Alfabeta - anno IX - n. 100 - settembre 1987

Grande cerimonia filosofica a Londra Metafisicaolibertà? Il I contadini periodicamen- '' te praticano la festa del raccolto del grano: i filosofi per lo più hanno praticato la festa del pensiero senza che vi fosse un raccolto da celebrare.» Così Aldo Gargani, nel saggio scritto per Filosofia '86 (Roma-Bari, Laterza, 1987, p. 12). I filosofi sono dunque invitati ad occupazioni più produttive, come i lavori agricoli? Forse no: semmai essi prendono atto che il grande romanzo della metafisica occidentale è giunto alla fine e non resta che emanciparsi da questo tipo di illusione della Ragione. Gianni Vattimo ribadisce a sua volta che il paradiso dei Grandi Sistemi è irrimediabilmente perduto. Ma era davvero un paradiso? Vattimo sembra dubitarne: il voler «appropriarsi della nozione dell'Essere» (p. 83) - ricorrente tentazione del pensiero filosofico in Occidente - produce manipolazione e violenza. C'è bisogno di una filosofia a un tempo più leggera e scaltra: in ogni caso, pensiero forte, addio! Eppure - scriveva Karl Popper nell'ormai lontano 1933- la metafisica è la «fonte da cui scaturiscono le teorie scientifiche» (K.R. Popper, Logica della scoperta scientifica, Torino, Einaudi, 1970, p. 348): qualche anno dopo grandi fisici che inizialmente avevano «civettato» con il positivismo - come Heisenberg o Einstein - avrebbero cercato la prima matrice della fisica delle particelle nelle filosofie dell'antica Grecia o avrebbero schernito l'eccessiva «paura della metafisica» di una parte dei loro colleghi. Hegel si chiedeva se un popolo potesse vivere senza metafisica: oggi sono i filosofi della scienza come Watkins, Kuhn, Lakatos, Feyerabend ecc. a sottolineare entro la crescita della conoscenza scientifica il ruolo centrale di «principi metafisici» - che delineano la strategia stessa della ricerca. C'è stato - commenta Vattimo - uno scambio delle parti, come nella commedia antica: la filosofia del continente europeo - un tempo letteralmente impregnata di metafisica - sembra oggi aggregarsi proprio sul tema del «superamento» della metafisica, mentre entro la tradizione dell'empirismo anglosassone cresce il numero dei «pentiti» che rivendicano l'importanza della metafisica come stimolo e guida per la scienza. Personalmente non includerei a cuor leggero Karl Popper «in ambienti e autori di tendenza 'analitica'» come fa Vattimo (p. 74), seguendo in questo la classificazione di K.O. Ape! (p. 74, nota 4): né vedo perché privilegiare sempre classificazioni (e relative ontologie) della tradizione «continentale». Ma il nodo centrale è però il seguente: Vattimo (e, con lui, suppongo, la maggior parte degli autori di Filosofia '86) sottolinea lo strettissimo nesso tra «eredità della metafisica» e dirompente potenza della tecnologia: un filo rosso collega, per così dire, Platone al laser o al computer - ma anche alla bomba atomica o a Chernobyl. La metafisica avrebbe partorito la scienza e la scienza avrebbe a sua volta generato la tecnologia: i teorici anglosassoni della «metafisica influente» sulla impresa scientifica (il termine è di John Watkins) finirebbero per confermare proprio questa diagnosi circa «il destino dell'Occidente». Eppure, proprio Karl Popper ha a suo tempo insistito sul fatto che le asserzioni che costituiscono la scienza teorica indicano delle impossibilità a livello pratico. Per esempio, il primo principio della termodinamica enuncia che non si può costruire una macchina del moto perpetuo ecc. Più in generale: i grandi principi teorici sono spesso «dichiarazioni di impotenza», per dirla con sir Edmund Whittaker. E la filosofia della scienza - aggiunge Popper - individua i limiti dell'uomo anche a livello conoscitivo. Come ha scritto Friedrich von Hayek (nel suo Legge, legislazione e libertà, edito in Italia dal Saggiatore, Milano, 1986, pp. 14 e seguenti) è il dimenticare gli uni e gli altri limiti che ci sposta dalla scienza allo scientismo, a questa «sopravvalutazione dei poteri della Ragione» che è alla radice sia della violenza della tecnica che della tecnica della violenza. Ma la metafisica - obietterei a Vattimo - più che riguardare direttamente il dominio dell'uomo sull'ambiente e sui suoi simili - sembra limitarsi a fornire opportuni quadri concettuali per le «ipotesi audaci» dei ricercatori scientifici. Vattimo può sempre ritorcere il fatto che gli esperimenti che mettono alla prova le differenti ipotesi richiedono apparati sempre più complessi e costosi. Che peso avranno i finanziamenti pubblici, l'intervento dei politici, l'interesse Giulio Giare/lo dei militari ecc.? E che dire della non facile coesistenza tra tradizioni di ricerca occidentali e forme di sapere differenti? Come prospettare, infine, l'attrito, sempre più forte, tra ragione della scienza e ragioni dell'etica? Vorrei, per prima cosa, riallacciarmi a quanto osserva Richard Rorty, nel suo La priorità della democrazia sulla filosofia, sempre in Filosofia '86. Alle pp. 23-25, Rorty - citando da Notes on the State of Virginia, «Query XVII. Religion. The different religions received into that state?» (cfr. per esempio, The portable Thomas Jefferson, edited by Merrill D. Peterson, Penguin, Harmondsworth, Middlesex UK, 1985, pp. 208-213) - ricorda che Jefferson, come