Mario Vegetti Il coltello e lo stilo .Milano, Il Saggiatore, 19872 pp. 139, lire 16.000 Jacques Testart L'Oeuftransparent Préface de Miche) Serres Paris, Flammarion, 1986 pp. 216, s.i.p. B uona parte della cultura «alternativa» sedimentata dal1' esperienza politica e dalla pratica sociale dei movimenti degli anni sessanta e settanta, dal femminismo e dall'ecopacifismo degli anni ottanta riguarda, direttamente o indirettamente, la problematica del vivente. Nel corso di un ventennio sono emersi soggetti, pratiche, idee, bisogni, comportamenti anche eterogenei, in alcuni casi addirittura contraddittori, che sembrano tuttavia convergere nel tentativo di delineare un'etica che potremmo genericamente chiamare «organicista», nel senso che afferma il valore e l'autonomia dei processi di sviluppo del vivente in contrapposizione all'etica prometeica del dominio politico e scientifico e della manipolazione tecnologica dei processi naturali. I recenti sviluppi del dibattito epistemologico sulla nozione di complessità, a loro volta, alludono a uno stile di razionalità scientifica che attinge in misura crescente ai modelli teorici delle scienze biologiche, mettendo in discussione la tradizionale egemonia delle scienze fisiche; in questo senso la tendenza cui ho appena fatto cenno sembrerebbe ulteriormente confermata e ·rinforzata. In effetti, come ho tentato di mostrare in un recente saggio (cfr. Prometeo e Hermes, Napoli, Liguori, 1987), ciò è senza dubbio vero in relazione alle grandi correnti dell'immaginario tardomoderno; mi pare, tuttavia, che esista il rischio di dare per scontato una sorta di «corto circuito» fra discorso scientifico, discorso etico e culture dei nuovi movimenti, proposto di volta in volta come «nuovo paradigma» scientifico, traduzione immediata dell'ecologia scientifica in imperativi etici, sintesi ideologica «verde». In questo modo si ripresenta il più classico degli schemi di rapporto fra etica e scienza: il discorso etico perde autonomia a causa della sovradeterminazione da parte dei modelli normativi della ragione scientifica, oppure, simmetricamente, una nuova «teologia politica» si propone di governare obiettjvi e limiti della ricerca scientifica. Mi pare che la nostra epoca ci inviterebbe invece a favorire l'incontro fra etica e scienza sul terreno assai più fertile del dubbio e dell'interrogazione reciproca, in quella «apertura» che in entrambi i campi si determina a partire da una posizione scettica nei confronti di qualsiasi opzione universalista. Vorrei delineare qui, sia pur schematicamente, una ipotesi: nel momento in cui il nuovo punto di vista delle scienze del vivente tende a liquidare il meccanicismo moderno - da molti ancora assunto come bersaglio principale - non è affatto detto che esso debba convergere con l'ideologia verde per ricostituire antiche so)jdarietà fra l'uomo e la natura: l'orizzonte problematico che viene delineanEtica e caso Custodire il caso dosi appare totalmente nuovo e intrinsecamente ambiguo, sia sul piano epistemologico che su quello etico. Facciamo un (anzi molti) passo indietro. Il punto di vista della scienza classica sul vivente viene per lo più interpretato come un'estensione in campo biologico, del punto di vista della fisica moderna. Lo si potrebbe tuttavia interpretare anche come il «ritorno» di uno stile di razionalità che, come ha dimostrato un bel libro di Mario Vegetti, di cui è da poco andata in stampa la seconda edizione (Il coltello e lo stilo), è nato proprio sul terreno della biologia, e che risale alla filosofia antica. Si tratta del «mutamento di paradigma» - per usare il termine di moda - che si determina nel passaggio dalla tradizione della medicina ippocratica alla scuola di Galeno, e che trova la sua più compiuta espressione teorica nella filosofia di Aristotele. Prima di questa rivoluzione lo sguardo dei saperi si posa sugli esseri viventi. Così il medico ippocratico scruta i sintomi dei pazienti e ne deriva le sue diagnosi e le sue prognosi dopo averli immessi in una complessa rete di relazioni qualitative di analogia e di omologia con altri eventi e manifestazioni naturali. Così il cacciatore, pur nella concentrazione sulla preda, non smarrisce le ragioni di una originaria comunione mitica con l'animale, il quale resta ai suoi occhi anche oggetto di curiosità, interesse, se nqn addirittura simpatia; sentimenti che si rivolgono appunto al vivente, al suo comportamento, alle 1;uemotivazioni e strategie e che non hanno più ragione di esistere per il corpo morto, per la preda che si è ormai trasformata in Carlo Formenti mezzo alimentare. L'interesse per il corpo morto è piuttosto proprio della techne, riguarda le tassonomie che vengono elaborando quei mestieri (macellai, allevatori, ecc.) che hanno appunto a che fare con la vita animale esclusivamente in quanto oggettualità funzionale. E tuttavia questi saperi non possono fondare da soli il nuovo punto di vista anatomico: ad essi mancano infatti totalmente i criteri di universalità, stabilità, certezza propri del pensiero teorico. El Aristotele che saprà unificare in un paradossale sincretismo la spregiudicatezza oggettivante delle technai con l'esigenza della pura teoria, nata da quella tradizione pitagorica che manifestava il più profondo disprezzo per la manipolazione tecnica del vivente (considerando empia e sacrilega tanto l'uccisione di animali quanto l'alimentazione carnea). Di suo, tuttavia, Aristotele aggiunge qualcosa di decisivo, e cÌoè la pratica