nei casi precedenti il giocatore vedeva un'immagine dell'attore, nel caso invece della Street Fight il videoschermo rappresenta il campo visivo dell'attore/giocatore. L'embrione di storia consiste nella possibilità di sparare contro una serie di nemici che si parano improvvisamente contro l'attore/giocatore. La cosa è consapevolmente portata alle estreme conseguenze, infatti al momento dell'ineluttabile unhappy end - la morte per arma da fuoco che rappresenta il limite dove comunque andrà a finire il giocatore/attore che non interrompe il gioco - a quel punto cruciale nello schermo appare la testa del killer, vista dalla prospettiva del morente. Insomma alla fine dello scontro a fuoco l'avversario si china sopra di te morto. Una vera narrativa eidomatica si realizzerà però quando sarà accantonata la struttura di «gioco a premio e punizione», quando cioè il piacere del fruitore consisterà nel godere di come l'opera è stata fatta, o meglio di come si sta facendo. Mi riferisco ad un piacere analogo a quello che si prova guardando nel caleidoscopio, o nel partecipare a una festa danzante. Un piacere estetico non procurato «da organismi completi e completati, ma dalla visione di organismi in via di completamento indefinito» come diceva Eco a proposito delle opere dell'arte programmata. 31 Di fatto, nelle teorizzazioni della activation du spectateur, 32 e nelle realizzazioni concrete (soprattutto le opere interattive d'ambiente: da Boriani, a Colombo, a Morellet) l'arte programmata ha praticato questo tipo di estetica. Esemplare e riassuntivo è lo straordinario godimento interattivo addirittura ginnico del fruitore della Scultura da prendere a calci di Gabriele Devecchi. 33 La narrativa eidomatica sembra, insomma, dover possedere due caratteristiche fondamentali: agibilità spaziale del tempo e del movimento da un lato e dall'altro relazione interattiva con il fruitore. Ora, già all'interno di quella che possiamo chiamare l'avanguardia del fumetto italiano, le caratteristiche di «lettura tabellare» sono spinte alle estreme conseguenze (si pensi al significativo Attimi di Pablo Echaurren). 34 Mentre, con I giovanotti mondani meccanici di Zingoni e Glessi, si ha una diretta indicazione dell'apparentamento morfologico ed espressivo fra comix e illustrazione eidomatica. 35 Ma esistono anche accenni di maggiore interattività (ad esempio in un lavoro contro la guerra di Panebarco, che riprende metodologie della computer education). 36 Insomma, pur senza fare pronostici, sembra prevedibile che la narrativa interattiva per immagini trovi negli autori della piccola narrativa dei cartoons le competenze analitiche e inventive che le servono per realizzarsi, piuttosto che in quelli della grande narrativa cinematografica. 3. Al problema delle avanguardie, al loro caratteristico anticipare a posteriori, o seguire prevedendo, si può forse rispondere dicendo che qui abbiamo a che fare con una situazione intermedia, e cioè con il caso di un'avanguardia che si mescola con la razionalità, e con l'irrazionalità, della produzione. Le analogie con la situazione dell'arrivo in scena del design dei prodotti d'uso sono forti. E in particolare il caso del Bauhaus è parallfum e hi voglia affrontare il problema di una estetica del fumetto si trova normalmente a contrastare due tipi di oppositori: da una parte ci sono infatti coloro che continuano a sostenere la non artisticità del fumetto, l'assenza di una sua specificità, e la conseguente scarsa utilità di occuparsi del problema; dall'altra stanno invece i sostenitori di una ortodossia fumettistica «minimale», che gridano all'eresia ogni volta che ricevono l'impressione che qualcosa possa modificare il piccolo nido, o torre d'avorio, o hortus conclusus, in cui hanno racchiuso, come una madre apprensiva, la loro creatura. Chiameremo, solo per intenderci in queste righe, i primi oppositori alti, e i secondi oppositori bassi ad un'estetica del fumetto. Fino a qualche anno fa, gli oppositori alti, maggioritari e agguerriti, dettavano legge, lasciando al fumetto solo quegli spazi limitati, all'interno dei quali eravamo abituati a trovarlo nella nostra infanzia. Erano cioè fieri avversari esterni, irriconciliabili