uomo di governo, dichiarava di non sentirsi affatto turooto se un suo occasionale vicino affermava, per esempio, che Dio non esiste. Era un modo per sancire la priorità della democrazia sulla religione; per analogia Rorty propone «la priorità della democrazia sulla filosofia» come correzione agli stessi difetti della società democratica e come antidoto al fanatismo. M a anche la «leggerezza» della filosofia (per rubare la battuta a Kundera) può rivelarsi «insostenibile»: come evitare di cadere in una conversazione futile, in cui tutte le visioni del mondo ( come mi pare tema Gargani, pp. 5-11) finiscono per essere equivalenti? Sono tentato di avanzare una modesta proposta: non dovremmo turbarci nemmeno se un nostro occasionale vicino sostenesse, per esempio, che «l'azione a distanza è impossibile» o che «le variabili nascoste non esistono» o magari (spostandosi dalla fisica quantistica a un terreno meno specialistico e in cui ognuno si sente maggiormente coinvolto) che «la medicina cinese è altrettanto buona che quella occidentale» ecc. Perché non pensare anche a una sorta di priorità della democrazia sulla scienza stessa? Rorty potrebbe certo obiettare che mentre le scelte in campo religioso o anche filosofico sono oggi questioni personali (ma non fu così in passato) quelle scientifiche sono pubbliche. Ma proprio questo è il punto. Nella «Query XVII» più sopra ricordata è lo stesso Thomas Jefferson che così si esprime: «Galileo fu sottoposto all'Inquisizione per aver affermato che la Terra era una sfera: il governo aveva dichiarato che essa doveva essere piatta come un tagliere, e Galileo fu costretto ad abiurare il suo errore. Ma questo errore alla fine prevalse, la Terra divenne un globo, e Cartesio dichiarò che essa era fatta ruotare intorno al suo asse da un vortice. Il suo governo fu però abbastanza avveduto da capire che ciò non era questione di giurisdizione civile, altrimenti saremmo stati tutti obbligati dall'autorità a credere nei vortici. In verità, gli stessi vorti~i sono stati demoliti, e il principio newtoniano della gravitazione è oggi stabilito più fermamente su base razionale di quanto lo sarebbe se il governo si fosse intromesso e ne avesse fatto un articolo di fede. [... ] È solo l'errore che ha bisogno del sostegno dell'autorità politica. La verità può reggersi da sola» (The portable Thomas Jefferson, cit., p. 211). L'esempio dei vortici cartesiani è forse, ancor più interessante del caso Galileo (cui per altro Jefferson accenna in modo fin troppo sommario). Il lungo dibattito tra cartesiani e newtoniani è infatti un buon esempio in cui le parti in causa, movendo da «posizioni epistemologiche [... ] profondamente in disaccordo», finirono col trasformare i rispettivi punti di vista grazie all'attrito col punto di vista avversario ( cfr. le osservazioni in proposito di William Shea, Cambiamenti teorici razionali. I Vortici, in M. Pera, J. Pitt, (a cura di), I modi del progresso, Milano, Il Saggiatore, 1985, pp. 137-159, in particolare pp. 157-158). Questo tipo di tolleranza scientifica può, oggi, nell'epoca delle «amministrazioni totali» essere messo in forse, non foss'altro per le ricadute sul piano pratico della scienza cosiddetta pura e per i costi crescenti della ricerca sperimentale, in condizioni di disponibilità non illimitata. Ma l'intelligenza di una burocrazia non si esercita proprio nell'arte di finanziare, pur in quei vincoli, più programmi di ricerca rivali? Ed essa non ha a che fare con la versione empirica (sociologica) del problema razionale di come conciliare, caso per caso, un principio di proliferazione ovvero di sovrapproduzione delle teorie rispetto all'esperienza (Popper) con un principio di economia (Mach), non solo intellettuale? La priorità della democrazia sulla scienza non è altro che il corrispettivo sociologico dell'idea, che oggi riemerge tra i filosofi della scienza (ma non tutti), che «Dio sceglie un mondo che massimizzi la varietà dei fenomeni, pur scegliendo le leggi più semplici» (I. Hacking, Conoscere e sperimentare, Roma-Bari, Laterza, 1987, p. 260). E, tornando al passo di Jefferson, Truth can stay by itself: priorità della democrazia sulla scienza non vuol dire infine che tutto va ugualmente bene (o ugualmente male), ma che ogni teoria, programma, tradizione ecc. ha diritto ai suoi difensori pubblici. Non perché si pensi che non ci sia più la verità, ma perché si sostiene (come diceva John Miiton più di un secolo prima di Jefferson, nella sua Areopagitica, Roma-Bari, Laterza, 1987, p. 77) che «essa può avere più di un aspetto». Gettare ponti tra questi aspetti, cioè tra i vari schemi concettuali, utilizzare gli spostamenti (di risultati, ma anche di uomini e di mezzi) da una tradizione di ri- ~ cerca all'altra per ottenere dei be- .S nefici in tutte le tradizioni coinvol- g:i te: ancora una volta (per dirla con ~ "- Jefferson - e Rorty) «un esperi- ~ mento di cooperazione». Molto ....., ~ difficile, certo, ma perché non -e continuare a tentarlo? Perché non ~ ~ ritrovare nella pluralità conflittuale delle stesse metafisiche una difesa contro «il paesaggio gelato» delle amministrazioni totali? Quindi, no: libertà oppure metafisica; ma: libertà e metafisica. ~ ~ ......

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