Biografiaei~i!rpl'etazione Franco Contorbia EugenioMontale: immaginidi una vita Milano, Librex, 1986 pp. 327, lire 120.000 S ul quadrante dell'indagine letteraria del Novecento la lancetta della critica è andata progressivamente spostandosi: da una prima fase in cui veniva privilegiato l'emittente (sia nella forma della ricerca biografica cara ai positivisti, sia in quella, consacrata dall'idealismo, della monografia) si è passati a una seconda caratterizzata dalla centralità del messaggio e dunque del testo, mentre da qualche anno si sta affermando una terza in cui fa la parte del leone il destinatario, inteso ora come astorico auscultatore delle tracce dell'essere, ora come pubblico sociologicamente qualificato. Sarebbe da attendersi, di conseguenza, una penalizzazione del genere della biografia e dei suoi ulteriori corredi, ivi compresa la fotobiografia. E in effetti esso non gode di buona stampa presso gli accademici, che lo giudicano - è stato detto - «bastardo e imperfetto». Tuttavia il genere resiste e anzi sembra avviato a nuova vita tanto nelle forme della biografia romanzata che può persino diventare best-seller (come è capitato ultimamente a Manzoni o a Campana), quanto in quelle della fotobiografia, il cui successo è ovviamente inseparabile dalla «spettacolarizzazione» della cultura che contrassegna la società audiovisiva e informatica. Al di là di ogni valutazione di merito, la resistenza del genere è comunque significativa di una tenace disposizione storica e fors'anco antropologica del lettore e dello spettatore: quella a vincere lo scialo di triti fatti che pure costituisce la cronaca biografica e di orientarli in un senso allegorico: in altri termini, di ricostituire !'«aura» che il pulviscolo degli aneddoti quotidiani distrugge, superando quel!' «angoscia metafisica circa il contrasto fra tempo-movimento ed essenza» di cui parla Contini nell'introduzione al libro di Contorbia. E in effetti la terminologia da Contini impiegata sembra ricordarci, anch'essa, come ebbe a scrivere Fortini, che «la biografia è la forma borghese del libro di edificazione religiosa». Può succedere così che le reliquie divengano oggetto di culto e talora persino di feticismo. Con la conseguenza, per quanto riguarda Montale, di un rovesciamento almeno all'apparenza paradossale: l'ottica negativa con cui egli ribadisce la vérité noire della riduzione della vita a scialo di vanità ed è disposto a correggersi solo per rincarare la dose («e la vita è crudele più che vana») viene ribaltata in una affermativa: la crudeltà della vita non sarebbe che necessario antefatto alla realizzazione dell'opera che tutto riscatta r-..._ 1::1 e giustifica secondo un senso, e un -S significato, superiore. &° t::t. Da questo punto di vista, nono- ....., °' stahte che il curatore abbia inserito anche testimonianze di un patrimonio urbano «degradato e sconvolto», il décor delle fotografie d'epoca primonovecentesche non è diverso da quello della ufficialità delle pose nelle istantanee più recenti: l'uno e l'altro, come d'al- ~ tronde la qualità del prodotto li- l brario (dal tipo di carta al.prezzo) ~ e la sua somiglianza, nei modi della confezione, ai libri e ai cataloghi d'arte, riconducono la visitazione dei lacerti nel campo del sacro, favorendo nel lettore-spettatore il facile transito dal «tempo-movimento» ali' «essenza». Eppure, la poesia nasce proprio dal contrasto che irresistibilmente l'iconografia - come d'altra parte la critica letteraria - tende a vanificare o a dimenticare: nasce dall'orrore che le radici divelte dalla cronaca documentaria rivelano nella loro materiale terrosità e dal tentativo di superarlo nello splendore catartico della forma. Il fatto è che il percorso verso la sublimazione dell'essenza è nello statuto sociale e nell'intentio lectoris (magari inconsapevole) ma è anche nello statuto dell'opera e nell'intentio auctoris, giacché i procedimenti linguistici e stilistici sono per l'appunto l'equivalente formale di un rapporto sociale interiorizzato. Tenere aperta la forbice fra orrore e splendore, non dimenticare la «vanità» e la «crudeltà» dello sperpero dei triti fatti, non tornare a nascondere la terrosità di quelle radici può diventare, allora, punto d'onore di una critica che lavori sullo scarto insuperabile ma anche sull'insuperabile legame che intercorre fra vita e opera. «Quante rose a nascondere