della dissezione anatomica a fini scientifici, la disponibilità ad uccidere per puro scopo di conoscenza. Il passaggio irreversibile al nuovo paradigma si fonda precisamente su questa unità fra theoria e dissezione dell'animale, sull'avvento di uno sguardo che fa del corpo un testo predisposto alla lettura: si delinea così lo stile di razionalità fondato sul metodo e sul1' esperimento. Naturalmente l'analisi di Mario Vegetti è molto più articolata: per esempio, non c'è qui lo spazio di riprendere la descrizione di come si articolano il luogo (la scuola, lo spazio che garantisce il disinteresse, il distacco scientifico dal potere politico come dalle pratiche delle technai), e lo strumento (il trattato, la traccia dello stilo che riproduce sulla pagina gli stessi percorsi che l'occhio teorico ha predisposto per il col- •tello anatomico sul corpo animale) della nuova razionalità. Ci basti qui cogliere la modernità del gesto teorico che nell'infanzia dell'Occidente ha già costituito la nostra razionalità biologica come sapere del corpo morto, curiosità necessariamente omicida perché in cerca della verità che sta «dentro» il vivente; ricerca che solo trattando quest'ultimo come una macchina, un meccanismo da smontare nei suoi elementi costitutivi, potrà essere appagata. Non siamo così molto lontani dalla realtà affermando che il meccanicismo di Cartesio e della successiva biologia moderna si sono limitati a perfezionare questo stile di razionalità, affinando tecniche di sperimentazione e misura e procedure di verificazione. Ma ecco che, da poco più di un decennio, lo sguardo della scienza comincia a posarsi in modo diverso sul vivente. A mano a mano che si consolida la nozione di complessità - nata dall'incrocio fra diverse discipline: teoria dell'evoluzione, teoria dei sistemi, cibernetica, teoria dell'informazione, ecc. - l'attenzione si sposta dagli elementi costitutivi e dalle funzioni della materia vivente ai processi irreversibili che la spingono necessariamente verso nuovi livelli di autorganizzazione. In questo modo si riapre un'interrogazione sulle origini della differenza del vivente, sulla immensa rete di relazioni spaziotemporali che collega tutti gli esseri che emergono dell'inerzia inorganica; si annuncia la possibilità di una «nuova alleanza» fra uomo e natura e il punto di vista antiriduzionista trova nuovi interlocutori in campo scientifico. I Prigogine, i Serres, i Bateson e tanti altri vengono nominati d'ufficio ideologi di una cultura che ritiene imminente l'insediarsi di uno stile di razionalità assai più affine a quello di Ippocrate che a quello di Galeno, nuovamente attento ai rapporti di analogia delle relazioni formali e/o quantitativo - statistiche fra elementi, funzioni ed eventi. Tutto ciò, ripeto, non è privo di fondamento, a patto che: 1. ci si renda conto che questo «ritorno» di concezioni premoderne del vivente riguarda soprattutto l'immaginario, 2. si veda che è proprio perseguendo coerentemente il loro progetto di dominio che le scienze del vivente hanno finito per trovarsi davanti a un «oggetto» che ha rovesciato i loro stessi presupposti epistemologici. Lo scritto di Miche) Serres che pubblichiamo qui accanto, dedicato alle implicazioni etiche della procreazione artificiale e della manipolazione genetica, è a questo proposito illuminante. Ecco, dunque, dice Serres, che il sapere biologico non si accontenta più di affondare il coltello nel cadavere; la sua smania di «guardar dentro», di far penetrare lo sguardo oltre l'apparenza superficiale per strappare alla profondità dei corpi l'essenza stessa del «reale», Io induce ora a operare direttamente sul vivente e a spingersi faustianamente sempre più a fondo, fino a toccare le «radici» stesse della vita, il genoma. Q uesta ricerca resta innegabilmente guidata da un progetto di oggettivazione totale, di una manipolazione tecnologica del vivente capace di fare piazza pulita di ogni fattore casuale, affermando la prospettiva della previsione e della programmazione razionale anche là dove la natura, se non Dio, gioca a dadi. Il fatto è che ci riesce troppo bene, tanto da trovarsi di fronte a qualche cosa per cui non era assolutamente preparata: a un «oggetto» che sfugge a tutte le determinazioni dell'oggettività scientifica. Nel profondo, spiega infatti Serres, la scienza non ha trovato il reale ma il virtuale. Come la microfisica non ha trovato i costituenti elementari della materia, i «mattoni» dell'universo, ma ha dovuto fare i conti con la spaventosa complessità e con l'indeterminazione del mondo subatomico, allo stesso modo la biologia non incontra più cose ma pure possibilità, la combinatoria infinita dei mondi possibili. 11gioco di Cartesio si rovescia nel gioco di Leibniz. Scatta il paradosso: finché si è limitata a manipolare «meccanicamente» la materia vivente, finché ha tenuto fuori dal suo campo il ~ virtuale, la scienza ha potuto chia- c::s -~ marlo in causa per giustificare i li- g:i miti della sua capacità di previsio- ~ I'-.. ne e progettazione (il caso era il ~ nome che alludeva ai confini del -. ~ sapere); ora che ha messo le mani -e sul virtuale il discorso scientifico t: ~ vede dissolversi il gioco fra previ- ,u sione e verificazione che fondava "' ~ la sua specificità, anche per lei va- -. le oggi l'enunciato secondo cui di- i:: re-(conoscere) è fare. La previsio- ~ ne scientifica, passando dal. reale Ì al possibile, non è più senza effet- ~
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