ta di un malinteso di fondo. Naturalmente non volevo affatto «prendere in giro» (in ital.) i lettori, ma mentre credevo che non si ponesse neanche il problema, ci sono ancora oggi lettori che vogliono sapere se Marbot sia esistito veramente. Eppure ognuno può andare a verificare, ad esempio, nel colloquio di Goethe con Eckermann è chiaro che la prima frase è autentica mentre già la seconda non lo è più. Dedola. Torniamo a Mozart. Perché oggi suscita tanto fascino una figura come questa? È l'enigma che attrae oppure l'essere troppo umano del genio Mozart, del diabolico clown Amadeus? Hildesheimer. Forse Mozart ha trasmesso una luce metafisica in senso negativo, qualcosa di diabolico o di clownesco, ma per me l'aspetto più interessante è che i suoi contemporanei, quelli che gli stavano vicino e potevano intrattenersi con lui, abbiano mantenuto l'amicizia con lui. Egli deve essere stato per loro non solo come un clown ma come qualcuno che è venuto da un altro pianeta. E per noi oggi ... Farò una conferenza su Mozart e la coscienza postmoderna. Qui «postmoderno» non riguarda solo il postmoderno creativo, quale si esprime in filosofia o in architettura; dal lato della recezione, la coscienza postmoderna è la coscienza che si lascia dietro il moderno e comincia a muoversi in un tempo completamente incerto, verso un futuro completamente incerto. Il postmoderno•è l'epoca in cui tutti gli stili si mescolano, si combinano con stili che appartengono a diversi periodi, come succede in architettura, e si fa il bilancio. Da qui si spiega anche l'ondaMozart: cercano qualcuno col quale si possono identificare e scelgono una figura come Mozart - beninteso qµesto Mozart è modellato sul film Amadeus - perché trovano anche un altro che ha avuto difficoltà con la vita,. con le autorità, con le istituzioni, con i genitori e così è diventato improvvisamente un ideale. Sul versante creativo invece è esplosa di colpo la mania dell'autenticità, dell'esecuzione pura della musica. Perciò si formano ora diversi complessi musicali che utilizzano strumenti musicali antichi o che imitano quelli antichi e cercano di riprodurre la musica del Settecento, come veniva suonata una volta. Con risultati disastrosi perché questo non è più possibile. È un errore capitale, non riescono a rendersi conto che noi ascoltatori siamo cambiati, le nostre reazioni fisiche e psichiche sono diverse rispetto al passato, anche gli spazi sono diversi e soprattutto bisogna dire che la grande musica è proprio grande musica perché si misura con le esigenze di tutti i tempi e perciò può essere fatta in maniera adeguata al tempo in cui si vive. Ma questo ritorno ai vecchi tempi è una fuga, una rimozione; questo è l'atteggiamento tipico del postmoderno. Io non lo condanConversazioni di varie discipline no, ma non dico nemmeno che va bene. Le malelingue potrebbero dire di nuovo che è «profetico», ma quando assisto a questi fatti e li analizzo, essi sono per me un sintomo della fine dei tempi. Il postmoderno porta al superamento del moderno, ma non porta in una nuova direzione, verso un nuovo futuro. Questo è l'ultimo bilancio, «post», «dopo» e dopo non c'è più niente. Espresso in sintomi: moderno è l'energia nucleare, postmoderno è il rifiuto dell'energia nucleare, moderno è la conquista tecnica, postmoderno è il suo rifiuto a favore della natura. Il postmoderno ha forse qualcosa di molto reazionario, ma è qualcosa di reazionario in cui io personalmente mi posso identificare. Ci sono dei giovani, Handke ad esempio, che vogliono il ritorno ai sentimenti, quella che per lungo tempo nel campo letterario in Ge-rmania è stata chiamata la «nuova interiorità»; da un lato abbiamo l'assoluta esemplare spietatezza, l'odio volgare, dall'altro il ritorno al bello, al nobile, al vero. Queste sono le due direzioni. Ho grandi riserve contro questa letteratura del bello, del nobile, la trovo orribile, ma capisco