un abisso», scrive Saba della propria e di ogni poesia. Ebbene, queste rose vanno pure sollevate se si vuole affacciarsi sull'abisso che nascondono ecogliere la genesi reale e materiale dell'atto poetico. A llora le biografie e anche le foto biografie, specialmente se finalizzate alla documentazione del testo come quella di Contorbia, possono servire alla pari di qualsiasi altro reperto, essere strumenti di una conoscenza storico-filologica indispensabile all'intelligenza dell'opera. Vanno, per così dire, passate a contrappelo, vanno strappate all'oleografia cui irresistibilmente l'iconografia tende. Bisogna anzi riconoscere che proprio l'indagine biografica rigorosamente orientata all'interpretazione testuale ha reso possibile la piena comprensione di poesie montaliane sino a ieri di difficile o problematica decifrazione. I neoermeneuti, sostenitori della legittimità di qualsivoglia interpretazione e anzi dell'assurdità stessa del problema della legittimità o validità dell'interpretazione e dunque fautori di quel nichilismo erAAA ... LO DE\Jl C.tt El).l: SCotJOI ~"M ! ~mTt ~,o:e ~ . l~l//1/ 1/ ~ meneutico da cui pure aveva mes- grafica (e autobiografica) non abso in guardia, in quanto non senza bia solo a che fare con la discreziocontraddizione, proprio uno dei ne o con la ritrosia. Se il contenuto fondatori della moderna ermeneu- semantico delle sue poesie batte tica, Hans Georg Gadamer, sulla vanità-crudeltà dei triti fatti avrebbero tutto da imparare da che costituiscono la sua come una storia della interpretazione qualsiasi vita, altra è stata - per lui dei testi di Montale e della loro non meno che per il suo pubblico - progressiva leggibilità: sino a ieri la funzione psicologica e sociale famosi per la loro oscurit~ oggi (anzi: psicologico-sociale) della loessi sono indubbiamente più per- ro formalizzazione simbolica: spicui proprio grazie al lavoro con- quella di un risarcimento. Lo stesgiunto di filologi e di biografi e, so snobismo che induceva Montapiù spesso, di filologi attenti al le a depistare chi chiedeva ulteriodettaglio biografico quando que- ri informazioni biografiche è un sto è una chiave indispensabile per effetto piuttosto che una causa. Fa accedere alla semantica del testo. parte pure esso di un estremo ten- r •••••••••• ~ • ••■■ • ■• ••• •· i Duelettere i i da spedire i i a testesso i = altàbeta = I Mensile di informazione culturale I I A chi si abbona entro il 31 dicembre 1986 I ■ 1 in omaggio il volume I Parole sul mimo ■ I di Etienne Decroux I I Edizioni del Corpo, Milano I Abbonamento per un anno (11 numeri) Lire 50.000 ■ 1 Inviare l'importo a Cooperativa Intrapresa I Via Caposile 2, 20137 Milano I I Conto Corrente Postale 15431208 I ••••••Campagna abbonamenti 1987 ••••• Certo l'interpretazione di qualsiasi tativo - estremo anche nel senso di opera resta aperta e inesauribile, e ultimo, di consapevolmente anatuttavia essa è anche vincolata da cronistico: e qui sta la grandezza una base semantica in cui il condi- del poeta, la sua coscienza storica zionamento pragmatico del conte- - di salvare un'intoccabilità prosto e della referenzialità è inelimi- fonda, una falda oscura dell'essenabile; penetrarla significa intanto delimitare il campo ermeneutico, poter scartare le interpretazioni erronee, far decrescere il tasso d'arbitrarietà implicito in qualsivoglia intentio lectoris. E basterebbe qui ricordare quanto la conoscenza, assai recente, della vera identità di Clizia - a partire dal suo nome e cognome - e dei termini reali del suo rapporto con l'uomo Montale abbia contribuito, ad esempio, all'intelligenza di un testo cardinale come Iride, per non dire di tutto il ciclo di poesie dedicate al visiting angel. Tale penetrazione è indubbiamente anche una profanazione. Viene anzi il sospetto che la coerenza con cui il poeta si è per lunghi anni difeso dalla cronaca bioeosì? fl! MIJ60LA, AOE6So ! re, una «ignita zolla», insomma, che sarebbe strettamente congiunta alla poesia. Non conterà allora la funzione pubblica e neppure la superficie tecnico-formale e storico-sociale dei suoi versi, ma solo quella parte segreta e positiva dell'io cui essi ellitticamente rinviano e che magari accomuna il vecchio poeta alla serva barbuta o alla Gina, non alla «folla che non è niente I perché non ha portato al pascolo i porcellini». La dichiarazione «Non amo I essere conficcato nella