prendono a malapena degli appunti, impregnandosi della presenza di qualcuno che fanno parlare talvolta per parecchi giorni; e poi ne traggono una specie di riassunto affatto ideale. In questo caso si arriva a qualcosa che ha sicuramente un rapporto abbastanza sottile con quanto è stato realmente detto. Russo. Che ne è oggi, per lei, della singolarità del/'opera letteraria? Genette. È un aspetto di cui non mi occupo più direttamente, essendo passato dalla critica alla teoria. Si può definire la critica come ciò che ha a che fare con la singolarità e la poetica come ciò che ha a che fare con la generalità. Non voglio dire che eventualmente non ci ritornerò in un lavoro ulteriore, ma me ne sono un po' distaccato a partire da Figure III. Non ho più direttamente a che fare con la singolarità, ma ho a che fare con categorie generali che permettono forse di cogliere meglio, e anche di misurare, la singolarità. Trovo che la critica immanente che si rinchiude in un'opera - tipo di critica ben rappresentata da autori come Georges Poulet o JeanPierre Richard - si condanna ad uno sguardo un po' miope che consiste nel rifare il cammino dell'autore e nel rivivere con lui la sua esperienza creatrice, la quale permette di descrivere molto bene l'oggetto singolo, ma forse non di definirne la singolarità. Perché, per coglierla, è necessario comparare l'opera singola ad altre opere singole, e questo non è il lavoro della critica, è il lavoro della poetica. Paradossalmente, direi che la critica si chiude nella singolarità, ma così, in certo qual modo, la perde; e che la poetica, staccandosi dalla singolarità, può percepirla meglio. Penso, per esempio, di aver dato in Figure III, grazie ad uno studio generale delle categorie del racconto letterario, degli strumenti che permettono di valutare l'originalità del racconto proustiano, di misurare certe caratteristiche proprie a questo racconto: l'importanza dell'iterativo, la focalizzazione multipla, ecc. Russo. Dove va la poetica? Si parla già da alcuni anni del suo indebolimento. Cosa significa per lei e per la poetica l'imminente uscita di Tzvetan Todorov dalla direzione della collana « Poétique»? Che cosa implica? Genette. Credo che non implichi niente quanto all'evoluzione della poetica. Innanzitutto, la sorte della poetica non è legata all'esistenza degli individui che la praticano. Fortunatamente siamo parecchi, se uno se ne va, un altro lo sostituirà. D'altra parte, non si deve giudicare la vitalità di una disciplina a livello di un solo paese, ci si deve interrogare sul destino della poetica su scala mondiale. Ci sono parecchi paesi in cui la teoria letteraria è molto attiva, e per i quali le vicissitudini dell'evoluzione della poetica francese non hanno importanza. E poi non si deve assimilare l'attività di questa disciplina all'attività di una collana editoriale, ed è evidente che si pubblicano opere di poetica altrove, oltre che nella collana «Poétique». Quanto all'avvenimento preciso che lei evoca, credo che non ci sia altro significato che quello che si lega all'evoluzione del cammino intellettuale e della ricerca di Tzvetan Todorov. Questa evoluzione consiste nel fatto che Todorov, da qualche anno, si è allontanato da una poetica definita come teoria delle forme letterarie e che si interessa di più a qualcosa che si potrebbe descrivere, grosso modo, come storia delle idee. La storia delle idee è una disciplina del tutto rispettabile che, da alcuni decenni, non era stata molto attiva in Francia. Allora mi sembra bene che ci sia in Francia qualcuno che vi si applichi alla propria maniera, che non sarà certamente quella della storia delle idee quale la si è praticata prima di lui. Io non interpreto affatto questo Conversazioni di varie discipline distacco di Todorov, con il quale sono rimasto in ottimi rapporti, come un segno di indebolimento della poetica. Sarà un fattore di indebolimento nel senso che quello che Todorov poteva darle, non glielo darà più per alcuni anni. Fòrse ci ritornerà più tardi, per il momento ha voglia di fare altro, è tutto. Io no, perciò continuerò a operare nella poetica, ma è possibile che un giorno anch'io, a mia volta, ne avrò abbastanza. Non abbiamo mai avuto l'idea, né Todorov né io, che la poetica sarebbe diventata l'unica disciplina letteraria. Ne occorrono assolutamente altre, altrimenti la poetica diventerebbe completamente isterilita, vivrebbe soltanto di astrazioni. È necessario che la critica continui, che la storia letteraria continui, che la storia delle idee continui, bisogna che lo studio degli avantesti non smetta di cominciare, come fa da una quindicina d'anni, e tutto questo va benissimo, è molto ricco. Che ci siano delle