Alfabeta - anno VIII - n. 91 - dicembre 1986

attraverso l'universo parallelo per eccellenza, Slumberland, il mondo dei sogni. Artista straordinario, McCay «scoprì agli inizi del secolo quasi tutte le risorse e i funambolismi linguistici che sono patrimonio dei fumetti (di avanguardia o meno)» (Roman Gubern, Il linguaggio dei comics, 1972; trad. it. Milano Libri, 1975). In particolare, McCay fu un virtuoso della prospettiva, che nelle sue abili mani diviene «la proiezioni di Little Nemo nello spazio della fantasia» (Oreste del Buono, L'altro McCay, «Linus», n. 1, 1972). Dal problema delle citazioni siamo ormai passati a quello degli effetti speciali: le vignette di McCay citate da Moebius, infatti, sono sempre di grande impatto scenico e visivo. Per esempio: prospettive a volo d'uccello (e anche personaggi che volano a dorso d'uccello, tema tipico di Moebius anche se assente dal Garage); edifici colossali (si veda il castello di p. 107, da confrontare anche con certi castelli del Principe Valiant di Hai Foster, 1937); scalinate interminabili (p. 74, cfr. con Little Nemo del 19 gennaio 1908); foreste di fiori giganteschi (cfr. il paradiso floreale delle pp. 128-129 con Little Nemo del 20 marzo e del 26 giugno 1910). In molti casi non è chiaro se si debba ancora parlare di citazioni, e n~n più semplicemente dell'apprendimento di strumenti linguistici. Ancora due esempi, a questo proposito, per concludere. Il primo è a p. 82, la pagina dove compaiono la Cosa e Capitan America e che mi pare un vero omaggio al genere «supereroi». Nella seconda vignetta la bocca di uno dei personaggi, contratta da una violenta passione, è «più serrata al centro che non ai lati, che sono come ritorti all'indietro e formano con questa azione delle pieghe nelle guance». La frase tra virgolette è di Charles Le Brun, che nella sua Conférence sur l'espressionisme générale et particulière (1668) la usa a proposito delle espressioni di «orrore». Bram Stoker, nel Dracula, indica l'origine di questo tema iconografico quando parla della bocca di un vampiro, «spalancata in un quadrato nero, come nelle maschere orripilanti dei greci e dei giapponesi». La bocca delle antiche maschere tragiche, dunque, entrata nel repertorio degli astratti grafismi dei fumetti. Gil Kane, l'autore di Lanterna Verde, ne fa uso sistematico, quasi come di una firma. Chi volesse ricostruire la storia arriverebbe, oltre che a Moebius, al Ranxerox di Tamburini e Liberatore. Secondo esempio. La pioggia di antimateria, il caos che erompe nel mondo di Gru ber, è rappresentata (vedi soprattutto p. 117) da una macchia nera che, poiché priva di ogni profondità prospettica, opera una sorta di «sfondamento» della pagina. La stessa cosa accade in una storia di Flash («Batman Nembo Kid» n. 63, 1965), in cui si narra dell'invasione del nostro mondo da parte della «dimensione nera» e in cui compaiono strani animali che non sono che nere silhouettes. (Per risolvere il problema Flash dovrà allearsi con il suo doppio di «Terra 2».) Questo sfondamento della pagina rende bene l'idea dell'alterità ontologica di un mondo parallelo che si infiltra nel nostro e ne mina la realtà. Cfr. con l'oro nella.pittura sacra, che riflettendo la luce sfonda la superficie di rappresentazione e nello stesso tempo simbolizza un livello ontologico superiore. In definitiva, la «dimensione nera» è quella dell'autore, inchiostro «messo a nudo» (come se si fosse rovesciato il calamaio) con consapevole rinuncia all'effetto di realtà. Narrativa R~r.chi - - - 1mmag1n1 Sul ritmo virtuale non c'è niente da dire perché il tempo non c'è. fohn Cage I Attualmente attorno al termine avanguardia si gi- • ra e rigira con un fare imbarazzato e sospettoso, quasi che usarlo fosse rispettivamente un'ammissione di colpa o un'invettiva. Atteggiamento che può apparire sensato se chi pronuncia tale titolo è un intellettuale che appartiene al versante della tradizione ad essa avversaria nella cultura. E cioè a quella tradizione che, in realtà è contro il fertile metodo anacronistico. A quella tradizione che vuole il passato nel passato e il presente nel presente, insomma alle ennesime propaggini, per l'ennesima volta riciclate e camuffate, di un melenso e idealistico storicismo. Oppure la damnatio dell'avanguardia può avere un senso in bocca a critici più partecipi (a chi ha appartenuto alla neoavanguardia ad esempio), ed è stufo di certe sue intemperanze o debolezze, e che cioè la accusa di non essere stata abbastanza tale, o di non esserlo stata fino in fondo. Ma che senso ha questo tabù terminologico rispetto ai fenomeni nuovi? Questa del fumetto (dei nuovi autori del fumetto italiano) è stata battezzata avanguardia dalla vox populi, come ci dice con