che doveva affermarsi. Dedola. Alla fine della sua biografia lei parla di Mozart come di un «regalo immeritato per l'umanità, nel quale la natura ha prodotto un eccezionale, forse irripetibile, ad ogni modo mai più ripetuto capolavoro». Hildesheimer. Questa frase mi è Damischp,rosp L, Origine de la perspective di Hubert Damisch esce in Francia per i tipi di Flammarion nel mese di settembre. Non è una nuova ricostruzione della «scoperta» della prospettiva da parte degli artisti del Quattrocento, né una discussione del paradigma prospettico come modello epistemologico. Dell'origine della prospettiva Damisch racconta una delle storie possibili; quella che comincia con le due esperienze inaugurali delle tavole di Brunelleschi, compie un primo lungo va e vieni tra le tre « Prospettive Urbinati» dei musei di Urbino, Baltimora e Berlino e un secondo percorso tra Las Meninas di Velasquez e Le Menine di Picasso del museo di Barcellona. Careri. Il suo ljbro si apre con una critica a chi sostiene che un'epoca storica è governata da uno spirito del tempo, uno Zeitgeist diffuso in tutti i campi del sapere. Invece di essere un tutto organico, la cultura sarebbe un aggregato di settori diversi ed eterogenei ciascuno dei quali produce un lavoro pratico e teorico che, in un altro momento storico, può essere ripreso in un diverso settore. In particolare, con la prospettiva, la pittura del Quattrocento avrebbe posto in pittura alcune delle questioni che saranno alla base di un rilancio della geometria nel XVII secolo. Cosa vuol dire quando afferma che non solo la pittura pone delle questioni, ma che, con la prospettiva, essa pensa, mostra e dimostra? Damisch. Ritengo che voler pensare la prospettiva come l'espressione di un'epoca, ed essenzialmente dell'epoca umanistica, moderna, borghese o capitalista, ci fa chiudere gli occhi su di essa e su quello che attraverso di essa cerca di essere pensato. La prospettiva, voglio dire la prospettiva dei pittori, costituita nel Quattrocento in opposizione all'ottica medievale, la perspectiva naturalis, è un'arte nel senso stretto del termine e non bisogna considerarla come un sintomo né come un prodotto tipico della civiltà umanista. Dobbiamo invece cercare di avvicinarla attraverso gli effetti che provocherà, a volte a distanza di secoli, in altri settori del sapere; è quello che accadrà, per esempio, quando fa geometria descrittiva e proiettiva di Desargues, nel XVI secolo, ne farà l'oggetto di un ripensamento, di un rilancio, di un Aufhebung nel senso hegeliano del termine. Invece di pensare la prospettiva come un'anticipazione bisogna pensarla retrospettivamente a partire dai rilanci di cui è stata l'oggetto. Come diceva Marx, l'anatomia dell'uomo è la chiave dell'anatomia della scimmia e non viceversa. Concepita in questo modo, la prospettiva è in contraddizione completa con l'Umanesimo. La prospettiva che riduce l'uomo a un occhio e l'occhio a un punto è qualcosa che l'Umanesimo non può accettare ma che sarà invece accettato dal XVII secolo di Cartesio e di Desargues che accoglierà pienamente la definizione del soggetto come un punto. Lo studio della prospettiva mette in luce una contraddizione profonda in ciò che fa la coerenza di un'epoca e rivela che una nuova struttura di pensiero può nascere in un settore del sapere e non essere accettabile in un altro. È quello che accadrà, ad esempio, nel XVI e XVII secolo con la nozione di infinito, perfettamente accettabile nell'ambito della matematica ma inaccettabilé in ambito teologico. Lei domanda come con la prospettiva qualcosa è pensato o dimostrato. Credo che a questo proposito si debba prendere molto sul serio la frase di Leonardo: «La A cura di Giovanni Careri prospettiva è figlia della pittura e la dimostra», cioè non genera la pittura ma è generata da essa per dimostrarla di ritorno. In qualche modo la pittura si riflette nella prospettiva e attraverso