denigratori. Da qualche anno invece è nato un nuovo tipo di oppositori alti: si tratta di avversari interni, disposti a sostenere il fumetto, a patto che esso esibisca determinate caratteristiche di «artisticità» e di «culturalità», a patto cioè, in sostanza, che la sua grafica sia comparabile a quélla delle arti visive cosiddette «maggiori», e che le storie che vi vengono raccontate esibiscano una complessità sufficiente da giustificare il loro accostamento alla letteratura. Il luogo comune per cui il linguaggio dei fumetti sarebbe costituito dalla somma di immagine e racconto verbale è alla radice di questo genere di opinioni. Nella forma più estrema degli oppositori alti esterni esso si coniuga in generale anche con una notevole ignoranza di quello che il fumetto è stato nella sua storia; e l'argomento con cui la loro posizione viene sostenuta suona più o meno così: il fumetto è parola più immagine, ma come parola è squalificato rispetto alla letteratura, e come immagine è squalificato rispetto alla pittura; dunque, perché occuparsene? Il discorso rispetto agli oppositori alti interni è più complesso. Essi infatti riconoscono che in un certo numero di casi la narrazione del fumetto è paragonabile a quella letteraria e le sue immagini sono paragonabili a quelle della pittura. Una posizione, che, nonostante l'apparenza di apertura, non è in realtà meno conservatrice della precedente; e non meno della precedente si oppone alla possibilità di un'estetica specifica del linguaggio fumettistico. Nella sua apparente apertura, anzi, questa seconda posizione è davvero più pericolosa, più fuorviante. Esistono a mio parere delle ragioni storico-culturali che hanno reso difficile o impossibile l'esistenza di una riflessione estetica rispetto al fumetto, mentre le cose andavano diversamente per un'arte decisamente coeva come il cinema. Mentre il cinema nasceva da arti come il teatro e la fotografia, aventi o una tradizione di millenaria «nobiltà» o una patente di incisiva avanguardia, il fumetto, in quegli stessi anni, nasceva dalla vignetta satirica e dalla storia illustrata, arti «minori» per eccellenza. Se aggiungiamo che gli interessi economici che hanno ruotato atdigmatico, in quanto il design vi è nato come disciplina ma soprattutto come attività ideativa e realizzativa staccata dall'arte, proprio nella forma dell'intervento di un'avanguardia dentro alla modificazione e alla trasformazione, tecnologica e dell'utenza. Qualcosa di simile si può dire stia succedendo adesso nell'ambito della produzione di immagini. Anzi siamo in una situazione dove sta nascendo una figura particolare, che è quella del progettista di immagini,31 in un senso che si collega, senza esattamente sovrapporsi, alla nozione storica di visual designer, (cioè di progettista di comunicazioni visive), modellato a suo tempo sul termine industriai designer. Naturalmente quello che è avvenuto per il design si è verificato dentro alla tradizione che parte dal Bauhaus e passa per la molteplicità delle istituzioni didattiche e operative del design di oggetti d'uso. Qui, nel settore della progettazione di merci, di artefatti, che non sono oggetti d'uso, ma merci di consumo comunicativo, destinate alla circolazione all'interno dei mass media, non è al momento individuabile la presenza determinante di una scuola, ma appunto quella di una produzione di ricerca, di un'avanguardia sperimentale. Note (1) D. Barbieri, Antropofagi e gigolò, in Zark! Le tavole narranti, Montepulciano, Edizioni del Grifo, 1985, p. 14. (2) Vedi il mio: Preavanguardie commerciali?, in «LineaGrafica», n. 5, settembre 1986. (3) U. Eco, Prefazione a Pubblicità in Italia, Milano, Ed. L'ufficio Moderno, 1973. (4) D. Barbieri, Antropofagi e gigolò, in Zark! ... cit, p. 13. (5) M. Mastri, Presentazione in forma di dedica, o viceversa, a piacere a seconda del gusto e della possibilità, in Zark ... cit., p. 11. (6) W. Benjamin, Didenstmiidchenromane, in Aussichten illustrierte Aufsiitze, Frankfurt a.M., Insel Veri., 1977. (7) Ricerche su questo tema, in particolare sul movimento nel fumetto sono state compiute nel corsç> di Sistemi grafici, presso l'I.D.C. dell'Università di Bologna e si sono concretate in