fluttuazioni nella parte rispettiva delle diverse discipline che costituiscono il vasto insieme degli studi letterari è del tutto normale. Russo. Parlando di discipline, qual è il suo rapporto, se rapporto c'è, con la semiotica? Genette. Non conosco proprio da vicino ciò che viene chiamato semiotica. Ho conosciuto ciò che si definiva, attorno a Barthes, semiologia. La differenza tra questi due termini non è infima. Nei confronti della semiologia mi sento in una posizione abbastanza ambivalente, nel senso che non sono più molto propenso a definire semiologico il mio lavoro. In certo qual modo, posso dire che la semiologia è per me una tappa superata, il che non vuol dire che è una scienza superata. Ma d'altra parte, poiché quel che faccio è una descrizione generale delle pratiche letterarie, e poiché queste pratiche sono sempre delle pratiche di senso, di comunicazione e di significazione, è ben evidente che il proposito semiologico non è esaurit_o.Di fatto descrivere un'opera, o anche un genere letterario, non è come descrivere una pietra o un albero, è descrivere un oggetto che è un sistema di significazioni. Di conseguenza, anche se ci si è staccati dal proposito rigorosamente semiologico, si sente assai costantemente che in una prospettiva che, per caratterizzarmi, chiamerò piuttosto fenomenologica, c'è del semiologico. Una fenomenologia che verte su dei messaggi deve comportare inevitabilmente, per essere fedele, una parte di semiologia. Soltanto, questa parte di semiologia non sono più portato, d'altronde non lo sono mai stato, a irrigidirla in una disciplina pura che sarebbe, io penso, l'intento di quanti praticano ciò che chiamano la semiotica, la semantica strutturale ecc. Sono portato, anzi, a diluire la mia eredità semiologica in un modo di procedere più ampio, ma non è una rottura, è una specie di straripamento. Russo. Si parla sempre più di morte dello strutturalismo e si ha la tendenza a caratterizzare la nostra epoca come post-strutturalista. Le sembra pertinente porre in questi termini l'attuale processo di transizione, l'attuale instabilità? Genette. No. Constato che molte persone la pongono in questi termini, ed è loro diritto ..Costoro hanno l'impressione di essere altro che strutturalisti e di esserlo dopo una fase che considerano essere stata la fase strutturalista. Personalmente non mi piacerebbe molto definirmi come post-qualcosa. Mi sembra un po' triste definirsi in termini così strettamente temporali, perché in questo caso si gioca su qualche decennio, non di più. Ma questo è un dettaglio, la cosa più importante è che io mi considero senza esitazione uno strutturalista. I principi metodologici fondamentali dello strutturalismo continuo a considerarli validi. Per una ragione d'altronde molto semplice. Se si definisce il principio dello strutturalismo nel considerare che le relazioni tra gli elementi sono più importanti e più significative degli elementi stessi, allora qualunque pensiero è strutturalista. Perché più si analizza, più gli elementi perdono la loro specificità, quello che chiamavo in Figure Il I «trovare il generale nel cuore del particolare». È quanto fa la fisica moderna: più si analizzano gli elementi, più ci si accorge che gli elementi sono tutti simili, ma ciò che non è simile sono le strutture, cioè le combinazioni di elementi. Credo che qualsiasi pensiero serio sia strutturalista e che la presa di coscienza di questo fatto, che è sempre esistito, è la grande scoperta epistemologica della scienza moderna. Terzo aspetto della risposta, io sento bene che nel rigetto dello strutturalismo che si battezza post-strutturalismo c'è qualcosa che sento come un rigetto del razionalismo, come una tendenza, un ritorno a certe specie di irrazionalismo, di «affettivismo». Così come c'è nel postmoderno - penso in particolare all'architettura, poiché è il suo terreno fondamentale - un rifiuto del razionalismo funzionalista che caratterizzava quello che chiamano il modernismo, a profitto non di un passo in avanti, ma di qualcosa che mi appare come un passo indietro. Cioè un ritorno all'architettura storicistica, imitatrice, eclettica, del XIX secolo in generale, che si può chiaramente contemplare se si passeggia davanti agli ultimi nuovi edifici costruiti a New York, e perfino a Chicago, che pure fu la patria del moderno. Credo che ci sia un punto comune tra la parofa d'ordine «post-strutturalista» e la parola d'ordine «postmoderno», e questo punto comune lo qualificherei volentieri come un ritorno indietro verso un irrazionalismo al quale non aderisco affatto. Ecco perché mi definisco più volentieri moderno e strutturalista.
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