Dall'Oriente IneditidiBabele' Chlebnikov Frammento lsaak Babel' [... ) e la porse poi all'eremita. Questi, in piedi e immobile, stordito, senza rendersi conto di quanto faceva, bevve intera la coppa, e poi un'altra e un'altra ancora, e inghiottì con avidità le delizie che l'incantatrice gli metteva una dopo l'altra in bocca. Poi lo condusse fuori da quel miserabile tugurio e piangendo cominciò a implorare il suo perdono perché, disse, senza volere aveva recato offesa alla santità dei suoi occhi. E intanto che parlava il suo viso si torceva nel dolore e nel rimorso, e le sue mani stringevano con ardore quelle di lui. Poi la donna cadde in ginocchio dinanzi all'eremita e nel movimento la veste si aprì, e s'intravvidero così un'altra volta i suoi seni, e la luna argentata si posò sullo smagliante biancore di essi. Un vento lieve muoveva impercettibilmente i riccioli neri dell'incantatrice. E allora la natura così lungamente repressa si risvegliò con violenza nel sangue dell'eremita e questi cadde su quei bianchi e splendidi seni, incosciente di quello che faceva. L'incantatrice lo portò furtivamente da un grado all'altro del godimento e quando l'eremita fu sul punto di cogliere il fremito più intenso del piacere, la donna, d'improvviso, gli sussurrò all'orecchio: «Sarò tua per l'eternità se mi vendicherai di quelle canaglie e se prenderai i loro tesori, così che vivremo ricchi e felici fino alla fine dei nostri giorni». L'eremita, che s'era un po' ripreso, chiese: «Cosa vuoi dire e cosa vuoi da me?» Tra baci lascivi e sguardi pieni di passione l'incantatrice sussurrò all'orecchio dell'uomo, premendo i seni al suo petto che aveva ripreso a battere furiosamente: «I loro pugnali sono sul tavolo, tu ne uccidi uno, io l'altro, indosserai i loro vestiti e prenderai i loro tesori. «Poi bruceremo la casa, e fuggiremo in Francia». In memoria del compagno Trunov. I funerali del compagno Trunov, comandante del 34° Reggimento di cavalleria Isaak Babel' Il 3 agosto 1920 è caduto nella battaglia di K. uno dei più coraggiosi comandanti di reggimento, il comandante del 34" Reggimento di cavalleria - compagno Trunov. La pallottola di un nemico ha colpito a morte l'eroe che in un impari duello, dopo aver ucciso sette cavalleggeri polacchi ed essere rimasto senza più pallottole nella sua «Nagan», si era ugualmente lanciato all'inseguimento di due .s ufficiali polacchi che stavano fug- ~ gendo in groppa allo stesso cavai- ~ lo. L'ardito voleva tagliare la testa - ~ ai due pan con la sua affilata sciabola, che tante volte aveva fatto a pezzi le guardie bianche, da Voronez al Mar Nero, e adesso qui, sul fronte occidentale, fino al villaggio di K. Ma una di quelle due canaglie ha sparato a bruciapelo un colpo ~ di «Mauser» contro il compagno ~ comandante, che era ormai a ri- ~ dosso dei due pan, e la pallottola ha sfondato la tempia e in un attimo l'eroico compagno Trunov non è stato più il padre-comandante, come lo chiamavano i suoi soldati. Sei morto da comandante glorioso e indomito, ma sei ancora vivo per il tuo reggimento e nelle future battaglie i tuoi combattenti avranno negli occhi la tua immagine, quando cavalcavi alla testa di tutti. E i tuoi combattenti giurano di sterminare in nome tuo, a centinaia, i nobili polacchi. E questo già è stato fatto dai tuoi figli. Un intero reggimento nemico, il 17° Ulani, è stato ricacciato nella palude e non arrecherà più danno. La vendetta potrebbe già dirsi compiuta. Ma così non è, ché continueremo a vendicarti fino alla fine perché ti amiamo, perché tu rimarrai in eterno con noi. Tu sei morto, amato