autorevolezza Daniele Barbieri.' Il che fa sorgere una prima idea, e cioè che, con buona pace di Marinetti, le avanguardie siano solo l'altra tradizione. Partendo dalle avanguardie che sono state dette storiche, rifiorendo nelle neoavanguar- . die, ipostatizzandosi nell 'avanguardia endemica di massa. E poi - complice il cosiddetto post-moderno - questa tradizione non fa che «affermarsi nella negazione» con la postavanguardia (e la transavanguardia). Anzi, più che di una tradizione parallela, e più o meno occulta o underground, si può dire che l'avanguardia è la .tradizione, fuori dalla quale ci sono solo le tracce della cultura del liceo gentiliano. E una seconda considerazione può essere che in fondo l'avanguardia è sempre stata post. La nuova sensibilità promulgata dai futuristi era quella della velocità automobilistica ed era senza fili come il telegrafo. Entrambe realtà tecniche non particolarmente avveniriste ma anzi saldamente installate nel contesto del mondo reale, alle quali aggiornare l'arte. Nel macchinismo ottimistico pro rivoluzione industriale (futurista, costrutttv1sta, funzionalista), come nel pessimismo critico o distruttivo, (espressionista, dadaista, surrealista), protagonista è sempre in qualche modo l'heroi'- sme de la vie moderne di Baudelaire. 2 E in fondo anche oggi quest'avanguardia è post-televisiva e post-informatica: proprio come è sempre avvenuto si tratta qui di un post-, nella prospettiva di gente dotata di antenne. E poi - forse ancora più in generale - le avanguardie (e cioè «quel modo di fare arte che non si propone di produrre effetti se non l'effetto di far pensare a come l'opera è stata fatta», come diceva Eco in un suo lontanissimo intervento sulla pubblicità),3 le avanquella valvolinica4 viene addirittura dopo il fumetto d'autore, i cui Fellini ed Antonioni sono i Pratt e i Crepax. E fa venire in mente proprio una tipica avanguardia-post dello spettacolo, la nouvelle vague francese. Una osservatrice dell'avanguardia del comic testimonia che: «Prima, in effetti, al suo sorgere come linguaggio artistico (e cioè proprio con il fumetto d'autore), ci fu per il fumetto quella fase nella quale un linguaggio deve costruire la propria comunità di parlanti. Una fase rinascimentale alla quale, come direbbe Calabrese, fa seguito una fase neobarocca, in cui l'inventiva dell'avanguardia scardina i canoni narrativi istituiti. E Rivista trimestrale fondata da Adelio Ferrero in edicola e in libreria il numero 46 nel nuovo formato a colori 100 pagine Lire 10.000 In questo numero: Tutta la memoria del cinema Conversazione con Jorge Luis Borges Almansi, Canestrari, Doblin, Douglas, Flaviano, Garboli, Greenaway, Leyda, Mitry, Visconti Abbonamento a quattro numeri Lire 35.000 Inviare l'importo a Cooperativa Intrapresa Via Caposile 2, 20137 Milano Conto Corrente Postale 15431208 Edizioni Intrapresa guardie e tutta l'arte di ricerca sono post- anche in un senso più profondo. In fondo, un poco al contrario di quanto affermano le teorie culturologiche della diffusione degli stilemi da un Alto sociologico verso un Basso, da una élite alla massa, mi pare che sia quando un determinato mezzo o un insieme di media, una forma letteraria o narrativa vengono - per così dire - «lasciati liberi» dalla pressione diretta del mercato, cioè quando l'attenzione del grande pubblico è esposta all'offerta della prossima spettacolare attrazione, ecco apparire la forma sperimentale. C'è ad esempio voluto che si affacciasse il cinema perché ai Dickens e ai Balzac si sostituisse la riflessività di un Mus~l o la sperimentalità di un Joyce. E c'è voluta la televisione perché comparisse quella cosa particolarissima che è il cinema d'autore. L'avanguardia del fumetto, sia quella cannibalica che vi sostituisce la stratificazione delle immagini, l'escamotage della sequenzialità, un gusto estremo per il pastiche plurilinguistico e soprattutto una glorificazione del ruolo delle immagini spinta a un punto tale da esportarle fuori dai moncli verosimili della finzione per contaminare con la moda, con la pubblicità, con i looks, il mondo reale». 