......, del casuale. .t E ~ ~ "' Si ringrazia il prof. Odo Mar- ~ quard e l'editore Reclam (Stutt- ......, gart) per aver acconsentito alla ::! traduzione italiana, curata da Re- ~ nato Cristin, del testo qui presen- l ~ ~w. ~

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