la prospettiva si pensa. Abbiamo a che fare con qualcosa che Panofsky ha definito una forma simbolica, ovvero qualcosa che non bisogna intendere come simbolico di un'epoca ma come una forma che è il luogo di un processo specificamente legato al funzionamento del simbolismo. Non esiste pensiero senza linguaggio ma bisogna situare in un contesto intersemiotico i linguaggi diversi ed i paradigmi che informano le diverse forme simboliche. Careri. Lei ritiene che il paradigma prospettico funzioni come dispostt,vo regolatore del!'ordine (sintagmatico) delle figure e di quello (paradigmatico) delle sostituzioni possibili. In pittura, come nel mito, il senso si produce nelle trasformazioni e non si può mai parlare di un solo quadro ma sempre di un gruppo di quadri e del gruppo di trasformazioni che li riunisce e li differenzia. Le «città ideali» dei musei di Urbino, Berlino e -Baltimora formano un gruppo di questo tipo. Qual è la specificità di questo gruppo? E in che modo è esemplare del suo metodo di analisi? Damisch. La prospettiva non è un codice, non deve essere concepita come una grammatica che serve a generare la pittura e non ha senso domandarsi perché sono così pochi i quadri costruiti secondo una prospettiva rigorosa. La prospettiva è un paradigma o meglio un dispositivo regolatore, «freno e timone» della pittura, come diceva Leonardo, che garantisce il buon funzionamento di un'economia, anch'essa in fondo riflessiva. L'autoregolazione implica che il sistema possa vedere se stesso nel prostata contestata da molti perché, al contrario del resto del libro, è molto enfatica e patetica. La realtà è che alla fine del libro, dopo che avevo trattato tutti gli argomenti, coscientemente mi sono detto: ora do espressione al mio sentimento e così ho fatto. Sapevo che sarebbe stata contestata. In ogni caso, è più un'espressione dei sentimenti che dei pensieri e perciò non è da analizzare, non bisogna misurare il libro con questa frase. Per un certo tempo mi sono chiesto se avessi dovuto riportarla oppure no e poi l'ho riportata di proposito. Dedola. Parliamo di Tynset, l'altra sua opera tradotta in italiano. Il protagonista del romanzo sta fermo nel suo letto e si chiede all'inizio quando non sia tempo di dormire. In questa condizione di immobilità egli compie gesti molto semplici come afferrare un orario ferroviario o un elenco telefonico che tiene abitualmente sul comodino e leggendo tra le righe inventa delle storie. Hildesheimer. Gli elementi che lei ha notato sono realmente in parte, se non proprio autobiografici, almeno quelli in cui io mi identifico di più. Leggo veramente elenchi telefonici, sto sdraiato molto volentieri sul letto, l'elenco del telefono sul comodino, tutto è ben localizzato. Quando arrivo in una città leggo nell'elenco del telefono chi ci abita, come si chiamano. Vado anche molto volentieri al cimitero, come viene fuori molto spesso in Masante, dove la situazione è ancora più estesa. Insomma, si tratta di cose che non posso spiegare se aon dicendo che io le faccio realmente ed è con esse che la mia fantasia si scatena. Guardando questi elenchi mi immagino delle persone molto precise e questa ipertrofia dell'invenzione e della fantasia in Tynset e in Masante è portata all'assurdo, ha qualcosa di assurdo. Quello che scrivo ha in un certo senso qualcosa di vissuto, di vero, ma è una verità ad absurdum che consiste nell'estrema improbabilità; uno si inventa un'unità nell'elenco del telefono e poi la trova realmente. Ho un'intera raccolta di orari ferroviari, tra l'altro norvegesi, là ho scoperto Tynset, e proprio come Tynset nasce da quel nome, così le mie storie hanno vita da orari ferroviari ed elenchi telefonici. Siamo stati più volte in Norvegia; una volta, quando ancora non avevo scritto Tynset ma lo avevo già cominciato, vedemmo il cartello «Tynset a 40 km» e allora dissi: «Per carità, ora non posso andare a Tynset». In