particolare nella tesi di laurea di G. Sangiorgi, / disegni che vivono. Le strutture grafiche che raccontano il movimento, A.A. 1983-1984. (8) W. Benjamin, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, Torino, Einaudi, 1966. (9) E. Fuchs, Introduzione a La caricatura presso i popoli europei (trad. G. Anceschi), in «Grafica», n. 2 (prossima apparizione). (10) Cfr. M. Massironi, Vedere con il disegno, Padova, Franco Muzzio ed., 1982, p. 141 e passim. (11) Eisner, The Spirit, in «Eureka», 1970. (12) G. Anceschi, Monogrammi e figure, Firenze, La casa Usher, 1981, p. 63, p. 71 e passim. (13) Cfr. il mio La cultura dell'imitazione, in «Alfabeta», n. 83, aprile 1986. (14) A.J. Greimas, J. Courtés, Sémiotique: Dictionnaire raisonné de la théofie du langage, Paris, Hachette, 1979, p. 84. (15) Vedi la prima definizione rigorosa e un esempio analitico straordinario in: S.M. Ejzenstejn, Forma e tecnica del film e lezioni di regia, Torino, Einaudi, 1964, p. 321 e passim. In particolare la Tav. fuori testo fra p. 354 e 355. (16) C. Metz, Semiologia del cinema, Milano, Garzanti, 1972, p. 37. (17) R. Arnheim, Verso una psicologia dell'arte, Torino, Einaudi, 1969, p. 100. (18) È il termine per l'interpolazione automatica di profili in computergrafica. (19) M. Duchamp. Coeurs volants, in «Cahiers d'Art», n. 1-2, 1936, copertina. (20) M. Mattioli, Teppa comix - Cazzo arrivano i marziani! Comix - Comix Comix, in «Cannibale», 1979. (21) Lo afferma un grande grafico come Antonio Boggeri, Cfr. s.a., (ma P. Fossati), Lo studio Boggeri, Milano, Pizzi, 1974., s.n.p. (22) «Mise en scène (mise en page)», P. Fresnault Deruelle, Récit et di- :scours par la bande, Hachette, Paris, 1977, p. 98. (23) Vedi M. Horn (ed)., The World Encyclopaedia of Cartoons, New York-London, Chelsea House, 1980, p. 61. (24) R. Giovannoli, Postmodern comics, in Zark ... cit., p. 18. (25) C. Costa, Western Mode Rétro, in «alter alter», n. 6, giugno 1977. (26) Queste riflessioni provengono da un dibattito emerso nel quadro del corso monografico Notazione e scrittura dello spazio, svolto presso la cattedra di Sistemi Grafici, dell'I.D.C., dell'Università di Bologna. In particolare va segnalato il paper di B. Bassi, Avventura!, A.A. 1985-1986, da cui sarà tratto Un libro e un labirinto. Alcune fantasie e due realtà sull'evoluzione del romanzo interattivo, di prossima pubblicazione su «LineaGrafica». (27) J. L. Petelson, Petri Nets, in «Computer Surveys», n. 3, september 1977. (28) M. Maiocchi, D. Marini, Sceneggiature e processi concorrenti, in: «Informazione Radio Tv Studi Documenti Notizie», n. 1-6, dicembre 1985. Vedi anche: D. Marini, Problemi di progettazione e realizzazione di animazioni col computer, in «Automazione e strumentazione», aprile 1984. (29) M. Perniola, Video Zen, in «Alfabeta», n. 30, novembre 1981. (30) Street Fight, Tokyo, Seibu Khaiatsu Inc., 1986. (31) U. Eco, in cat. Arte programmata arte cinetica opere moltiplicate opera aperta, Olivetti, Milano, 1962, p. 4. (32) Fra le caractéristiques riconosciute dai membri del movimento Nouvelle tendance - Recherche continuelle, che raggruppava gli esponenti internazionali dell'arte programmata, cinetica ecc. vedi «Bulletin», n. 1, aofit 1963, p. 4. (33) G. Devecchi, Scultura da prendere a calci, cfr. cat. Miriorama 4, Milano, Pater, 1959. (34) P. Echaurren, Attimi, in Zark ... cit., p. 5. (35) A. Zingoni, A. Glessi, Giovanotti Mondani Meccanici, in «Frigidaire», maggio 1984. (36) D. Panebarco, A bombarda rispondo, Centro Iniziative Pace Prod., agosto 1986. Documentario interattivo a fumetti animato su videòcomputer. (37) M. Mastri, Zark ... cit., p. 12. oel'estetica Daniel Barbieri torno al fumetto non sono mai stati paragonabili a quelli del cinema, il quadro si avvicina ad essere sufficientemente completo. Benché «minore» quanto a origini e finanze, il fumetto non lo è mai stato quanto a valore estetico, e basterebbe conoscere autori come McCay, Feininger, Herriman, McManus, Foster, Raymond, Caniff, Herge, Jacobs, per rendersene conto. Il problema è, tuttavia, che per rendersi conto pienamente del valore di questi e tanti altri autori è necessario postulare un'estetica molto diversa da quella eclettica e riduttiva