compagno, al tuo posto di combattimento. Laggiù dove sei stato colpito dalla pallottola nemica; laggiù dove il tuo sangue ha bagnato i campi di Klekotovo, laggiù nasceranno fiori rossi per ricordare al proletariato che lì è caduto uno dei tanti eroi che hanno donato la loro vita per il bene del popolo. Come figli pieni di amore e di rispetto i combattenti hanno ricuperato il corpo del loro amato comandante e lo hanno portato attraverso i campi di battaglia fino a Barjatino. Hanno comperato una cassa da morto da un curato, hanno raccolto venticinque rubli per far erigere un monumento sulla tomba del loro comandante, morto in nome di un ideale sacro, la liberazione dei lavoratori dalle catene della schiavitù. Il 5 agosto 1920 il 34°Reggimento di cavalleria ha messo il lutto e ha accompagnato il corpo del suo comandante alla città di Dubno. Con gli occhi colmi di pianto tutti, dal primo all'ultimo, hanno percorso la strada senza ritorno che portava il loro amato comandante lontano da chi aveva imparato da lui a morire con coraggio, come lui stesso è morto. Anche l'orchestra ha pianto suonando la marcia funebre. I volti severi, tesi bruciavano nell'ansia di vendetta, e hanno giuratèr che non ti perdoneranno mai, szlachta. Lontano si sfilaccia il corteo, vogliono esserci tutti, il reggimento intero, e vanno sulla strada per Dubno, la città dove sarà sepolto il loro comandante e compagno. Così è stato in tutte le battaglie. Il 34°Reggimento di cavalieri~ con il suo eroico comandante ha travolto ogni resistenza che incontrava sul suo cammino, tutte le difese costruite dai pan polacchi sono volate via in mille frantumi. Sì, uno dei nostri gloriosi comandanti è morto, ma l'idea per la quale ha immolato la sua vita è ancora viva. Il suo nome sarà inciso a lettere d'oro nel libro della storia e il proletariato onorerà nei secoli i suoi eroi, che hanno lottato per conquistare e donare agli altri la libertà, pagando con la propria vita. Il popolo non dimenticherà la strada che conduce alla tua tomba, e così essa sarà sempre cosparsa di fiori. Riposa, compagno amato, e che la terra ti sia di coperta. Sulla tua tomba i combattenti hanno fatto una solenne promessa, e in nome tuo migliaia di illustrissimi marciranno sotto terra. La tua morte non ha infranto le nostre schiere. La rivoluzione non seppellisce gli eroi ma li crea. Per questo noi diventiamo sempre più forti e coraggiosi, e con la tua immagine negli occhi e nel cuore ci lanceremo, impetuosi, all'assalto e non ci sarà pietà per i pan polacchi. Addio compagno! Sei morto al tuo posto di combattimento ma tu vivi e vivrai in eterno per il 34" Reggimento di cavalleria. I combattenti sanno onorare i loro eroici comandanti. Altri ancora di questi Trunov! K. Ljutov (Isaak Bàbel') Nei nostri elenchi, mesti e sanguinanti, dobbiamo aggiungere un nome che la 6• Divisione non dimenticherà mai - il nome del comandante del 34° Reggimento di cavalleria Konstantin Trunov, ucciso il 3 agosto nel combattimento presso K. Un'altra tomba è ora immersa nell'ombra dei fitti boschi della Volinia, un'altra vita straordinaria, piena di abnegazione e di senso del dovere, sacrificata nel nome degli oppressi, un altro cuore proletario spezzato per tingere col caldo suo sangue i rossi stendardi della rivoluzione. Gli ultimi anni di vita del compagno Trunov sono stati indissolubilmente legati alla titanica lotta dell' Armata rossa. La coppa lui l'ha bevuta fino in fondo - ha partecipato a tutte le campagne, da Tsartsyn a Voronez, da Voronez alle rive del Mar Nero. II suo passato - fame, privazioni, ferite, combattimenti