seguito ci siamo andati ed è stata un'esperienza molto strana. Arrivo da qualche parte, vedo una stazione «Tynset», un albergo «Tynset», un Caffè «Tynset», mentre avevo avuto la sensazione che tutto questo non esistesse affatto e che lo avessi inventato io. ivenell'arte prio funzionamento. Quindi quello che importa non è tanto questa o quella proposta figurativa, ed in quale misura obbedisce alle regole del codice, ma le trasformazioni cui si presta. Queste trasformazioni forniranno allo stesso tempo l'occasione e la materia per un lavoro del pensiero. Applicando ciò che-Lévi-Strauss scrive sul mito alla pittura, direi che in un quadro quello che conta non è tanto quello che rappresenta ma quello che trasforma: i quadri come i miti ci pensano. Voglio dire che noi siamo pensati attraverso il lavoro di cui la pittura è l'occasione. E questo in misura maggiore se i quadri sono raggruppati, ordinati e distribuiti in gruppi distinti che, a loro volta, assumono il valore di paradigmi ma in un senso differente del termine. Infatti i gruppi che si possono costituire permettono di organizzare per espansione il campo della storia della pittura secondo degli scenari differenti in funzione di tale o tal altro gruppo. Le Prospettive Urbinati sono un buon esempio per dimostrare l'esistenza logica di gruppi di questo tipo, e delle operazioni alle quali il gruppo si presta. Questo gruppo è il luogo di un lavoro di pensiero, un lavoro quasi sperimentale ma, al tempo stesso, profondamente teorico che prende senso in termini di trasformazioni. Careri. Quindi lei non applica una teoria precostituita a un caso esemplare ma costruisce lo schema teorico che il gruppo delle Prospettive .Urbinati richiede. Damisch. Le cose non sono così semplici. Sono partito dalle esperienze di Brunelleschi raccontate da Manetti e penso che le Prospettive Urbinati ne costituiscano un prolungamento nel senso che in queste ultime si opera il passaggio dalla teoria alla pittura. Piero della Francesca parla di dipingere in prospettiva. Ma che significa dipingere in prospettiva? E non semplicemente dipingere la prospettiva? C'è una sorta di discesa della prospettiva nella pittura. Careri. Agli ordini del paradigma e del sintagma, si aggiunge, nella sua analisi, quello del dispositivo di enunciazione che regola il gioco del rapporto tra il soggetto e la pittura. Non si tratta di uno di quei trasferimenti di una nozione proveniente dal!'ambito della linguistica nella pittura che lei stesso critica severamente? E in che modo la formula di Lacan che dice che «il quadro è il dispositivo nel quale compete al soggetto di riconoscersi come tale» interviene nel dispositivo di enunciazione? Damisch. Se consideriamo la prospettiva come una forma simbolica nel senso di Cassirer e poi di Panofsky, dobbiamo prendere il termine simbolico in senso forte. Nel contesto storico in cui compare, la prospettiva fornisce alla pittura un dispositivo che è l'analogo di un dispositivo di enunciazione. Non sto prendendo a modello l'apparato formale dell'enunciazione linguistica, dico semplicemente che la prospettiva comprende un meccanismo che ha molti tratti comuni con un dispositivo di enunciazione: per esempio la distribuzione dei punti di vista: io sono qui, tu sei là, lui è laggiù; tre N pronomi riferiti nello stesso tempo N a tre luoghi. Ma il dispositivo di ~ enunciazione non riguarda solo i -~ pronomi, gli avverbi di luogo o gli ::: indici di posizione nello spazio e ~ nel tempo della lingua, è un mec- ....., ~ canismo attivo anche in altri ambi- -e ti. Chi vuole raccontare una storia E ~ sulla scena che la prospettiva per- ~ "' mette di costruire ha bisogno di ~ una rete di posizioni analoghe a ....., quelle di «io, tu, egli, là ... » i.: Quando riprendo la frase di La- ~ can, che è veramente alla base del l mio lavoro, e che dice che in un ~
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