storia / per quattro versi o poco più. Non amo/ chi sono, ciò che sembro» non è segno di umiltà ma di orgoglio e mira ancora a salvaguardare quanto resta di un antico privilegio. Charles Burns, Dog Boy, in «Frigidaire», n. 51-52, febbraio-marzo 1985 D'altra parte, la poesia di Montale - un poeta che ha più volte attestato di non saper inventare nulla - nasce proprio dalla sua straordinaria capacità, nei primi tre libri, di ribaltare il privato nel pubblico, l'esistenziale nell'ideologico, il particolare nell'universale, una cronaca spicciola in una storia simbolico-allegorica, e, negli ultimi quattro, di compiere esattamente il cammino opposto (non senza un intento autoparodico, quasi per sfregiare il proprio autoritratto giovanile). In entrambi i casi la tensione fra gli estremi assicura la rimozione del dato intermedio offerto dal contesto sociale; ma il punto di partenza (!'«occasione-spinta») o di arrivo è quasi sempre il particolare minimo, anche se talora taciuto (donde, poi, il problema interpretativo). Anche quando, da vecchio, egli farà pubblica ammenda della sua vocazione a trasformare il «volo di una formica» in un volteggio di aquila e il «fischietto del pipistrello» nella «trombetta del dies irae» e ridurrà lo spessore numinoso dei suoi versi sino a farlo sparire nella semplicità, apparentemente un po' casual, dell'aneddotica minuta, il lettore dovrà sì registrare il significato storico di tale radicale cambiamento che dà congedo definitivo alla più illustre tradizione lirica dell'età moderna, quella romantico-simbolica, ma farà bene, poi, a non cadere nel trabocchetto tesogli dall'autore. In realtà le microstorie pescate nel pozzo della memoria dell'ultimo Montale non sono che le macerie o i frantumi di un senso allegorico smarrito: la futilità aneddotica e lo sperpero dei minimi dati memoriali tanto più si avvertono quanto più a essi un tempo era stato conferito un valore, cioè un significato simbolico. Mentre denuncia la complementarità di senso e di non-senso (di nubi e sereno, pieno e vuoto ecc.) in nome di un superiore atteggiamento di scettico agnosticismo, Montale non può che continuare a muoversi nello spazio obbligato di queste categorie. Il non-senso di oggi si misura su una distanza rispetto al senso di ieri e così torna ad assumere, paradossalmente, un significato. Ed è proprio qui che l'informazione biografica e lo scrupolo filologico, di nuovo intrecciati, sono talora indispensabili. CÒme· capire altrimenti, a esempio, il significato di una poesia come Schiappino, una delle ultime, ora compresa in Altri versi? "Il figlio del nostro fattore I aveva fama di pessimo tiratore: / lo chiamavano Schiappa o con più grazia I Schiappino. I Un giorno si appostò davanti alla roccia / dove abitava il tasso in una buca. / Per essere sicuro del suo tiro / sovrappose al mirino una mollica di pane. I A notte alta il tasso tentò di uscire I e Schiappino sparò ma il tasso fece I palla di sé e arrotolato sparve I nella vicina proda. Non si vedeva a un passo. / Solo un tenue bagliore sulla Palmaria. I Forse qualcuno tentava di accendere la pipa." Il senso pieno di questa poesia, apparentemente così facile, si percepisce solo a partire dalla sua distanza da un testo montaliano scritto trentacinque anni prima, il racconto ancora poco noto (ho avuto la ventura di rintracciarlo e ripubblicarlo due anni fa) intitolato Una spiaggia in Liguria. È il resoconto autobiografico di un'avventura di Eugenio quattordicenne che, sbarcato di notte dai compagni su una spiaggia, incontra all'alba un tasso epifanico, mi-ange mi-bete, sfuggito al colpo di fucile del maldestro manente di casa Montale. La poesia del Vecchio rielabora insomma un dettaglio biografico risalente a quasi settant'anni prima e a cui un tempo (all'epoca di Finisterre) il poeta aveva attribuito un significato simbolico-allegorico ora rimesso in discussione (giacché ora non c'è più spazio per l'epifania di· creature salvifiche o per bagliori di metafisica rivelazione: il tasso ormai è solo un animale e se s'intravede una luce non può che essere quella di una pipa). E visto che ho citato questo racconto, vale la pena ricordare che qui un altro dettaglio biografico, il mal di mare dell'adolescente Eugenio (in seguito al quale viene abbandonato dagli amici sulla riva, a punta del Me-
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==