degli oppositori alti interni. È necessario per esempio rendersi conto dell'importanza di ritmi narrativi che dipendono da fattori grafici, come le dimensioni relative delle vignette, l'intensità e la pienev1 del segno grafico con cui le forme sono delineate, le variazioni della velocità di lettura (con le conseguenti accentazioni narrative) determinate dalle variazioni grafiche. Ed è necessario rendersi conto dell'impatto grafico che hanno soluzioni narrative, come l'abbondanza o scarsità di narrazione verbale, la scansione per tavole della narrazione, la maggiore o minore rilevanza della scansione temporale generata dalla divisione in vignette. Tutti aspetti del linguaggio dei fumetti che si sono formati nel corso della sua storia, e che non hanno corrispondenti diretti in nessun altro linguaggio. In fin dei conti, l'appoggio dato ai fumetti dagli oppositori alti interni si basa probabilmente su un equivoco. È l'equivoco di chi ritiene che certe forme del fumetto possano essere valutate sulla base degli stessi criteri con cui si valutano forme di altre arti. Certo l'equivoco è relativo, e per due ragioni: in primo luogo, in campo estetico spesso anche gli equivoci sono fecondi, e in secondo luogo è certamente vero che il fumetto condivide con altre arti uno sfondo culturale e storico che impedisce che si possa andare troppo per il sottile. Detto, doverosamente, questo, nondimeno l'equivocità rimane. E il sospetto che una certa parte della fortuna del cosiddetto nuovo fumetto italiano dipenda da un equivoco di questo genere è difficile da essere estirpato. Se accettiamo l'idea che aspetti del linguaggio dei fumetti come quelli a cui si è accennato sopra possano essere fondamentali, allora anche la valutazione estetica dell'immagine fumettistica in quanto tale ne risulterà modificata, e non potremo guardare alle immagini dei fumetti così come guardiamo alle immagini per esempio della pittura: una logica costruttiva diversissima sta infatti loro dietro, e dimenticarsi di questo significa dimenticarsi di buona parte di ciò che il fumetto intende essere. G li oppositori bassi sono implicitamente avversari interni. Generalizzando un po', gli oppositori bassi rifiutano come «non fumettistico» più o meno quello che gli oppositori alti giudicano accettabile. Il «nuovo fumetto», per esempio, è stato considerato dagli oppositori bassi una sorta di tradimento nei confronti de!- la tradizione fumettistica, un ricorso a valori e tecniche che non appartengono al fumetto. In realtà, rispetto al «nuovo fumetto», oppositori bassi e oppositori alti si troverebbero probabilmente d'accordo nell'affermare che quello «non è fumetto». Entrambe le posizioni si trovano infatti d'accordo su un'idea approssimativa di quello che il fumetto sarebbe, o dovrebbe essere; una volta deciso che il fumetto è questo e quest'altro, gli uni ne fanno oggetto d'amore e gli altri di disinteresse. Il campo viene così spartito senza conflitti, e ciascuno può badare al proprio orto. Ma il «nuovo fumetto» italiano è invece prepotentemente fumetto. I suoi autori hanno sempre inteso fare esattamente fumetti, e non qualche altra cosa. Il fatto che il loro discorso si sia inserito in una prospettiva dichiaratamente colta non sposta questa assunzione fondamentale. Un esempio che amo molto portare è Fuochi di Lorenzo Mattotti. Qualunque lettore che conosca un poco di arte moderna non potrà non riconoscere in molte immagini di Fuochi forme tipiche di diversi pittori del nostro secolo, da Picasso, a Feininger, a Bacon, a Appel, a Matisse, a Morandi. Non si tratta di citazioni; il meccanismo della citazione presuppone che il lettore conosca l'oggetto citato e lo riconosca nel mutato contesto in cui viene inserito. La citazione è un gioco intellettuale basato sullo straniamento creato dal rtuovo contesto in cui viene messo un oggetto riconosciuto come vecchio. Ma per comprendere il testo di Mattotti non c'è nessun bisogno di riconoscere l'origine di quelle forme, benché essa sia spesso evidente. Il fatto è che Mattotti non cita quelle forme, ma le usa. Attraverso l'uso che quei pittori hanno fatto di quelle forme nel loro mo-
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