sfibranti, sempre in prima linea e infine - la pallottola di un ufficiale polacco sparata contro il contadino di Stavropol', venuto dalle lontane steppe a portare a genti sconosciute la novella della rivoluzione. Fin dai primi giorni della rivoluzione il compagno Trunov ha, senza esitazione, occupato subito il suo posto. È stato tra gli organizzatori dei primi reparti rivoluzionari di Stavropol'. Nell'Armata . rossa ha ricoperto, successivamente, i gradi di comandante del 4° Reggimento «Stavropol'», di comandante della I Brigata della 32• Divisione, di comandante del 34° Reggimento di cavalleria della 6• Divisione. Il suo ricordo rimarrà indelebile nel cuore dei nostri combattenti. Nelle condizioni più sfavorevoli egli ha strappato la vittoria al nemico con l'abnegazione e il coraggio, con l'incrollabile perseveranza, con un sangue freddo che mai gli è venuto meno, fulgido esempio per i suoi fratelli del1'Armata rossa. Altri ancora di questi Trunov nelle nostre schiere - e per i pan di tutto il mondo sarà la fine! II corrispondente di guerra della 6• Divisione di cavalleria. La ~Parizot» e la «,Julija» Isaak Babel' È accaduto non molto tempo fa. Sulla «Parizot» era stata ammainata la bandiera inglese. La «Parizot» era una nave russa, si chiamava «Julija», ed era stata requisita dai bianchi nel 1919. La «Julija» aveva solcato per quattro anni il Mediterraneo e il mar di Marmara, poi era stata destinata alla 'linea per l'Anatolia. Nel dicembre dell'anno scorso aveva lasciato Costantinopoli e aveva fatto rotta per Zonguldak, per caricare carbone. A Zonguldak il comandante in seconda era andato dall'agente. «Efendi 1 - aveva detto il secondo - nel tuo porto sono in attesa molti piroscafi e il mio turno non è tanto vicino. Andrò a Eregli, efendi.» «Jachsy»2 - rispose il turco e portò la mano alla fronte, al cuore e dove ancora si ·usa. E la «Julija», quando fu notte, salpò per Eregli. Aveva percorso quindici miglia quando il comandante in seconda, Gavrilicenko, pistole in pugno, salì sul ponte. «Compagni - disse rivolto all'equipaggio - non andremo a Eregli, ma a casa, a Odessa. Chi non è d'accordo, che salga pure sul ponte e mi getti in mare.» Nessuno salì sul ponte e allora Gavrilicenko mise via le pistole. II timoniere girò la barra e la «Julija» puntò su Odessa. Navigava a luci spente e lottava contro una tempesta violentissima. II mare aveva raggiunto forza undici, proprio in quei giorni a Novorossijsk aveva rotto gli ormeggi il gigantesco «Transbalt». Erano state inghiottite dai flutti la «Kapnaro» e la «Ammiraglio Tserojter», ma la «Julija», a luci spente e con l'elica in avaria, senza carbone ormai e incalzata dagli inseguitori, navigava verso casa, verso Odessa. Quel piccolo guscio aveva affrontato un mare montagnoso, i segnali radio e il suono delle sue sirene erano riusciti a superare i neri baratri delle onde e la piccola nave, con l'elica inutilizzabile, presa a rimorchio da un rompighiaccio, era entrata alla fine nella rada di Odessa. Ed ecco che oggi sulla «Parizot» hanno ammainato la bandiera inglese. Al porto sono arrivate le fanfare, e i giovani comunisti, e i marinai. La bandiera inglese si è adagiata sul ponte dopo essere scesa lentamente, come un uccello ferito, poi il rosso porpora della nostra bandiera si è arrampicato in alto, lassù, in cima a quell'erta scala sulla quale da sei anni ormai stiamo salendo. I marinai inglesi ridevano lasciando la nave, l'equipaggio russo rideva prendendo possesso della nave. E poi si riversarono nel qua-
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