5 Ma forse il motivo del tabù terminologico è seccamente scaramantico. Non è facile non collegare l'avanguardia con la voluttà dell'essere fischiati dei Futuristi, con l'insuccesso, causato dall'incomprensibilità, addirittura cercato in quanto garanzia di innovazione. Del resto la neoavanguardia è imputata di non aver saputo vendere ... Certo per dei nuovi autori di un prodotto della categoria delle merci di consumo culturale, delle «derrate alimentari» come li avrebbe definiti Benjamin, 6 questo rappresenta un 'etichetta un po' disforica. L'altra faccia della medaglia è invece che l'avanguardia, col suo alone di consenso e di successo «movimentista», si contrappone allo sfondo di incomprensione e avversione. E il nuovo fumetto italiano, in proposito si muove in gruppo, è una gang, con correnti e polarità interne come ogni avanguardia che si rispetti. E questo essere gruppo produce e statuisce valori e qualità anomali, produce effetti distorcenti rispetto al mercato. L'avanguardia è da sempre temuta per questo, e forse per questo la parola non è più di moda. 2. In che misura il fumetto è dunque post- o pre-informatico nel senso che avevamo accennato prima? Cerchiamo per prima cosa di vedere in che cosa consista quella che intravediamo come un'ipotetica predisposizione del fumetto alla propria assunzione nel mondo dell'informatica grafica o ancora più precisamente dell'eidomatica. Sarà necessario occuparsi in dettaglio di fatti relativi alle specificità del suo linguaggio raffigurativo ecc., perché questo ci servirà per constatare se questa situazione d'avanguardia è veramente anticipatrice. Ci occuperemo in particolare di due fattori, di due componenti tematiche, nell'ambito della raffigurazione e specificamente nel fumetto, che sono rilevanti in previsione di un trattamento informatico. E vogliamo riferirci al movimento e al tempo, fattori collegati ma - per quanto riguarda la raffigurazione - certamente non coincidenti. 7 Un grande specialista, un grande teorico del grottesco e della caricatura, tanto importante che Benjamin, gli aveva dedicato il saggio Edward Fuchs, il collezionista e lo storico, 8 dice della caricatura: «Che essa evochi il riso più di ogni altra forma di arte satirica - la si definisce la forma di riso più contagiosa dopo la commedia - dipende da una sua peculiare particolarità. Le manca il movimento, essa mostra solo un attimo, ma proprio per questo, proprio perché tiene sospeso per sempre il medesimo momento grottesco, essa agisce sulla pulsione al riso. Sono proprio la staticità della situazione, l'immobilità della mimica che spiegano l'effetto irresistibile che fa una buona caricatura». 9 Questa osservazione può essere in qualche modo trasferita al fumetto sostituendo all'effetto comico l'idea di effetto tout court. Peculiare del fumetto è che gli manca il movimento. Si occupa continuamente di movimento e di tempo, ma il movimento è costantemente un movimento fissato (come il tempo è un tempo virtuale). I problemi del raffiguratore del tempo e del movimento nel fumetto sono problemi del come spazializzarlo. 10 In un certo senso il fumetto sembra realizzare il sogno teorico bergsoniano dei cubisti. Sono molti i fumetti che presentano nel riquadro centrale una sorta di vista principale dell'oggetto, e tutto intorno una serie di viste e di eventi secondari, e, ancora, c'è una famosa tavola di Eisner, che mostra lo spaccato di una casa, dove la gabbia grafica dei riquadri è fatta coincidere con l'incrociarsi di muri e pavimenti, e in ogni stanza/riquadro avvengono eventi importanti per la narrazione. 11 Qualcosa di analogo avviene continuamente anche col movimento. Tutti gli espedienti della rappresentazione del movimento, tendono a una sua fissazione, a una sua trasformazione in scrittura, secondo un processo che non è lontano da quello che ha portato alla semplificazione della scrittura pittografica. Le strade sono molteplici: si pensi a quella della scia (di fonte, per così dire fotografica, alla Bragaglia) o della raffigurazione scompositiva (di fonte analitica, alla Marey, o alla Muybridge). Entrambe sono maniere di mono- , .. grammatiizare il movimento. Per monogramma, 12 s'intende l'elemento grafico o scrittorio singolo (ad es. il pittogramma o la lettera), cioè l'elemento isolabile, e quindi magari ricomponibile in un tutto imprevisto, secondo una sintassi di accostamento, di tipo sommativo, contrapposto al principio strutturale plastico o costitutivo (il collage della lettera anonima vs. il disegno a carboncino). In fondo quello di trasformare in monogrammi (o di tentare di trattare tutto come se fosse fatto di monogrammi) è il lavoro della progettazione, e certamente della progettazione di artefatti grafici. E quindi monogrammatizzare il movimento può voler dire praticare un découpage greimasiano sul piano della realizzazione, della produzione materiale, 13 cioè determinare una sintagmatizzazione in vista della fabbricazione, del montaggio. E non è un caso che vada intesa qui per montaggio una nozione a metà fra il montaggio costruttivo del fotomontaggio, 14 e il montaggio modulatorio del film. 15 Ogni particolare monogrammatizzazione del movimento, ogni pittogramma dinamico, viene dunque a far parte di un insieme costruito di cui la tavola disegnata è un settore

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==